Qualsiasi cosa accada, ci libereremo del tormentone 2016. Di referendum non se ne poteva più e nemmeno delle risicole ragioni che sostenevano i due fronti. Tutti ben lontani dal raccontare la verità.
di Lamberto Colla Parma 4 dicembre 2016
Comunque vada, il 5 novembre festeggeremo la liberazione dalla campagna referendaria.
Quasi un anno intero dedicato allo scontro tra il Si e il No, sospeso in occasione dell'emergenza sismica del centro Italia e poche altre circostanze.
Un inesauribile e ubiquitario Matteo Renzi ha spronato i componenti del governo a "predicare" le ragioni del "Si", limitatamente a quelle astutamente espresse nel quesito oggi proposto nel segreto delle cabine elettorali.
Nei dieci mesi trascorsi a ascoltare i due fronti contrapposti, nessuno è riuscito, oppure ha voluto, informare compiutamente il pubblico degli elettori sugli aspetti della riforma.
Molto opportunamente il Premier ha lanciato la campagna referendaria condizionando la sua carriera, di primo ministro e addirittura di politico, all'esito della consultazione elettorale.
Una sfida raccolta dai suoi detrattori e "rottamandi" compagni di coalizione ma anche dalle opposizioni che, a loro volta, hanno impostato e mai più modificata, la strategia comunicativa promotrice delle ragioni del No.
E così si è proceduto sino alla vigilia delle elezioni americane.
Poi, con l'inattesa vittoria di Trump, il timore di un rigurgito populista e con i sondaggi che parevano prevalere per il No, il "Gianburrasca" si è scatenato e ha modificato il "Claim", non più "Con me o Contro di me" bensì "per voi e per l'Italia", ma convertito in "non votate per simpatia o antipatia nei miei confronti ma fatelo per l'Italia... E' l'ultima occasione, è l'ultimo treno che passa per il cambiamento". Un verbo rinnovato portato in ogni dove, dalle piazze ai circoli alle radio e in ogni trasmissione televisiva, o radiofonica.
Una propaganda furbescamente accompagnata da qualche regalia o promessa, come appunto gli 85€ e l'impegno a annullare il precariato nella pubblica amministrazione, colmando peraltro un ritardo di 7 anni dall'ultimo aggiornamento contrattuale, con l'auspicio di trascinare dalla sua parte l'enorme bacino dei dipendenti pubblici.
Non c'era trasmissione che non prevedesse un intervento di Matteo Renzi o di un suo alleato. Ma la differenza vera l'ha fatta lui e un'ottima campagna "social".
Se la distanza tra il Si e il No si è ridotta, probabilmente addirittura annullata, lo si deve solo e esclusivamente a un premier che è anche un "leone da palcoscenico", capace di schermare con i conduttori o recitando incisivi monologhi dai diversi e tanti palchi.
Dall'altra parte, invece, si è proseguiti nella campagna "Contro Renzi".
Un errore strategico di non poco conto, soprattutto alla luce del consenso di "simpatia" che il leader del PD raccoglieva durante le sue comparsate, riuscendo paradossalmente a favorire la stessa campagna di Matteo Renzi.
Ed oggi tocca a noi, nella speranza che gli elettori abbiano letto - cosa che dubito - la proposta di modifica, assumerci la responsabilità di stravolgere la Costituzione o meno.
Domani sarà un altro giorno, nella speranza che tutto cambi ma non per restare tutto uguale.