Di Daniele Trabucco (*) Belluno, 23 gennaio 2022 - L’imminente elezione del Presidente della Repubblica da parte del Parlamento in seduta comune integrato dai delegati regionali sta portando il dibattito politico a concentrarsi sui possibili candidati, tra i quali si segnala lo stesso Sergio Mattarella proposto da alcune forze politiche nonostante la sua dichiarata indisponibilità ad un secondo mandato.
La Costituzione repubblicana vigente del 1948 non pone alcun divieto alla rieleggibilità del Presidente alla scadenza del settennato, tuttavia essa sembra da evitare, dovendosi ritenere che, sulla considerazione dell’inopportunità di privarsi dell’esperienza già acquisita dal Capo dello Stato, debba prevalere quella che un mandato che duri quattordici anni finirebbe per irrigidire fin troppo le funzioni presidenziali e costituirebbe, più che un elemento di equilibrio, un elemento di freno, mentre la composizione degli altri organi costituzionali e le maggioranze politiche mutano con maggiore frequenza.
È consigliabile, dunque, come ha acutamente osservato una parte della dottrina costituzionalistica (Scaccia), evitare che l’organo personale al quale la Costituzione assicura il mandato più lungo possa detenere una quota tanto rilevante di poteri, di influenza, mediazione, regolazione, per un periodo approssimativamente corrispondente a tre legislature.
È certamente vero che il 20 aprile 2013 Giorgio Napolitano, alla scadenza suo mandato, è stato rieletto (primo e ad oggi unico caso nella storia italiana), ma si tratta di evento eccezionale motivato dal fatto che le due Camere, elette con un sistema elettorale discusso e discutibile (il c.d. «Porcellum»), non avevano trovato accordi per l’elezione del Presidente della Repubblica e la stessa trattativa sul Quirinale si intrecciava con la formazione del nuovo Governo. Ammettere, per Sergio Mattarella, la possibilità di una rielezione significa sancire la totale irresponsabilità politica del Presidente «eliminando anche quel possibile ed eventuale giudizio di responsabilità» (cit. G.U. Rescigno) del suo operato di norma non espresso durante il mandato. Si potrebbe replicare che anche la situazione attuale, caratterizzata dall’emergenza sanitaria, è eccezionale e potrebbe indurre a chiedere al Presidente uscente la disponibilità di una rielezione «a tempo».
Ora, al di la del fatto che l’eccezionalità rappresenta una categoria costante ed endemica della politica italiana dal dopoguerra in avanti, da una lettura olistica del Testo costituzionale emerge che, se le regole procedurali dell’elezione sono volte ad evitare un’instaurazione di un rapporto politico tra il Capo dello Stato ed il Parlamento, la non rieleggibilità costituisce la più naturale interpretazione della Costituzione che vuole, in tal modo, conferire una garanzia ulteriore della «supposta neutralità» del Capo dello Stato. È in questo clima che un Parlamento, completamente assente nella gestione della pandemia ed esautorato a suon di questioni di fiducia, procederà in seduta comune e con la partecipazione dei delegati delle Regioni ad eleggere quella che il costituzionalista Livio Paladin (1933-2000) ha definito la figura «più enigmatica e sfuggente fra le cariche pubbliche previste dalla Costituzione».
(*) prof. Daniele Trabucco. Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico. Professore a contratto in Diritto Internazionale presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano.