Martedì, 28 Maggio 2013 16:16

162 i giorni di lavoro "divorati" in un anno dal fisco In evidenza

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Modena, 28 maggio 2013 -
"Nel 1990 bastavano otto giorni per pagare le tasse locali. Oggi ne occorrono ben 26. Mentre in tutto sono 162 i giorni di lavoro dovuti al fisco.

Tra imposte su lavoro, imprese e consumi gli italiani versano il doppio rispetto a spagnoli ed inglesi". È Confesercenti Modena a segnalarlo, rendendo manifesto lo studio condotto da Confesercenti Italia sulla situazione della pressione fiscale, precisando che, "Urge l'obbligo di una svolta, pena il depauperamento di quel patrimonio rappresentato anche a livello locale dalle MPMI".

Causa l'impressionante avanzata delle tasse locali, frutto del federalismo, il sospirato 'Tax Freedom Day' giorno in cui inizia la libertà fiscale del contribuente, che nel 1990 scattava a maggio, ora è scivolato al 12 giugno. Comparando il 'nostro' peso fiscale con gli altri Paesi emerge infatti l'insostenibilità di quello italiano. "L'abbassamento della pressione fiscale è più che mai una priorità che non può essere risolta con qualche misura tampone. Le risorse - insiste l'Associazione imprenditoriale modenese, in scia con Confesercenti Italia - vanno trovate tagliando la spesa pubblica. Gli sprechi, le spese inutili, i troppi livelli istituzionali producono uno sperpero enorme di denaro pubblico. Si può cominciare a risparmiare molto con il rigore ed una coraggiosa riforma. E' strumentale ogni tentativo di prendere tempo: bisogna cominciare subito per favorire la ripresa".

LO STUDIO DI CONFESERCENTI ITALIA

1. L'ha certificato, da ultimo, lo stesso Governo, con il recente Documento di economia e finanza: il nostro è il paese delle tasse, delle troppe tasse. Abbiamo appena segnato il record della pressione fiscale, con il 44% del 2012, e già siamo pronti a superarlo di slancio con l'ulteriore aumento atteso per il 2013 (44,4%). E il futuro, sempre stando alle valutazioni ufficiali, non promette nulla di buono: le previsioni "tendenziali" (quelle che diventeranno realtà se non si farà nulla) ci dicono che la "maledizione" del 44% ci accompagnerà (decimo più, decimo meno) almeno fino al 2017. Certo, le tasse, in una società civile, sono il prezzo da pagare per i servizi pubblici, come legge e ordine pubblico, istruzione, salute, manutenzione delle infrastrutture etc. Ma, se ci deve essere una qualche corrispondenza fra tasse e servizi, fra prelievo e spesa, allora occorre chiedersi come possa spiegarsi una realtà che vede il nostro paese:
• al primo posto in Europa nel "total tax rate" (somma delle imposte sul lavoro, sui redditi d'impresa e sui consumi), con un 68,3% che ci vede quasi doppiare i livelli di Spagna e Regno Unito e ci colloca bel oltre quello della Germania (46,8%);
• ai più alti livelli europei quanto a numero di ore necessarie per adempiere agli obblighi fiscali (269): 2,5 volte il Regno Unito, il doppio dei paesi nordici (Svezia, Olanda e Danimarca) e della Francia, un terzo in più rispetto al Germania;
• in coda, fra i paesi Ocse, nella graduatoria di efficienza della Pubblica Amministrazione,
con un valore (0,4) pari a un quarto di quello misurato per la Germania e il Regno Unito.

2. Ma quanto pesano le tasse in Italia? Per dare un'idea concreta del fenomeno ci si può riferire a uno specifico indicatore: i giorni di lavoro necessari per pagare le imposte, tasse e contributi di un contribuente medio nel corso dell'anno solare. In sostanza, il contribuente che inizi a lavorare dal primo gennaio, fino a quando dovrà lavorare per pagare le tasse dell'anno? E da quale giorno inizierà la sua "libertà fiscale" (il tax freedom day), che gli permetterà di lavorare per sé stesso? Uno sguardo a quello che è successo nell'ultimo ventenni, permette di vedere quanto è cresciuta l'invadenza del prelievo pubblico. Se all'inizio degli anni '90 bastavano "appena" 139 giorni di lavoro per fare fronte a tutte le imposte tasse e contributi gravanti mediamente nel corso dell'anno, dopo meno di un decennio ne erano necessari quasi venti in più (158 su 365) e nel 2013 si è toccato il "top" con 162 giorni. Detto altrimenti, il "giorno della libertà fiscale", che nel 1990 poteva essere festeggiato il 20 maggio, nel 2013 dovrà attendere il 12 giugno; e nel 2017 non scenderà sotto i 160. Questi cambiamenti non sono certo casuali ma riflettono lo "stress" cu è stato sottoposto il sistema tributario italiano in tre occasioni: a metà degli anni '90, per ottenere il biglietto d'ingresso in Europa; a metà del decennio successivo, quando si cercò di avviare un progetto di risanamento della finanza pubblica; infine, ed è la realtà che stiamo vivendo, allorchè (a partire dalle tre manovre che hanno segnato la seconda metà del 2011) si è cercato di fronteggiare la caduta di gettito prodotta dalla crisi attraverso il ricorso a diffusi e ripetuti aumenti di prelievo.

3. Ma nella vorace crescita della tassazione, un ruolo nuovo e certamente non secondario è stato rivestito dalla finanza locale. All'ombra del federalismo, si sono registrate abnormi impennate del prelievo. Per fronteggiarle, il cittadino medio ha dovuto impegnare una quota crescente dei frutti del proprio lavoro. Se nel 1990 le imposte locali assorbivano l'equivalente di meno di 8 giorni di lavoro annuale, nel 2002 l'impegno risultava triplicato e nel 2013 finirà per toccare i 26 giorni: una crescita, insomma, di quasi il 250% in poco più di venti anni.

4. E' una realtà "normale" quella fin qui emersa? Nel panorama europeo, il cittadino italiano è ai primi posti quanto a livello del prelievo complessivo. Nel 2011 i giorni di lavoro che nel nostro paese sono stati assorbiti dal pagamento delle tasse sono quasi 156: dieci in più che in Germania, venti oltre il Regno Unito, 35 oltre la Spagna e quasi 50 in più rispetto all'Irlanda. Differenze che spiegano i ritardi della nostra economia, sia dal lato del reddito disponibile delle famiglie, sia dal lato della competitività del mondo produttivo.

5. Il quadro economico, segnato da problemi gravi e diffusi, lascia trasparire il ruolo decisivo rivestito dalla questione fiscale. Un ruolo che finora si è manifestato attraverso un'accelerazione del prelievo, nell'illusione di poter sopperire a colpi di nuove tasse agli squilibri che l'economia reale scarica sulla finanza pubblica. Non è dunque un caso che – come in più occasioni ha avuto modo di sottolineare la Corte dei conti – si sia da tempo attivato nel nostro sistema economico un pericoloso corto circuito fra rigore e crescita. Spezzare quel circolo vizioso è diventato uno degli imperativi della politica economica. La leva fiscale, spesso usata come un improprio macigno, deve ora diventare il colpo di acceleratore capace di ridare una prospettiva alle famiglie e all'imprese del nostro paese.
(fonte confesercenti Modena)

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