21 settembre 2022 - Uno Stato che invece di aiutare i piccoli artigiani che attraversano un momento di difficoltà a rialzarsi li costringe a entrare in un vortice di cartelle esattoriali il cui peso in pochi anni viene elevato a potenza dagli interessi. E' questa la storia che racconta un piccolo imprenditore dell'autotrasporto associato a Ruote Libere. Una storia che accomuna tanti colleghi in un settore negli ultimi mesi pesantemente penalizzato, anche dal caro carburante.
"L'odissea di questo nostro associato inizia a gennaio 2003 quando il suo unico autista è coinvolto in un grave incidente in Svizzera - spiega la presidente di Ruote Libere, Cinzia Franchini -. Parliamo di una piccola impresa artigiana con due mezzi, uno condotto dal titolare e uno dal dipendente, una struttura simile a quella di tante aziende di autotrasporto italiane. L'incidente fa partire una denuncia nei confronti del titolare per danni ambientali autostradali, parallelamente lo stesso titolare deve farsi carico di una importante spesa del tutto imprevista, pari a decine di migliaia di euro, collegata anche alla differente legislazione Svizzera. A quel punto l'imprenditore che ha appena acquistato a rate l'autocarro coinvolto nell'incidente si trova in forte difficoltà economica. Con un mezzo inutilizzabile e tutto da pagare. L'alternativa è chiudere l'attività o provare a resistere, non facendo fallire l'azienda fondata molti anni prima da suo padre. Egli, per orgoglio e per amore del proprio lavoro, sceglie la seconda strada. Con difficoltà riprende a viaggiare col solo mezzo rimasto ma, nonostante tutte le rinunce e i sacrifici familiari, non è materialmente nelle condizioni di pagare i conguagli Iva per alcuni anni. Si tratta di un buco fiscale di circa tre anni, ma sufficiente per creare un abisso economico. La prima cartella esattoriale è del dicembre 2006 il debito di 27mila euro è divenuto di 31mila euro. A marzo dell'anno successivo arriva un'altra cartella: si passa da circa 21mila a quasi 40mila euro. A quel punto la situazione precipita. L'imprenditore continua a pagare le tasse correnti, anno dopo anno, ma quel vecchio pregresso aumenta. Prova a chiedere una rateizzazione del dovuto, ma parlare con gli uffici della Agenzia delle Entrate sembra impossibile. Alla fine il debito con lo Stato, ora attraverso Equitalia, nel 2022 ammonta a 280mila euro. A luglio di quest'anno scatta il pignoramento e il conto viene bloccato. Da due mesi il collega ha chiesto una rateizzazione straordinaria, ma ancora ad oggi non ha ricevuto risposta".
"Io credo che una storia simile sia emblematica di un sistema che non funziona - chiude Cinzia Franchini -. Lo Stato non può trasformarsi in patrigno gettando nella disperazione un artigiano che magari ha sbagliato, ma che ha cercato in tutti i modi di continuare la propria attività. Occorre ripensare l'intero sistema e offrire un serio percorso di ripartenza a tutti coloro che dimostrano di meritarlo. Paradossalmente le cose sarebbero state più semplici se questo piccolo imprenditore avesse deciso all'indomani dell'incidente, a fronte delle spese enormi da sostenere, di far fallire l'azienda. In quel modo il debito non sarebbe lievitato con gli interessi e avrebbe potuto aprire un'altra attività intestandola a qualche prestanome. Ecco, questa scorciatoia, spesso percorsa da persone senza scrupoli appare più conveniente piuttosto che il tentativo di restare in piedi facendo fronte a tutti i debiti. Non può funzionare così, non basta sventolare le cosiddette norme salva suicidi a posteriori, quando per anni intere famiglie sono state lasciate sole e inascoltate. Lo Stato deve dialogare con chi, per un periodo di tempo, non è riuscito a rispettare i propri impegni forse anche per propri errori, ma che ha fatto di tutto per rimettersi in carreggiata".