che il decreto-legge n. 127/2021, convertito con modificazioni nella legge formale n. 165/2021, impone anche agli organi costituzionali.
Ora, l'art. 1, comma 12, del provvedimento di cui sopra prevede l'adeguamento all'obbligo di possesso del cosiddetto "green pass", ma facendo salva l'autonomia degli organi coinvolti, ossia, nel caso di specie, dei due rami del Parlamento.
Questo significa che, in ragione della riserva di regolamento (Paladin) che la Costituzione vigente riconosce alle Camere ex art. 64, comma 1, solo una modifica della fonte regolamentare potrebbe pervenire ad introdurre, per deputati e senatori, l'obbligo della certificazione verde Covid-19, eventualmente estendendolo anche al Parlamento in seduta comune integrato dai delegati regionali in quanto collegio imperfetto a sé stante chiamato ad esercitate quelle funzioni espressamente previste dal Testo fondamentale del 1948.
Invece nulla di tutto questo si è verificato, essendo stata sufficiente una delibera del Collegio dei Questori (per la Camera dei Deputati del 13 ottobre 2021).
In particolare, si è ritenuto estendibile ai deputati senza "green pass" la disposizione di cui all'art. 60, comma 4, del regolamento di Palazzo di Montecitorio che conferisce al Presidente della Camera, per fatti di eccezionale gravità che si svolgono nella sede ma fuori dell'aula, la facoltà di comminare le sanzioni di cui al comma 3.
La Corte costituzionale, nella recente ordinanza n. 256/2021 con la quale è stato dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato promosso da alcuni deputati di "L'Alternativa c'è", se, da un lato, ha precisato che una erronea interpretazione dei regolamenti parlamentari non può costituire oggetto del conflitto (ordinanza n. 17/2019 Corte cost.) e che è improprio sostenere una modifica della fonte regolamentare quando "la fattispecie in esame è già stata disciplinata nelle forme emerse all'esito di un processo interpretativo", dall'altro, al di là dei profili soggettivi del conflitto medesimo, pare ammettere un'ermeneutica delle disposizioni regolamentari della Camera tale da escludere, anche per il futuro, l'utilizzo del parametro offerto dall'art. 64, comma 1, della Costituzione, aprendo in questo modo uno spazio che potrebbe ridimensionare l'autodichia di Camera e Senato.
La Costituzione è chiara da un punto di vista sostanziale-contenutistico, dal momento che delinea un rapporto di separazione tra regolamenti e leggi o atti normativi aventi forza di legge.
Il Testo costituzionale lascia intendere, già nell'art. 64, comma 1, che la materia dell' "organizzazione e del funzionamento" è affidata unicamente ai regolamenti e, pertanto, sottratta non solo alle fonti primarie di produzione del diritto, ma anche agli atti interni dei due rami del Parlamento diversi dalle fonti regolamentari. Solo la Carta costituzionale può derogare a questa riserva, laddove autorizza la legge "ad entrare" nel campo dell'organizzazione interna ad esempio consentendo la formazioni di Commissioni d'inchiesta ex art. 82. In tutti gli altri casi la "riserva di regolamento" rappresenta la garanzia affinché sia evitata "l'interferenza di altri poteri" (cfr. sent. n. 379/1996 Corte cost.).
(Sara Cunial)
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(*) Daniele Trabucco (Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato e Dottrina dello Stato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/Centro Studi Superiore INDEF. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico.