Una produzione in crescita iperbolica che preoccupa Confcooperative di Reggio Emilia. Il timore è che prima o poi esploda la bolla e che il sistema cada in una profonda crisi. Lo scenario diventa inquietante se i dati del Parmigiano, del Padano e dei foraggi Duri vengono messi a confronto.
di Virgilio - Reggio Emilia, 28 Febbraio 2018 – I numeri che stanno delineando la tendenza produttiva, e non solo, del Parmigiano Reggiano preoccupano l'associazione delle cooperative bianche di Reggio Emilia.
Dopo un 2017 che ha registrato una crescita produttiva del 5,1% e un nuovo record produttivo di oltre 3.650.000 forme, il 2018 sembra proiettato a conquistare un nuovo alloro. +6,3% la produzione di gennaio 2018 rispetto all'analogo mese dell'anno precedente e con magazzini sempre più stipati.
La produzione del mese di gennaio infatti ha registrato 326.946 forme prodotte contro le 307.641 del gennaio 2017 e una media giornaliera che per la prima volta ha superato la soglia delle 10.000 unità al giorno (a gennaio è stata di 10.546 forme/giorno, nel gennaio 2017 9.923, mentre nel mese di dicembre 2017 ne sono state prodotte 9.839 quotidianamente).
Insomma sembra che le preoccupazioni di Confcooperative di Reggio Emilia siano fondate su elementi di consistenza anche in ragione del fatto che il Parmigiano Reggiano di 18 mesi di stagionatura sta crescendo all'interno dei magazzini, anticipando una tendenza in atto che porta a stagionatura maggiore un volume più elevato di prodotto.
Inoltre, osservando il dato territoriale, l'aumento dello scorso mese è stato maggiore nei caseifici collocati nell'area montana (+9,3), seguiti da quelli collocati nella bassa pianura (+6,6% )e alta pianura (4,1%).
Ma altrettanto curioso è notare come, già da diverso tempo, questo aumento non sia legato ad un altrettanto proporzionale aumento del latte prodotto nelle aziende agricole del comprensorio montano.
Una situazione generale che rischia di esplodere in mano ai produttori.
"Rischiamo – sottolinea Confcooperative di Reggio Emilia – di andare sempre più in distonia con consumi che crescono troppo poco anche all'estero e che, al di là di proclami e intenzioni, non si modificano con la velocità con la quale, al contrario, cresce la produzione e si riformano scorte che dovranno essere smaltite in lunghi periodi in cui la tenuta delle vendite potrebbe essere sorretta solo da un calo dei prezzi e, conseguentemente, dalla penalizzazione dei redditi dei produttori".
"Con un approccio poco rigoroso al governo della produzione (salita a 3,65 milioni di forme nel 2017) e senza attente analisi sulla ricostituzione delle scorte – prosegue la centrale cooperativa di Largo Gerra – rischiamo di vanificare il faticoso lavoro costruito strategicamente negli anni scorsi, non solo con la definizione dei livelli di produzione sostenibili, ma anche con l'attribuzione delle quote produttive direttamente alle aziende agricole (quote oggi iscritte nei loro patrimoni, negoziabili e usabili anche come garanzie) e l'introduzione di una contribuzione differenziata finalizzata a scoraggiare gli eccessi di produzione".
"La stessa franchigia su queste contribuzioni aggiuntive proposta dal Consorzio e approvata dai soci nelle scorse settimane – osserva Confcooperative – va esattamente all'opposto del governo dei flussi produttivi, avendo di fatto "legalizzato" una produzione del 3% superiore a quella fissata dai piani produttivi in totale assenza di ragioni di mercato (consumi italiani ed esteri) e in presenza di un aumento delle scorte complessive che a dicembre ha superato il 12%".
"Per un prodotto a così lunga stagionatura – prosegue Confcooperative - guardare semplicemente alle quotazioni del momento serve a poco; occorre, al contrario, mettere insieme tutti i fattori che, nel tempo, possono dare stabilità ai redditi dei produttori su livelli soddisfacenti, tenendo ben presente che sui buoni livelli attuali incidono tre anni di produzione (2013, 2014 e 2015) in bilico tra flessioni (-0,85% nel 2013) e aumenti massimi sotto l'1% (+ 0,57% nel 2014) che hanno reso sopportabile il balzo del 5,1% del 2016".
"Da parte del Consorzio – conclude Confcooperative – serve subito una ripresa rigorosa del governo dei piani produttivi orientata ai redditi e non agli ottimismi di maniera o ai facili consensi, perché in gioco c'è il futuro delle aziende agricole, di una montagna che non ha alternative produttive e, tra i consorziati, soprattutto quello dei caseifici cooperativi che vivono di conferimenti e, differenza dei privati, alle congiunture sfavorevoli non si possono sottrarre semplicemente acquistando latte al minor prezzo".
Un trend produttivo di cui non è assolutamente all'oscuro il presidente Nicola Bertinelli, tant'è che lo scorso 27 dicembre, in occasione del tradizionale incontro con i produttori zonali di Noceto (PR), ebbe a esporre la sua linea di intervento per scongiurare condizioni di ancor maggiore difficoltà per il comparto.
"Abbiamo preso un'eredità pesante, - aveva sottolineato Nicola Bertinelli - perché per la prima volta il Consorzio ha in gestione 3.650.000 forme. Il Parmigiano Reggiano viene venduto mediamente ogni 22 mesi. Quindi nel 2017 abbiamo venduto il formaggio fatto nel 2015 pari a 3.300.000 forme. Se nulla cambia, 3.300.000 forme rappresentano l'equilibrio di mercato per consentire alla filiera di avere una remunerazione adeguata di tutti i capitali investiti. Ma nel 2016 abbiamo prodotto 3.470.000 forme, ovvero 170.000 forme in più. Nel 2018 dovremo perciò collocare 170.000 forme in più rispetto all'equilibrio di mercato. Nel 2017 stiamo sfondando il muro delle 3.650.000 forme che corrispondono a 180.000 forme in più da vendere nel 2019. 2018 più 2019 avremo quindi da collocare 350.000 forme in più che, se rapportate ai 3,3 milioni, rappresentano un +10%. Per dare una fotografia di quanto valgano, gli Stati Uniti, che sono il nostro mercato estero più importante ne assorbe 250.000 e il Canada 50.000 forme. In due anni dobbiamo trovare uno spazio di mercato pari a uno Stati Uniti e due Canada".
Proseguendo con i ritmi registrati a gennaio 2018, la proiezione a fine 2018 sarà prossima a 3.885.000 forme, un volume effettivamente elevato, corrispondente a 585.000 forme oltre il limite fisiologico di 3,3 milioni.
Per fronteggiare una così grave tendenza, la strategia messa in campo dal neo presidente del Consorzio è così sintetizzata:
Innanzitutto occorre fermarsi. Bloccare la produzione per dar tempo ai mercati di metabolizzare il surplus produttivo che si è venuto a generare in questi ultimi anni. Individuati perciò i gruppi di potenziali consumatori (dalle neo mamme agli anziani per passare dagli sportivi e così via) "dobbiamo pertanto mettere in campo azioni di riposizionamento della marca, - sottolineava a fine dicembre Nicola Bertinelli - comunicando ai consumatori e riempiendo di contenuti la marca Parmigiano Reggiano. La nostra brand equity è altissima, ricca di contenuti, anche nuovi, da individuare e meglio trasmettere, ma dobbiamo spiegare che il nostro prodotto è insostituibile".
Terzo Pilastro del Piano bertinelli è la lotta alla contraffazione. "Abbiamo istituito una sorveglianza giorno e notte delle 34 linee degli impianti di grattugia, in modo da garantire che tutto quello che viene commercializzato come Parmigiano Reggiano, effettivamente lo sia. Prima di questi controlli c'erano circa 60mila forme di sbiancato che attualmente sono fuori dal circuito del grattugiato. Oggi le forme in grattugia sono 420mila. Appena insediato ho assunto 25 persone e poco dopo altre 7 per avere una copertura totale, 7 giorni su sette."
Infine, dal Caseificio agli allevatori. "Abbiamo parlato di quello che faremo dal Caseificio al consumatore, ma adesso dobbiamo lavorare anche sulla parte che va dal caseificio alla base." Dal nuovo disciplinare che impone nuovi parametri, tra sostanza grassa e caseina, per finire al benessere animale, perché "Noi abbiamo anche la responsabilità - sottolinea il Presidente - di essere i produttori del Parmigiano Reggiano."
UNO SCENARIO ANCOR PIU' COMPLESSO
Sin qui sono stati evidenziati i potenziali di rischio analizzando le componenti esclusive del Parmigiano Reggiano, senza considerare le dinamiche esterne, quelle che potrebbero innescarsi in forza delle pressioni connesse al settore del Grana Padano e dei Similari.
Innanzitutto va osservato come la forbice di prezzo (delta 3,65€/Kg) tra Grana Padano e Parmigiano Reggiano sia eccezionalmente ampia (6,15€/kg 9 mesi GP - 9,80€/kg 12 mesi PRRE). Storicamente, a una eccessiva distanza tra i prezzi, si è assistito a un veloce e rapido ridimensionamento del prezzo del Parmigiano e ovviamente dei consumi.
Ma sono anche altri gli elementi di curiosità che andrebbero meglio indagati.
Se il Parmigiano Reggiano sta registrando incrementi produttivi da record e una concomitante contrazione dei consumi, anche il principale competitor, il Grana Padano, sta registrando, seppur in modo più ridotto, una crescita produttiva (+1,17% sul 2016), un analogo aumento degli stock di magazzino e una contrazione dei consumi.
E' da sottolineare infatti che, nello scorso mese di gennaio, i consumi domestici hanno registrato una situazione di quasi pareggio per il Grana Padano (+0,6%) a fronte di un secco -5,3% del Parmigiano Reggiano, un +7,4% per il Pecorino Romano mentre registra una sensibile flessione l'Asiago (-2,6%). Molto interessante, quanto preoccupante, è la scalata dei formaggi cosiddetti "similari" che hanno guadagnato un considerevole +9,2%.
Una scalata inarrestabile dei nuovi attori; dagli apripista più "tradizionali" come il Gran Moravia, il Biraghi e il Gran Mix si è aggiunto il 300 e il 400 di Granarolo, prodotto da solo latte italiano. Una potente truppa di similari che, se preoccupa in modo particolare il Grana Padano, non può lasciare insensibile il governo del Parmigiano.
Sul fronte del Padano, la preoccupazione è alle stelle, al punto tale che il Consorzio del Grana Padano DOP, ha pubblicato una lettera aperta dall'esaustivo titolo: SIMILARI, ADESSO CHIAREZZA.
"23/01/2018 - Purtroppo solo ora che il similare ci sta facendo male davvero - scrive il consorzio del "Grana Padano" -il mondo economico, istituzionale e politico si accorge dei danni che sta arrecando al Grana Padano e che arrecherà, seppure in modo più sfumato, al Parmigiano Reggiano. Alle 2 più importanti DOP casearie italiane e del mondo.
Del resto i copioni, la storia lo insegna, si sviluppano e si radicano dove ci sono marchi importanti e diffusi, per rubare spazi che diventino via via più rilevanti.
Quando tanti anni fa, noi del Consorzio, lo temevamo, lo gridavamo e abbiamo continuato a sollecitarlo venivamo presi per cassandre pessimistiche.
Abbiamo chiesto venisse concesso al Consorzio di vietare ai caseifici produttori di Grana Padano di produrre anche similare e ci è stato negato! Abbiamo chiesto che i numerosi "Gran" che invadono gli scaffali venissero bloccati perché evidenti e, a nostro avviso illecite, evocazioni e ci è stato negato!..."
Per concludere questa panoramica extra consortile e forzando un po' la fantasia, viene spontaneo ipotizzare anche operazioni speculative in ragione del fatto che i pochi e potentissimi "commercianti" possiedono grandi quote di Parmigiano e di Grana Padano.
Se questa ipotesi dovesse verificarsi, allora i rischi per gli operatori del comprensorio potrebbero cadere in una crisi finanziaria molto grave. Infatti, come abbiamo potuto osservare, l'allungamento dei tempi di stagionatura del Parmigiano reggiano, comporta una crescente esposizione da parte dei caseifici con la sola certezza dei costi e la totale incertezza dei ricavi, soprattuto se dovesse esplodere la bolla casearia prospettata da Confcooperative Reggio Emilia.
Un tasso entropico elevato che se dovesse stabilizzarsi con troppa rapidità lascerà sul terreno molte macerie.
Ma si sa, "nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma" e, in questo caso specifico, è altamente probabile che della "bolla" se ne potranno avvantaggiare solo i soliti pochi, noti e potenti, diventando di fatto e rapidamente, gli "azionisti di riferimento" anche del "Parmigiano Reggiano", mettendo fuori combattimento un bel numero di caseifici, quelli più fortemente esposti finanziariamente e per di più con magazzini svalutati, disposti perciò a svendere pur di realizzare.
Un finale tragico al quale non si vorrebbe nemmeno pensare.
CONCLUSIONI
Se oggi il prezzo del Re dei formaggi è soddisfacente, secondo Confcooperative Reggio Emilia, lo si deve a tre anni di sofferenze, ..."tenendo ben presente - scrive l'organizzazione - che sui buoni livelli attuali incidono tre anni di produzione (2013, 2014 e 2015) in bilico tra flessioni (-0,85% nel 2013) e aumenti massimi sotto l'1% (+ 0,57% nel 2014) che hanno reso sopportabile il balzo del +5,1% del 2016". Insomma, l'incremento del 2017 e quello che si prospetta per l'annata in corso, preoccupa, non poco, l'associazione di categoria reggiana e i caseifici sociali a essa aderenti.
Una presa di posizione, quella di Confcooperative reggiana, che riteniamo non passerà inascoltata e, molto probabilmente, trascinerà gli organi di governo del Parmigiano Reggiano a una nuova riflessione e, si presume, a un confronto con le rappresentanze della produzione, della trasformazione e della commercializzazione.
Un confronto che, alla luce dei cupi scenari del settore caseario, si fa ancor più drammaticamente urgente.