É lo stesso angosciante e prepotente interrogativo che si erano già posti prima di lui Plotino, Boezio e Agostino. La risposta secondo la quale il male non possiede uno status ontologico in quanto è ciò che manca ai singoli esseri per essere assoluti, o meglio un'imperfezione, una privazione, non ci scalda, non ci rasserena il cuore, non dà pace all'anima. É possibile, allora, "un' ermeneutica del male" che dia ristoro allo spirito dell'uomo?
Anche quest'epoca "apocalittica" di emergenza sanitaria che si intende prolungare (lo spettro della variante "delta") e di una narrazione che non ammette alcuna forma di interpretazione differente, pena l'essere tacciati, con un giudizio perentorio e senza appello, di inumanità, di mancanza di solidarietà verso il prossimo, non pare ci immerga in quel "profondo silenzio" di cui parla il capitolo 18,14 de libro de La Sapienza contenuto nel Vecchio Testamento? In questi momenti, e lo pensiamo spesso, Dio si nasconde, non parla, non interviene. É lo stesso Dio che ha sacrificato il Suo Figlio sulla croce, pur essendo "ὁμοούσιον τῷ Πατρί" (cioé della stessa sostanza del Padre) oltre che vero uomo.
Pascal e sant'Ignazio di Loyola hanno scritto, a riguardo, pagine mirabili e dense di spritualità. Non sentiamo, allora, l'umiliazione, scriveva il teologo Sergio Quinzio (1927-1996) nella sua opera del 1980 "Dalla gola del leone", di non poter dire nulla con chiarezza? E non vediamo, oggi, la stessa Chiesa cattolica incapace di rispondere, di dare ragione della speranza (Prima Lettera di Pietro) cui tutti gli uomini sono chiamati, in ragione non solo della impreparazione filosofica e teologica di molti dei suoi ministri (a volte al limite dell'imbarazzo), ma anche in virtù di una mondanizzazione imperante al fine di essere accettata dal mondo (si vedano solo i penosi distinguo sul progetto di legge di iniziativa parlamentare c.d. "Zan") che determina un prevalere della prassi sulla dottrina pervenendo in questo modo a relativizzarla? Eppure la domanda, benché legittima, pretende una risposta che attiene ad una dimensione diversa la quale non é quella del finito, ma del trascendente e dell’infinito. In caso contrario, non finiremmo per mettere Dio sul banco degli imputati? Non é, invece, che il "silenzio" non dipenda da Lui, ma dal nostro essere lontani a tal punto da non sentirne neppure un sussurro?
Non è che Dio parli secondo le Sue vie, come ammonisce il profeta Isaia (capitolo 55), e che compito nostro è quello di cercarle?
C'è, però, una parola di Dio sempre presente, provocante e consolante al tempo stesso: il Crocifisso. Sì, Lui, quello che la laicità dello Stato ha messo in disparte. Quella laicità che non dice alcunché, che afferma la coesistenza di ogni possibile contenuto, essendo un mero contenitore da riempire di elementi spesso contraddittori.
Non è lo stesso Stato laico, di cui si vanta il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, prof. Mario Draghi, ad aver introdotto la legge formale n. 194/1978 sull'interruzione volontaria della gravidanza, ad aver smontato a colpi di sentenze ispirate al c.d. "bilanciamento" la legge ordinaria dello Stato n. 40/2009 sulla fecondazione medicalmente assistita, a voler approvare il progetto di legge liberticida c.d. "Zan", ad aver sospeso, durante il primo lockdown (marzo 2020-maggio 2020), la partecipazione alle funzioni religiose. É la "laicità" divenuta "laicismo", che porta con sé il "virus" (rectius: "il veleno") del giacobinismo francese, e non quella, lo Insegnava magistralmente il venerabile Papa Pio XII (1939-1958), tenente distinti i poteri ma secondo i "retti principi". In realtà, solo il Dio cristiano si è sporcato le mani con la terra e nella terra e ci ha detto come, nonostante tutto, non solo ha già vinto la battaglia, ma che l'ultima parola infrangente il "presunto" silenzio è il Suo amore il quale si pone oltre le leggi del tempo e della morte.
Lorenzo Damiano (Pescatori di Pace)
Daniele Trabucco (Costituzionalista)
Alessia Bianchini