Domenica, 12 Luglio 2015 10:30

Lattiero Caseario in crisi. L'analisi di Giuseppe Alai presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano In evidenza

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Giuseppe Alai - Presidente Consorzio Parmigiano Reggiano Giuseppe Alai - Presidente Consorzio Parmigiano Reggiano

Giuseppe Alai: con la dicitura "Latte Italiano" aumenterebbe l'appeal dei nostri formaggi. L'aumentata competitività coincide con l'aumento della selezione. Occorre perciò fare delle precise scelte politiche e uscire dal modello della moltitudine degli offerenti per passare a fare sistema.

di Lamberto Colla, Reggio Emilia 6 Luglio 2015
Da molti anni si parla di un settore lattiero caseario in crisi e, con la fine del regime delle quote latte, il rischio per il settore si è fatto ancora più reale e concreto. Abbiamo cercato di comprendere i meccanismi, e le probabili soluzioni, registrando l'opinione di uno dei più accreditati esperti del settore, il Presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano Giuseppe Alai.

1- Crisi lattiero caseario - Quali sono gli elementi macroeconomici che stanno minando il settore?

Senza ombra di dubbio la competitività internazionale delle nostre produzione. L'Italia ha sempre vissuto, attraverso le DOP, su una ricchezza che deriva dal valore aggiunto di questi formaggi, ma oggi siamo immersi in una competizione internazionale dove, chiaramente, la selezione è l'equivalente di competizione.
Siamo il paese, prosegue Giuseppe Alai, che ha mediamente le stalle più piccole, siamo il paese che ha mediamente le industrie casearie più piccole, siamo il paese che ha la minore concentrazione della produzione. Questo sta a significare che nel momento in cui ci si affaccia a uno scenario in cui la competizione è sulle portanze di livello mondiale è inevitabile non risentirne gli effetti. Così il latte europeo costa come il latte mondiale e il latte italiano costa come quello europeo e la conseguenza obbligata è, purtroppo, che gli allevamenti con strutture inadeguate e che si trovano in zone svantaggiate e marginali debbano chiudere.

2 - Fonterra, dalla Nuova Zelanda all' Olanda. Significa che in Europa c'è ancora spazio di manovra tale da diventare terra di conquista?
Intanto vedo un primo pericolo nel fatto che Fonterra si metta insieme a FrieslandCampina e Arla Food. Per dare una dimensione FrieslandCampina ha 19.000 soci ed è presente in tutto il mondo. Queste sono cooperative che hanno un respiro mondiale su tutto il mercato lattiero caseario e le loro produzioni vanno dal latte alimentare da bere, al latte in polvere, ai formaggi, ai baby food, alle bevande a base di latte dimostrando una fortissima evoluzione nella modalità di offerta.

Scopo delle cooperative è di piazzare il latte realizzato dai loro soci e Fonterra è arrivata in europa, dalla Nuova Zelanda, perché ha annusato un'opportunità a seguito della fine del regime delle quote latte. E' fuori discussione che sia una cooperativa che adotti politiche commerciali molto aggressive. Teniamo presente che Fonterra produce il 4% del latte mondiale ma copre il 40% dell'export del latte mondiale. E' una realtà che si muove prevalentemente sulla base del prezzo al punto tale che nel mese precedente c'è stata una specie di rivolta da parte dei suoi soci che hanno lamentato di avere dovuto crescere dimensionalmente per muoversi verso mercati internazionali e ciononostante i ricavi sono sensibilmente diminuiti. Questo fa percepire come, anche dall'altra parte della terra, si stia percependo questa competitività accresciuta dal punto di vista delle produzioni lattiero casearie.
Quali spazi di manovra ci sono? Quello di internazionalizzarci. D'altra parte se l'internazionalizzazione è considerato dagli altri lo sbocco di mercato al quale assegnare la priorità, noi dobbiamo fare altrettanto e andare a casa loro con i nostri prodotti.

3 - E' iniziata la campagna lattiera orfana delle Quote Latte, quali scenari si possono intravedere?
Ormai il prezzo in Italia è diventato il prezzo europeo ed il prezzo europeo è diventato prezzo internazionale, come appunto si diceva prima. Perciò o si determinano delle politiche vere e proprie del settore lattiero caseario, cosa che non mi sembra si stia facendo, perlomeno in Italia, oppure saremo obbligati a diventare competitivi sulla base del prezzo andandoci a scontrare con realtà aggressive come Fonterra. A tale proposito non dimentichiamo che c'è una cooperativa indiana, Amul, che ha scelto di produrre solo per il fabbisogno interno che peraltro rappresenta il 17% della produzione mondiale.

Se una cooperativa come questa decidesse di espandersi la ricaduta mondiale sui prezzi sarebbe pesantissima. Basti considerare che quell'enorme volume di produzione è garantito da una moltitudine di stalle la cui consistenza media è di 6,5 vacche. Attraverso il imitato aumento di una vacca per allevamento si determinerebbe un incremento del +15% il volume di latte che sarebbe interamente destinato al mercato globale con conseguenze facilmente immaginabili dal punto di vista del prezzo internazionale del latte alimentare.
Cosa ci fa intravedere questa situazione? Che passare da un mercato garantistico (regime delle quote latte, ndr) a un mercato libero la determinante della crescita produttiva la fa principalmente il prezzo. E' perciò importante inquadrare degli scenari nuovi di valorizzazione delle nostre produzioni. Noi da questo punto di vista abbiamo molto da imparare perché, a differenza di altri paesi, non ci siamo mai posti seriamente i problemi di ordine competitivo delle nostre produzioni.

4 - Un'opinione flash sull'ultima trovata di Bruxelles: il formaggio "Senza Latte"
Lo ritengo un atto di "vandalismo culturale" nel senso che va a modificare completamente quello che è la ragione che porta il formaggio a possedere le proprie specifiche caratteristiche.
I formaggi fatti con il latte in polvere perdono quel significato sul quale noi abbiamo impostato la valorizzazione e riconoscibilità dei nostri prodotti come il gusto, l'aroma e, in generale, le peculiari caratteristiche organolettiche che determinano la loro distintività.

La volontà di chiedere la deroga alla legge 138 del 1974, sembra sia venuta dall'associazione industriale del latte e sospinta da un deputato europeo per ragioni di competitività industriale.
Questo dal punto di vista della logica imprenditoriale è, forse, comprensibile però ancora ribadiamo che manca una politica lattiero casearia italiana. Il nostro Paese deve arrivare a decidere se si punta sulle DOP, se si punta sulla competitività delle produzioni o se si punta invece su qualsiasi tipologia di produzione che derivi dal latte vaccino.
Una scelta ferma da anni e che nessuna delle professionali intende affrontare, lasciando i consorzi soli a combattere contro la logica della indefinizione delle politiche.

5 - Potrebbe essere una forma di ricatto per accettare definitivamente gli OGM in Italia e affinché si proceda verso il Trattato Transatlantico?
Potrebbe. Sicuramente è una logica non degli allevatori, non dei caseifici ma prettamente industriale portata avanti dalle grandi multinazionali che fanno sì che i loro prodotti vadano alla ricerca dei mercati più remunerativi.

6 - Il differenziale tra il prezzo alla stalla e il prezzo al pubblico del latte alimentare è coerente o come si suppone il più forte vince sempre?
Ho visto che ci sono delle catene della grande distribuzione che si sono fatte parte diligente su questo fronte. Ad esempio Conad che ha pubblicizzato il fatto che avrebbe pagato un importo di 38 centesimi il latte alla stalla. Non scaricherei, quindi, tutta la responsabilità sulla grande distribuzione ma cercherei invece di passare da una logica di filiera a una logica di sistema.

Sarebbe interessante capire come possano essere determinate le condizioni di valorizzazione per pagare i costi di ogni singolo passaggio. Questo oggi non accade assistendo allo scontro tra la forza della domanda contrapposta a quella dell'offerta. Il mercato libero, al momento attuale, non esiste e se si vuole parlare di filiera occorre uscire dalla logica di moltitudine di offerenti per portarsi verso una logica di sistema nella quale si tenda a remunerare il lavoro di ciascuno modo più adeguato.

7 - Formaggi duri semi grassi. Da molti mesi hanno i prezzi bloccati. Tira l'Export ma con valori economici non così allettanti come un tempo. Come si potrebbe uscire da questa situazione in generale e in particolare per il Parmigiano Reggiano?
Lo dicevamo prima, o diventiamo sistema e usciamo dalla logica della moltitudine di offerenti o anche noi saremo alla stregua delle altre produzioni, individuate nelle quotazioni sulla base di quelli che sono i nostri costi di produzione e chi riesce a essere competitivo riesce a andare avanti. Se oggi dovessimo, sulla base del prezzo del latte europeo, cioè 32-33 centesimi, dire quanto vale il latte per il parmigiano reggiano dovremmo dire 48 centesimi ovvero 7,5€/kg. Tutto quello che va in più risiede nella nostra capacità di valorizzare il nostro prodotto attraverso delle politiche di sistema e delle politiche di settore. Questa è la sfida che dovrà contraddistinguere il lavoro dei consorzi e della politica nei prossimi anni, altrimenti la mera competizione dei prezzi porterà a rendere queste situazioni, oggi ritenute insostenibili, stabili fino anche vi sarà qualcuno che offrirà il latte alle condizioni attuali. Diciamola tutta, si parla di crisi da anni ma la produzione anziché diminuire è aumentata.

CFPR sede

8 - Cosa sta meditando il CFPR per "cavalcare la tigre"?
Noi siamo il formaggio che ha la maggiore rinomanza e credibilità verso il consumatore. Dobbiamo semplicemente accrescere questo livello qualitativo attraverso una politica consortile che si basi su tre punti fondamentali:

1. la determinazione quantitativa del formaggio fare in modo che l'offerta non sia in esubero sulla domanda;

2. la modifica del disciplinare per fare la differenza rispetto gli altri formaggi. Il consumatore deve trovare riscontro qualitativo forte nel maggior prezzo sostenuto.

3. Il terzo punto è quello dell'export perché è l'unica strada che consente di aumentare le produzioni.

Su quest'ultimo punto ci attendiamo delle risposte dalla politica. Andare a dire agli allevatori italiani di mungere altro latte significherebbe destinare più latte a produzioni similari in quanto i consumi di latte sono in flessione. Le produzioni DOP sono tutte in condizioni di livello di equilibrio, quando non sono addirittura in eccesso di produzione, e la produzione in eccesso andrebbe, per forza di cose, a produzioni similari, simil grana, simil asiago, simil taleggio e così via.
Si dovrà fare, quindi, una scelta politica nella individuazione delle potenzialità produttive e delle quantità destinate a queste produzioni.

"Oggi, secondo me, conclude Giuseppe Alai, è importante riuscire a distinguere, nell'ambito della destinazione di queste politiche, la possibilità di utilizzare la dicitura di "Latte Italiano", che sappiamo essere una dicitura di appeal rispetto i consumatori, affinché diventi un fattore concorrenziale con i formaggi esteri, cosa che oggi non sta avvenendo.
Occorre perciò che i consorzi vengano posti nelle condizioni di poter lavorare sulla offerta di prodotto e al tempo stesso vi sia anche la possibilità, da parte degli allevatori, di accrescere le produzioni ma con una destinazione alternativa e molto precisa di quello che i loro allevamenti producono."

PRRE MARCHIO EXPORT

 

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