Il mercato detta legge. Agricoltori e allevatori europei manifestano, anche con violenza, a Bruxelles. Gli effetti negativi della fine del regime delle quote latte si sono manifestati molto prima dell'immaginabile. Ma era un destino segnato e qualcuno dovrà pagarne le conseguenze. Gli allevatori hanno già dato.
di Lamberto Colla 13 settembre 2015 -
Non poteva che finire così: trattori che sfidano i blindati davanti alla Commissione dell'UE a Bruxelles.
A pochi mesi dalla tanto auspicata liberazione dal regime delle quote latte ecco che ci si rende conto della voracità del mercato libero e competitivo. Ed allora gli animi si infiammano e la protesta si trasforma in scontro come documenta il servizio della Tv Belga RTBF.
A nemmeno 4 mesi di distanza dalla liberalizzazione del mercato del latte il prezzo alla stalla crolla per effetto, prevalentemente, dell'eccesso di offerta rispetto alla domanda e, per di più, si allarga ancor più la forbice tra prezzo alla stalla (0,35€/litro) e prezzo al consumo (1,45€/litro) a confermare, se mai ce ne fosse stato ancora bisogna, della stragrande forza dell'industria di trasformazione e della distribuzione rispetto al settore primario.
La cosa era ben più che prevedibile, era una certezza ma nessuno di coloro che avrebbero avuto il compito di governare e di quelli invece che avrebbero avuto il compito di negoziare le politiche agricole (Organizzazioni professionali Agricole) hanno fatto qualcosa nella speranza, forse, di liberarsi una volta per tutte del peso delle quote latte.
Le regole del mercato sono ferree, se i consumi stagnano e l'offerta cresce è inevitabile che il prezzo scenda.
Ma si sa i furbetti ci sono da tutte le parti e in tutti i paesi dell'UE.
Così, se l'Italia è riuscita a ingarbugliarsi sin dalle origini con la gestione delle quote latte (dal bacino unico alla prima supermulta dell'equivalente di 2 miliardi di euro (1994) pagata dai contribuenti e non dai singoli splafonatori, come avrebbe dovuto essere, alla rivolta dei Cobas latte che inneggiavano alla libertà sacrosanta di produrre, in barba a ogni regola scorrazzando liberamente, a suon di ricorsi ai TAR, nelle praterie del latte infischiandosene delle maggiori produzioni e del prelievo supplementare orientandosi invece a investire, in tecnologie e nuove mandrie, quelle risorse che invece gli altri (95% degli allevatori) dovevano investire nell'acquisto o affitto delle "quote" (di fatto una licenza a produrre latte) o per pagare le multe annualmente conteggiate (più male che bene) dall'Aima e dall'Agea relativamente ai quantitativi prodotti oltre il limite assegnato annualmente a ciascuna stalla.
Per l'Italia, a dire il vero, il problema nacque molti anni prima delle quote latte, sin dagli anni settanta quando la CEE sanzionò il Bel Paese applicando i "Montanti Compensativi", obbligandoci perciò a importare latte dalla Germania (sempre loro) compensando gli effetti dovuti all'alto differenziale di svalutazione tra le due monete sovrane. Una concessione che ha condotto a ridurre la produzione nazionale, a favore di quella tedesca, ben al di sotto della soglia di autoapprovvigionamento lattiero italiano (attualmente intorno al 70%). Così, nel 1983, anno nel quale si congelarono le produzioni per dare vita al regime delle quote latte l'Italia si è trovata a poter produrre molto meno di quanto fosse la domanda interna.
E poi si arrivò all'allargamento dei confini Ue con l'ingresso dei forti produttori di latte dell'Est che non vedevano l'ora di esportare in Europa, per di più in mercato protetto.
Infine, ma non da ultimo, con l'approssimarsi della fine del regime ecco che quasi tutti, tranne l'Italia che invece doveva fare i conti con le multe e di tutta quella quota di latte destinata ai formaggi DOP già contingentata per la difficoltà di trovare nuovi canali distributivi, hanno cominciato a aumentare le produzioni nella speranza di avvantaggiarsene una volta liberi dal vincolo delle quote. Un'euforia che si è scatenata poi dal primo maggio 2015 quando "finalmente" sono state abbattute le barriere.
Poco più di 90 giorni e la rabbia è già salita dalle stalle alle stelle almeno osservando la protesta di lunedi 7 settembre. Trattori contro blindati. Avrebbero dovuto fare a testate contro i blindati e allora sì che l'avrebbero avuta vinta.
O si torna a un regime protetto o la china sarà dura da risalire come avevamo anticipato i giorni scorsi.
A dire il vero avevamo anche anticipato le furberie dei francesi , tedeschi e irlandesi, eccetera, e che sarebbero stati sufficienti pochi mesi perché il bubbone esplodesse. Ma mai avremmo pensato, così pochi mesi.
Il 5 aprile scorso scrivevamo che "Ancora pochi mesi e la fragilità del nostro sistema lattiero caseario si manifesterà con violenza a meno di un miracolo o che si faccia finalmente squadra coinvolgendo tutti, nessuno escluso, industriali compresi ovviamente.
Sarà invece più facile trovare da leggere nostalgiche poesie sui bei tempi delle vituperate quote latte."
Una questione che era nota da tempo tant'è che venne aperto un dossier sul latte, chiuso solo il 14 luglio 2014 nel quale si respingevano specifiche richieste dei paesi germanocentrici (oltre a Germania quindi Olanda, Polonia, Austria, Danimarca e Belgio) i quali chiedevano di modificare il tenore in grasso per eludere il pagamento delle multe latte avendo essi stessi "notevolmente aumentato le proprie produzioni di latte proprio allo scopo di godere di un "vantaggio competitivo" in occasione delle nuove misure di intervento sul latte che verranno adottate a partire dalla campagna lattiera 2015-2016".
Ogni Paese perciò ha messo del proprio per arrivare a questa ulteriore crisi del latte.
Ma quello che più sconcerta è l'atteggiamento delle Organizzazioni Sindacali Agricole che, sulla questione "latte", hanno sempre assunto una posizione ambigua forse per timore di qualche ritorsione da parte governativa o industriale.
Che non ci sia qualche scheletro nell'armadio!