“Egregio Direttore, qualche anno fa qualcuno annunciò di aver abolito la povertà, eppure c’è chi ha ancora bisogno di un sostegno per vivere. Nel nostro Paese i poveri sono sempre di più, come certificato peraltro anche dal Rapporto Welfare Italia, l’inflazione ha portato l’indice dei prezzi al consumo a raggiungere nell’ottobre scorso l’11.9%, e rischia di portare da 2 a 2,3 milioni il numero di famiglie in condizioni di povertà assoluta, per un totale di 6.4 milioni di persone.
Una situazione, questa, che dimostra che evidentemente la povertà non è mai stata “abolita”, né tantomeno lo sarà nel prossimo futuro, con la conseguenza che risulterà necessario continuare ad aiutare chi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena è per questo, forse, che ora c’è chi alza gli scudi contro la decisione dell’Esecutivo di modificare la platea a cui riconoscere il Reddito di Cittadinanza, la misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, al quale si sarebbe dovuto anche affiancare un percorso di reinserimento lavorativo e sociale.
Questi gli obiettivi della norma, almeno al momento della sua adozione che però, nel corso del tempo, hanno conosciuto varie interpretazioni, anche le più fraudolente. Da una parte ci sono quelli che affermano che il lavoro non c’è oppure che quello offerto è da fame, dall’altro si assiste invece a situazioni in cui il lavoro ci sarebbe e anche ben retribuito, ma avrebbe l’unico neo di trovarsi in un’altra città, magari a molti chilometri di distanza dalla propria residenza o domicilio, cosa che rappresenterebbe un enorme ostacolo.
Forse è questo uno dei motivi per i quali al Reddito di Cittadinanza nessuno vuole rinunciare, anche a fronte di un impiego lontano ma sicuro: condizione certamente non paragonabile a quella di chi, una volta, quando il RdC non c’era, lasciava la propria casa per trasferirsi al Nord allo scopo di “sfamare” la famiglia, provando e magari riuscendo, allora sul serio, ad abolire almeno la propria di povertà.”
Firmato
R.B.