Si tratta in gran parte di una legge delega: il Governo dovrà darle seguito entro un anno con i provvedimenti attuativi. L’improcedibilità prevista dall’articolo 2 riguarda soltanto i reati commessi dopo il primo gennaio 2020: è introdotta per bilanciare lo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado voluta dalla riforma Bonafede.
Entrerà in vigore gradualmente per consentire agli uffici giudiziari di organizzarsi: soltanto dal 2024 in appello i processi potranno durare al massimo tre anni (con le proroghe) e in Cassazione un anno e mezzo.
Per i primi tre anni di applicazione della legge i termini saranno più ampi: fino a quattro anni in secondo grado e due dinanzi alla Suprema corte. Esclusi dall’improcedibilità i reati sanzionati con l’ergastolo, termini più lunghi per delitti di mafia e terrorismo. Il pubblico ministero chiede il rinvio a giudizio soltanto quando gli elementi acquisiti consentono «ragionevole previsione di condanna».
Termini di durata massima delle indagini rimodulati in base alla gravità del reato. E in caso di stasi del fascicolo interviene il gip, che induce il pm ad assumere le sue decisioni.
Alla scadenza del termine è confermato il meccanismo di discovery degli atti previsto dal ddl Bonafede. Il tutto per garantire all’indagato di non restare sotto inchiesta troppo a lungo, dopo la condanna per l’irragionevole durata inflitta all’Italia nel marzo scorso dalla Corte europea dei diritti umani.
E la mera iscrizione del nome nel registro delle notizie di reato non può produrre effetti dannosi sul piano civile e amministrativo. È una legge del Parlamento a indicare criteri generali per l’esercizio dell’azione penale: sono poi gli uffici del pubblico ministero a individuare «priorità trasparenti e predeterminate», anche in base alla situazione ambientale, che vanno indicati nei progetti organizzativi delle Procure da sottoporre al Consiglio superiore della magistratura. Udienza preliminare limitata a reati di particolare gravità, aumentano le ipotesi di citazione diretta a giudizio.
Recepito il verdetto delle Sezioni unite penali della Cassazione: inammissibile l’appello se i motivi non sono specifici. Limitate le ipotesi d’inappellabilità delle sentenze di primo grado: ad esempio in caso di proscioglimento per reati sanzionati con pena pecuniaria. In generale resta la possibilità per pm e imputato di proporre il gravame contro le sentenze di condanna e proscioglimento. Inoltre, evidenzia Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, misure alternative al carcere al posto delle pene detentive entro i quattro anni: semilibertà, detenzione domiciliare, lavori di pubblica utilità e pene pecuniarie potranno essere disposte direttamente dal giudice del processo senza l’intervento del magistrato di sorveglianza.
Estesa la non punibilità per particolare tenuità del fatto, esclusi i reati di violenza contro le donne previsti dalla convenzione di Istanbul. Il procedimento può essere sospeso con messa alla prova, ma per solo specifici reati puniti fino a sei anni di carcere e se l’imputato si presta a percorsi di riparazione.
Sì alla giustizia riparativa: il Governo è delegato a disciplinare un cammino di riconciliazione fra vittima e reo su base volontaria.
Querela per reati contro la persona e contro il patrimonio sanzionati con pena non superiore nel minimo a due anni.
(23/9/2021)