Bologna, 2 marzo 2021 - Unioncamere Emilia-Romagna: La leva per uscire dall’emergenza è la coesione tra le forze in campo in grado di interconnettere azioni coerenti sia con il piano per la ripresa nazionale, sia con la visione dell’Emilia-Romagna del futuro. Accanto a “politiche passive” necessarie per contenere il disagio, occorrono “politiche attive” mirate ad accompagnare le imprese a ripartire. Ci attendono mesi decisivi. C’è bisogno del contributo di idee e competenze di tutti e di tanto lavoro.
Intesa Sanpaolo: I prestiti alle imprese continuano a crescere, con una forte accelerazione nel secondo semestre 2020. La dinamica sostenuta dalle erogazioni con garanzia pubblica. Fondamentale, per agganciare la ripresa, il ripristino degli investimenti.
Confindustria Emilia-Romagna: Aspettative di crescita per produzione e ordini: il sistema produttivo regionale mostra capacità di reazione e dinamismo. Per dare slancio alla ripresa occorre accelerare la campagna vaccinale, anche con il supporto delle imprese, e partire subito con gli investimenti pubblici e privati in infrastrutture, ambiente e energia
Il 2020 è stato il peggior anno dal dopoguerra e il consuntivo è ancora provvisorio perché la causa che ne è all’origine, la pandemia e le conseguenti misure di protezione adottate nel tentativo di limitarne la portata, sono ancora in essere. Questo senza che ancora si possa individuare la conclusione della fase di emergenza.
Sarà possibile quantificare i veri effetti che la pandemia ha determinato sulla nostra economia solo quando il sistema economico riprenderà il suo corso naturale. Intanto c’è da notare come nel quarto trimestre del 2020 le conseguenze negative siano state più contenute rispetto ai trimestri precedenti, in particolare il secondo.
Con riferimento al comparto industriale, grazie a un’indubbia capacità di ripresa e a un pronto rimbalzo dell’attività, l’anno 2020 si è chiuso con un calo della produzione al 10,4 per cento rispetto all’anno precedente, quindi una recessione meno grave di quella subita nel 2009 (allora - 14,1 per cento).
Secondo le previsioni Prometeia per il 2021 ci dobbiamo attendere una buona ripartenza della nostra economia, mentre nel 2022 il PIL dovrebbe tornare sui livelli del 2019.
Sono questi alcuni dati dell’indagine congiunturale relativa al quarto trimestre 2020 sull’industria manifatturiera, realizzata in collaborazione tra Unioncamere Emilia-Romagna, Confindustria Emilia-Romagna e Intesa Sanpaolo.
Il volume della produzione delle piccole e medie imprese dell’industria in senso stretto dell’Emilia- Romagna si è ridotto del 5,0 per cento rispetto all’analogo periodo del 2019.
Il valore delle vendite è diminuito del 3,6 per cento, meglio decisamente rispetto al trimestre precedente (-6,2 per cento). Il fatturato estero ha contenuto la correzione (-1,4 per cento), un alleggerimento più marcato rispetto al trimestre precedente (-4,2 per cento).
Un elemento degno di attenzione si può individuare nel processo di acquisizione degli ordini, che limitato al - 2,0 per cento rispetto a 12 mesi prima, rispetto al - 5,2 per cento del trimestre precedente.
Il grado di utilizzo degli impianti si è riportato al 72,5 per cento, un dato non più così lontano rispetto al livello riferito allo stesso trimestre del 2019 (pari al 75,4 per cento).
Il periodo di produzione assicurato dal portafoglio ordini è risultato invariato rispetto al dato del trimestre precedente e pari a 9,2 settimane.
L’arretramento è evidente in tutti i settori industriali, anche se sono stati maggiormente colpiti quelli dipendenti dal mercato interno. Così anche l’industria alimentare ha fatto segnare un leggero passo indietro, anche se il più contenuto tra tutti i comparti: il fatturato si riduce appena dello 0,9 per cento, nonostante una flessione delle vendite anche sui mercati esteri (-1,5 per cento). Il calo della produzione è molto contenuto (-0,6 per cento), come la flessione degli ordini (-0,9 per cento).
All’estremo opposto è il sistema moda a pagare lo scotto più pesante come conseguenza dei cambiamenti di abitudini e comportamenti dei consumatori indotti dalla pandemia. Il crollo del fatturato complessivo si è accentuato (-16,5 per cento), anche nella componente estera (-12,1 per cento), nonostante che i mercati oltre confine tengano più di quello interno. La caduta della produzione è leggermente più marcata (-18,7 per cento), ma si è alleviata la tendenza negativa del processo di acquisizione degli ordini (-14,6 per cento).
L’altro settore maggiormente colpito è l’industria metallurgica e delle lavorazioni metalliche, caratterizzata da una fitta rete di piccole e medie imprese al centro di molteplici catene produttive.
Il fatturato complessivo si è ridotto del 4,8 per cento, anche in questo caso grazie alla migliore tenuta di quello estero (-1,5 per cento), mentre la produzione ha avuto un andamento negativo più marcato (-5,8 per cento). Il processo di acquisizione degli ordini complessivi ha seguito una tendenza analoga.
Perde posizioni anche per l’industria del legno e del mobile: la discesa del fatturato si arresta a -3,6 per cento, grazie anche alla migliore tenuta della componente estera (-1,6 per cento), mentre più forte è l’arretramento della produzione (-4,2 per cento) e degli ordini (-4,3 per cento).
L’aggregato industrie meccaniche, elettriche e dei mezzi di trasporto ha contrastato la difficile fase, contenendo la tendenza negativa sia per il fatturato (-2,0 per cento) che per la produzione (-4,3 per cento). Positiva l’inversione di tendenza del processo di acquisizione ordini (+2,0 per cento).
Anche l’evoluzione congiunturale del gruppo eterogeneo delle “altre industrie” (chimica, farmaceutica, plastica e gomma e trasformazione dei minerali non metalliferi, ovvero ceramica e vetro) testimonia la recessione, ma con effetti meno dirompenti. Il fatturato complessivo ha perso solo l’1,8 per cento, contenuto l’arretramento della produzione (-2,8 per cento) e degli ordini (-1,4 per cento).
Riguardo alla dimensione d’impresa, nel quarto trimestre 2020 la flessione è stata generalizzata, ma l’andamento congiunturale per fatturato, produzione e ordini è risultato meno grave al crescere della struttura aziendale e in particolare per le grandi imprese. In particolare, la produzione è scesa di più (-10 per cento) per le minori, poi per le piccole (-5,4 per cento) e le medio-grandi (-3,1 per cento).
Sulla base dei dati del Registro delle imprese, quelle attive dell’industria in senso stretto a fine giugno risultavano 43.667 (pari all’11 per cento del totale), con una diminuzione corrispondente a 543 imprese (-1,2 per cento) rispetto all’anno precedente.
Per quanto concerne la forma giuridica delle imprese, rispetto alla fine del 2019, si rileva ancora un aumento delle società di capitale (+0,9 per cento, +157 unità), giunte a rappresentare il 39,6 per cento, grazie all’attrattività della normativa delle società a responsabilità limitata semplificata che ha avuto un effetto negativo sulle società di persone, ridotte sensibilmente (-377 unità, -4,2 per cento) tanto che ora costituiscono solo il 19,7 per cento del totale. Le ditte individuali hanno subito una nuova ampia flessione (-318 unità, -1,8 per cento) e scendono al 39,1 per cento. Altre forme societarie (consorzi e cooperative) rappresentano l’1,6 per cento del totale(-0,7 per cento).
Riguardo al fronte occupazionale, fine settembre 2020, nell’industria manifatturiera gli addetti erano 397.767 quindi 9.979 in meno rispetto al 2019 (-2,1%). Gli scenari sotto questo aspetto sono tutti da delineare. Al calo dei fatturati delle imprese si è accompagnato quello dell’occupazione, oggi leggibile nei numeri senza precedenti del ricorso alla cassa integrazione, domani, probabilmente, verificabile nei licenziamenti e delle chiusure dell’attività di impresa. Le aziende dovendo affrontare un evento negativo esterno di portata enorme sulla propria attività, hanno reagito adottando forme organizzative differenti. La risposta è stata diversificata anche in base alla dimensione: ricorso allo smart working, riduzione dell’organico, utilizzo della Cig e ammortizzatori sociali, stop alle assunzioni, mancato rinnovo ai contratti in scadenza. Riguardo all’impatto della pandemia Covid-19, in base a un questionario sottoposto con l’indagine congiunturale, il 43% delle imprese non ha avuto alcun riflesso sulla produzione, il 27% ha cambiato alcune modalità nel processo che va dalla fase di approvvigionamento, produzione, fino alla distribuzione, il 42% ha modificato la struttura organizzativa e del personale.
Per quanto riguarda l’export, da sempre motore dell’economia regionale, nei primi nove mesi del 2020 le esportazioni dell’Emilia-Romagna sono diminuite del -10,6 per cento, e del -2,9 per cento nel terzo trimestre, ultimo periodo disponibile. Le variazioni negative più evidenti nel settore metalli (-19,2), sistema moda (-18,1 per cento), meccanica (-14 per cento). Spagna (-15 per cento), Stati Uniti e Regno Unito (-13,5 per cento) e Francia (-12,5) i Paesi con la più ampia variazione negativa.
«La peculiarità di questa crisi è di essere originata da un fenomeno esterno che ha fortemente rallentato ma non interrotto, il normale andamento del ciclo economico. – afferma il Presidente di Unioncamere Emilia-Romagna Alberto Zambianchi – La prima reazione è stata, giustamente, quella di agire per limitare i danni e gestire l’emergenza originata dalla pandemia che ha colpito con forza devastante larga parte del tessuto economico. In Emilia-Romagna molto è stato fatto sulla rete degli ammortizzatori e per favorire l’accesso al credito delle imprese, concordando azioni con le Associazioni di Categoria e agendo in forte coordinamento con la Regione, mettendo a fattore comune idee e risorse. E’ un metodo questo che, creata una rete mirata a gestire l’emergenza, dovrà proseguire per interconnettere azioni coerenti sia con il piano per la ripresa nazionale, sia con la “vision” dell’Emilia-Romagna dei prossimi anni, ben delineata anche nel nuovo “Patto per il lavoro e per il clima”. Sottolineo pertanto che, accanto alle “politiche passive”, necessarie per contenere il disagio, occorre avviare “politiche attive”, mirate ad accompagnare i nostri giovani e le nostre imprese alla ripartenza. Ci attendono mesi decisivi per il nostro futuro, c’è bisogno del contributo di idee e di competenze di tutti e di tanto lavoro. Un impegno che, tutti insieme, possiamo affrontare e realizzare con successo».
In Emilia-Romagna, secondo l’analisi della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, i prestiti alle imprese hanno registrato una forte accelerazione nel 2° semestre 2020, chiudendo l’anno ai massimi, con un +6,7% a/a (variazione calcolata su dati al netto delle sofferenze). In valore assoluto nell’arco dell’anno l’aumento dello stock di prestiti è stato pari a 4,7 miliardi. Tuttavia la dinamica è più moderata rispetto alla media nazionale che registra a fine 2020 un ritmo del 9,4% a/a.
All’interno dell’aggregato dei prestiti alle imprese, spicca l’andamento di quelli all’industria che, in aumento da marzo 2020, hanno registrato una forte accelerazione fino al +11% a/a di fine 2020 in Emilia-Romagna. Dal 2° semestre, anche i prestiti ai servizi sono tornati in crescita, a un ritmo più contenuto rispetto all’industria (+5,6% a dicembre). Un chiaro miglioramento è stato registrato anche dai prestiti alle costruzioni che, dopo anni di forte calo, appaiono vicini alla svolta mostrando un’interruzione del trend negativo, col -0,3% a/a in Regione a novembre e -2,2% a fine anno, mentre il dato nazionale ha chiuso il 2020 invariato rispetto a fine 2019.
La rapida ripresa dei prestiti riguarda anche le imprese di minori dimensioni. In Emilia-Romagna nel 2° semestre 2020 i prestiti alle piccole imprese (fino a 20 addetti) hanno mostrato un’impennata della crescita, chiudendo l’anno ai massimi, con una dinamica in linea con quella dei prestiti alle imprese più grandi (+7% a/a a dicembre e +6,6% rispettivamente). Nel confronto nazionale (+9,6% le imprese con almeno 20 addetti e +8,2% le piccole a fine 2020), entrambi i segmenti dimensionali confermano la crescita più moderata rilevata in Regione.
La crescita dei prestiti alle imprese è sostenuta dalle erogazioni con garanzia pubblica. I dati sulle operazioni garantite arrivate al Fondo centrale per le PMI mostrano che al 24 febbraio 2021 l’Emilia-Romagna ha espresso un totale di 153mila domande pervenute al Fondo per un importo finanziato di 14 miliardi, un flusso in aumento del 34% rispetto a metà novembre e quasi triplicato da inizio luglio 2020. Di queste operazioni, oltre 97mila riguardano prestiti fino a 30mila euro, pari a un importo finanziato di 1,9 miliardi. Il tasso di crescita dei crediti di minore importo continua a essere più moderato (+9% su metà novembre) rispetto a quello del totale delle operazioni a favore delle PMI.
In parallelo, prosegue l’eccezionale aumento dei depositi delle imprese presso le banche, in un contesto di forte incertezza e di conseguente elevata propensione alla liquidità a fini precauzionali. In linea col trend nazionale, in Emilia-Romagna i depositi delle imprese continuano a registrare una forte dinamica, in notevole accelerazione da maggio 2020 fino al picco di +33% di fine anno. Si osserva che per otto mesi consecutivi in Emilia-Romagna la crescita è stata sempre superiore a quella dell’aggregato Italia (+27% a/a a dicembre). La dinamica è solo in parte alimentata dall’accesso alle misure temporanee di supporto al credito nella forma di garanzie pubbliche. Infatti, nel 2020, in Emilia-Romagna i depositi delle imprese sono aumentati di 12,5 miliardi, più del doppio della crescita dei prestiti (4,7 miliardi escluse le sofferenze). Ciò è coerente con le dinamiche nazionali (98 miliardi contro 61) anche se il divario tra i flussi è meno marcato di quanto emerso in Regione. Pertanto, a fine 2020 i depositi hanno raggiunto una dimensione pari a due terzi dei prestiti, 13 punti percentuali in più di fine 2019 in Regione e quasi tre volte il rapporto del 23% circa che si registrava dieci anni fa.
Cristina Balbo, Direttore regionale Emilia-Romagna e Marche di Intesa Sanpaolo: «In un 2020 segnato dal Covid i finanziamenti alle imprese, supportati in maniera importante dai prestiti a garanzia pubblica, sono cresciuti in misura significativa per fare fronte dell’improvviso calo dei fatturati. Da parte nostra abbiamo erogato alle imprese della regione 3,2 miliardi di euro di nuovi finanziamenti e attivato 23mila sospensioni per un controvalore di 4,5 miliardi di euro. Una parte della nuova liquidità non è ancora stata utilizzata con l’effetto che nel breve termine si è registrato un aumento dei depositi. Un atteggiamento di comprensibile prudenza legata al contesto. Non di meno il ripristino degli investimenti sarà fondamentale per poter agganciare la ripresa. Il nostro impegno è di conseguenza concentrato nell’accompagnare le imprese nei percorsi di uscita dalla crisi. Da un lato sostenendo le progettualità degli imprenditori per agganciare i trend di sviluppo, anche quelli cui la crisi ha impresso una accelerazione come digitalizzazione, innovazione, sostenibilità, circular economy. Dall’altro consentendo loro di gestire le dinamiche finanziarie attuali e rendere più sostenibile il debito in una prospettiva di più lungo termine in attesa che avvenga un pieno recupero dei fatturati. Oggi l’arrivo dei vaccini ci permette di essere oggettivamente più ottimisti: nei prossimi mesi sarà fondamentale sostenere la fiducia e la ripartenza degli investimenti».
L’indagine semestrale di Confindustria Emilia-Romagna evidenzia un sentiment positivo da parte delle imprese della regione: le aspettative di crescita della produzione e degli ordini, migliori rispetto a sei mesi fa, danno il senso di una possibile ripresa significativa.
Nella prima metà del 2021 la differenza tra ottimisti e pessimisti torna su livelli più elevati rispetto a prima della pandemia. Il 37% degli imprenditori prevede un aumento della produzione e il 35% una crescita degli ordini: per la domanda il saldo tra ottimisti e pessimisti è di 20 punti, quando era di 2 punti a metà dell’anno scorso. Le previsioni per l’occupazione sono di sostanziale tenuta: tre imprese su quattro la prevedono stazionaria.
Le prospettive sono particolarmente positive per le grandi e medie imprese e migliorano con l’aumentare della dimensione. Per quanto riguarda gli ordini, compresi quelli esteri, il saldo tra ottimisti e pessimisti è di 11 punti per le piccole, 22 per le medie e 33 per le grandi aziende.
Rispetto ai settori le aspettative più favorevoli si registrano per chimica farmaceutica, gomma plastica e ceramica. Si conferma la forte difficoltà del settore tessile abbigliamento. Nel settore metalmeccanico le previsioni sono migliori per metallurgia e meccanica rispetto al settore delle macchine elettriche e all’automotive, che prevede un ulteriore deficit di domanda.
«Le imprese industriali dell’Emilia-Romagna – dichiara il Presidente di Confindustria Emilia-Romagna Pietro Ferrari – continuano a mostrare capacità di reazione e dinamismo: dietro alle aspettative di crescita ci sono progetti e programmi concreti di investimento. Quello che preoccupa è che come Paese ancora una volta cresciamo meno dei nostri competitor e ad un ritmo inferiore a quello necessario per recuperare il terreno perduto».
Nel 2021 per l’Italia è previsto un aumento del Pil del 3,4% che segue una stima di perdita dell’8,8% nel 2020, mentre per la Germania la prospettiva è di una crescita del 3,2% dopo un calo inferiore al nostro (-5%) e per la Francia l’ipotesi è di un aumento del 5,5% che segue un calo dell’8,3 %.
«Se vogliamo guardare con fiducia al futuro – sottolinea il Presidente Ferrari – dobbiamo intensificare la campagna vaccinale, così da ottenere nei tempi più brevi possibili la più ampia immunizzazione della popolazione. Dobbiamo anche puntare, una volta terminata la fase dedicata alle categorie a rischio, ad una maggiore flessibilità organizzativa: le imprese dell’Emilia-Romagna sono pronte ad essere coinvolte per supportare la campagna vaccinale.Per dare slancio alla ripresa è inoltre fondamentale partire da subito, anche a prescindere dal Recovery Plan, consolidando un piano di investimenti pubblici e privati, a partire dalle infrastrutture e dagli investimenti in campo energetico e ambientale. Questi ultimi in particolare sono spesso bloccati dall’eccessiva burocrazia».