Di Daniele Trabucco (*) Belluno, 7 novembre 2021 - La Corte costituzionale, con sentenza n. 198/2021, ha «salvato» i DPCM di Giuseppe Conte come scrivono alcuni quotidiani? A riguardo alcune riflessioni funzionali ad inquadrare nel sistema di giustizia costituzionale italiana la recente pronuncia del giudice delle leggi.
La decisione di Palazzo della Consulta è, com’è noto, al contempo di inammissibilità e di rigetto: di inammissibilità perché il giudice di pace di Frosinone aveva indicato nella sua ordinanza di rimessione alla Corte disposizioni normative del decreto-legge n. 6/2020 non più applicabili al giudizio pendente davanti a lui, in quanto era intervenuto il decreto-legge n. 19/2020 volto ad uniformare le diverse misure di contenimento per impedire la diffusione dell’agente virale Sars-Cov2; di rigetto poiché il giudice costituzionale ritiene che non sussista la violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione vigente, o meglio che l’attribuzione al Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore del potere di adottare i DPCM non costituisca una delega anomala, ma semplicemente una modalità di attuazione del decreto-legge.
La Corte, però, con la sua sentenza, non dichiara la conformità del decreto-legge n. 19/2020 a Costituzione, ma si limita a giudicare non fondata l’eccezione di costituzionalità relativamente ai parametri, ossia alle sole norme costituzionali ed alle argomentazioni addotte, che il giudice di pace di Frosinone aveva invocato.
Pertanto, nulla vieta ad un altro giudice di poter adire la Corte, indicando diversi profili di possibile illegittimità sorretti da motivazioni differenti rispetto a quelle analizzate nella sentenza n. 198/2021. Sarebbe, invece, stato interessante chiedere a Palazzo della Consulta se un provvedimento provvisorio avente forza di legge del Governo, fondato sui presupposti giustificativi di straordinarietà, urgenza e necessità ai sensi dell’art. 77, comma 2, Cost., possa contenere disposizioni normative ad efficacia differita (come per i vari decreti-legge sul c.d. «green pass»), cioè idonee a produrre i loro effetti a distanza di tempo rispetto alla data della loro entrata in vigore e se un DPCM, un atto formalmente amministrativo non sottoposto ad alcun controllo preventivo (neppure da parte del Presidente della Repubblica), abbia titolo per bilanciare interessi costituzionali contrapposti (la salute quale «interesse della collettività» ed altri diritti costituzionalmente tutelati) sottraendoli alla valutazione del decisore politico ed affidandoli unicamente al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Infatti, anche ammesso che un decreto-legge, in alcuni casi, presenti norme non immediatamente applicabili, questo, ha precisato la Corte costituzionale nella sentenza n. 16/2017, può concernere «qualche aspetto» e non certamente interi decreti o una pluralità di misure di contenimento. Il rischio non è quello di legittimare un ulteriore abuso nella già bulimica decretazione legislativa di questo anno e mezzo di pandemia? Dovremmo, allora, rassegnarci all’affermarsi, sul piano sostanziale, di una nuova Costituzione dell’emergenza?
(*) prof. Daniele Trabucco. Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico. Professore a contratto in Diritto Internazionale presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano.