Conviene investire nei Paesi Emergenti? Quanta parte del portafoglio finanziario potrà essere destinata ad azioni e obbligazioni delle economie in via di sviluppo? Una guida ragionata per l'investimento consapevole.
10 giugno 2017
I Paesi emergenti attirano sempre maggiori flussi di denaro da parte di investitori attratti dalle maggiori opportunità di guadagno che questi Stati offrono rispetto ai mercati finanziari tradizionali. Ma l'investimento nelle economie emergenti presenta anche rischi, legati per lo più all'instabilità politica, valutaria e alla maggiore volatilità che li contraddistingue.
Investire in azioni emergenti: perché conviene
Nonostante il l downgrade della Cina, le borse dei Paesi Emergenti hanno "tenuto" e continuano a crescere avvicinandosi rapidamente ai massimi del 2015. Nonostante ciò investire una quota del proprio portafoglio in azioni emergenti potrebbe essere un'ottima scelta per aumentare i rendimento complessivi, grazie ad alcune considerazioni importanti:
1) Le economie emergenti hanno offerto rendimenti molto alti, nel corso degli anni. Certamente a periodi buoni si sono alternati momenti sfavorevoli, ma dal 1999 il loro trend è in salita, a testimonianza del fatto che molti di questi Stati presentano una crescita forte, che bilancia quella registrata dai Paesi industrializzati nello stesso periodo;
2) l'inserimento di azioni emergenti avrebbe permesso il recupero del "decennio perduto". Durante il periodo 2000 – 2010 i mercati azionari sviluppati hanno offerto rendimenti insoddisfacenti, prestando il fianco alle critiche di chi sostiene che le borse non siano i migliori investimenti a lungo termine. L'inserimento in portafoglio di una quota di azioni emergenti avrebbe aumentato molto il rendimento finale ottenuto, senza per questo incrementare i rischi;
3) se paragoniamo l'andamento delle azioni emergenti con quelle "sviluppate" notiamo come le prime stiano accelerando rispetto alle seconde. Ciò significa che durante le fasi di rialzo le azioni emergenti tendono ad offrire rendimenti superiori alle azioni dei mercati sviluppati; nelle fasi di ribasso la discesa delle quotazioni è grosso modo la stessa per entrambe le tipologie di titoli, a testimonianza del fatto che anche gli emergenti sono mercati finanziari maturi.
Perché investire in obbligazioni dei Paesi Emergenti
Le politiche monetarie espansive messe in atto dalle banche centrali di tutto il mondo hanno contribuito a fare scendere i tassi di interesse, che si sono "appiattiti" vicino allo zero per le scadenze più brevi.
Questo ha implicato la necessità, per i risparmiatori, di cercare delle alternative a maggior rendimento, in grado cioè di offrire una adeguata remunerazione periodica ai propri capitali.
Ecco allora che, orfani dei titoli di Stato, sempre più investitori si sono rivolti ai bond emessi da Paesi emergenti, al fine di ottenere cedole più alte insieme con una possibile rivalutazione in conto capitale in caso di apprezzamento delle valute di denominazione dei titoli rispetto all'euro.
Investire in obbligazioni emergenti, però, comporta rischi notevoli in termini di volatilità cui l'investimento è soggetto.
Per questo motivo sconsiglio di comprare da soli i bond ritenuti più remunerativi, per affidarsi invece a portafogli diversificati e composti da decine di obbligazioni diverse, per lo più denominate in altrettante valute così da mitigare il rischio valutario.
Grazie alla grande offerta di fondi comuni di investimento obbligazionario è possibile, in modo agevole, investire su una pluralità di strumenti finanziari ottimizzando il rapporto rendimento – rischio.
Che "peso" dare agli emergenti all'interno dei portafogli?
Non esiste una quota "ideale" del proprio portafoglio da investire in azioni ed obbligazioni dei Paesi emergenti. Tutto dipende dai propri obiettivi di investimento, dalla propria tolleranza al rischio e dalla strategia adottata.
In linea di massima, però, è possibile identificare una sorta di "forchetta" che rappresenta un utile riferimento per decidere che quota dei propri soldi allocare in questo tipo di investimento.
A mio parere è bene che la quota rappresentata dai Paesi emergenti sia compresa tra un minimo del 10% ed un massimo del 30%, avendo come riferimento il totale dei propri investimenti.
Tale quota andrà poi suddivisa tra azioni ed obbligazioni "emerging" a seconda delle proprie preferenze.
Potremmo decidere, ad esempio, di destinare il 10% del portafoglio alle azioni emergenti, sottoscrivendo un apposito fondo comune e azzerare l'investimento in obbligazioni. Questa soluzione va bene per chi desidera una crescita più rapida del proprio capitale, a discapito delle cedole periodiche.
Oppure potremmo investire il 20% in azioni ed il 10% in obbligazioni, se abbiamo una tolleranza al rischio maggiore. O, ancora, fare il contrario se desideriamo accrescere i nostri redditi periodici a scapito della crescita in conto capitale.
Insomma, un esperto potrà consigliarvi nel modo migliore, ma quello che è importante sapere è che un portafoglio di investimento diversificato oggi non può più fare a meno dei Paesi Emergenti.
Segui ogni due settimane l'analisi di Giacomo Saver, direttore e fondatore di Segretibancari.com sul mondo finanziario. A questo link l'ultimo articolo.
L'Emilia dei motori: un osservatorio permanente per garantire il futuro a tutta la filiera. È la proposta che Andrea Bozzoli, amministratore delegato di Hpe-Coxa, ha rivolto alla platea del convegno sull'Automotive organizzato da Confindustria Emilia. I massimi esponenti del mondo industriale, del mondo istituzionale e di quello accademico a Modena.
Modena, 8 giugno 2017
"L'Emilia dei motori, una filiera che guarda al futuro". Si è svolto ieri pomeriggio, presso l'aula magna dell'Accademia militare di Modena, il secondo convegno, a distanza di un anno, sul settore automotive emiliano. Il convegno è stato organizzato da Confindustria Emilia, sede di Modena, in collaborazione con la Fondazione Cassa di risparmio di Modena, Democenter e Unicredit.
Se nel 2016 a finire sotto i riflettori furono soprattutto i temi legati alla formazione e all'occupazione, in questa edizione 2017 si è scelto di affrontare principalmente l'aspetto dell'eccessiva frammentazione delle imprese che compongono l'indotto automotive, e di puntare, dunque, per il bene di un comparto che ogni anno muove un giro di affari di oltre sette miliardi, sugli elementi che possono contribuire alla crescita, non solo dimensionale, di tutta la filiera.
«Questo è il secondo appuntamento per fare il punto sull'automotive, uno dei comparti più avanzati, innovativi e noti a livello internazionale del nostro sistema industriale», ha spiegato Valter Caiumi, vicepresidente di Confindustria Emilia, dopo i saluti del comandante dell'Accademia Militare di Modena Salvatore Camporeale. «A maggio dello scorso anno abbiamo posto l'accento in particolare sulle grandi difficoltà dei principali player del settore di trovare risposte alla domanda di risorse umane adeguatamente formate e specializzate. Grazie allo stimolo delle imprese, e unitamente alla capacità delle istituzioni e delle università regionali di individuare in tempi brevi soluzioni appropriate, oggi possiamo contare sulla Motorvehicle University of Emilia-Romagna, che nel giro di qualche anno metterà a disposizione del distretto dei motori ingegneri ad altissima specializzazione».
«Oggi spostiamo l'attenzione su un altro aspetto fondamentale per rendere ancora più solida la competitività del settore», ha continuato Caiumi. «Parliamo della filiera dell'Automotive e di tutte le potenzialità che può esprimere. L'ho ripetuto più volte: abbiamo tutte le carte in regola per competere con i grandi poli produttivi dell'auto e del suo indotto, sia italiani sia stranieri. Ma per fare questo dobbiamo stringere relazioni più solide e strutturate con l'ampia filiera dislocata nella nostra regione che ruota intorno all'auto. La specializzazione della filiera rappresenta un importante vantaggio perché mette in campo catene di valore ben più ampie di quelle rappresentate dalle singole imprese e riesce a dare nuovo impulso alla crescita di piattaforme e bacini territoriali».
«Lo sviluppo e la diffusione del concetto di filiera saranno tra i punti fondamentali dell'attività di Confindustria Emilia», ha precisato il vicepresidente. «Le imprese della nuova associazione verranno organizzate, appunto, per filiere produttive. Verranno sperimentate forme di scambio e di collaborazione nuove tra imprese grandi, medie e piccole. Il valore aggiunto e l'azione di leadership delle imprese capofila potrà essere trasmesso all'intera catena di attività sussidiarie. Non va dimenticato che il successo di numerosi gruppi industriali italiani di medie dimensioni, tecnologicamente avanzati e capaci di presidiare nicchie globali, si fonda proprio su un impianto strutturato e intelligente del concetto di filiera».
«E sono queste realtà, le cosiddette multinazionali tascabili, che accendono i fari dell'internazionalità sui nostri territori, che attirano gli investitori e ci fanno uscire dal provincialismo», ha concluso Caiumi. «Per questo mi fa particolarmente piacere essere qui a parlare della filiera dell'automotive. Oggi rifletteremo sulla nuova tipologia organizzativa di un comparto "storico" della nostra industria. Con la certezza che potrà diventare un modello applicabile ad altri settori altrettanto importanti del nostro sistema produttivo».
«UniCredit, banca e partner del territorio, ha voluto sostenere e prendere parte a questa iniziativa che accende i riflettori su un settore portante della nostra economia», ha sottolineato Andrea Burchi, Regional Manager Centro Nord Unicredit. «Un settore del quale conosciamo bene i punti di forza e l'alto potenziale e in cui vogliamo investire, offrendo servizi in grado di agevolare processi volti allo sviluppo di tutta la filiera produttiva. Cogliamo inoltre l'occasione per confermare la vicinanza della banca al tessuto industriale locale e per consolidare il rapporto con controparti di rilievo, come Confindustria Emilia, che agiscono come acceleratori a tutto tondo per lo sviluppo del business e dell'economia del territorio».
«Il distretto emiliano dell'automotive è caratterizzato dalla presenza di tante aziende di piccole e medie dimensioni. Tra queste aziende, però, alcune sono fin troppo piccole e frammentate: mediamente fatturano 3,8 milioni di euro e occupano 17 persone. Uno dei principali aspetti da migliorare è dunque quello dimensionale: bisogna lavorare affinché le aziende raggiungano una dimensione consona a poter operare in mezzo ai grandissimi produttori», ha rimarcato Andrea Bozzoli, amministratore delegato di Hpe-Coxa. «Se oggi le imprese possono avvalersi di grandi professionalità manuali, di operai specializzati, lo stesso non si può dire per la formazione di alto livello: la presenza di laureati in queste aziende è ancora troppo bassa. Abbiamo bisogno di una spinta di sistema da parte di università e istituzioni della regione. A questo proposito credo che il territorio sia pronto per istituire un Osservatorio Permanente sull'Automotive capace, attraverso un accurato e costante lavoro di raccolta di dati e di esigenze delle imprese, di studiare la filiera per mettere in campo tutte le azioni utili e necessarie per dare soluzioni, anche attraverso l'uso di fondi europei disponibili per la crescita».
«Oggi in Dallara siamo 620, più della metà sono ingegneri. Quando sono arrivato eravamo in 107. La crisi per noi è stata in fondo un'opportunità: ci ha costretto a lavorare insieme. Abbiamo capito che da soli non possiamo fare nulla. La competitività di una singola azienda si lega a filo doppio con la competitività del suo territorio». ha ricordato l'amministratore delegato di Dallara, Andrea Pontremoli. «I territori, però, devono mettere a disposizione delle aziende un sistema educativo all'altezza».
«La differenza la fanno le persone. Vogliamo le persone migliori? Offriamo benefit, soldi e stipendio, ma non basta, perché la parte immateriale è valore dell'azienda. E allora dobbiamo garantire altro, come ad esempio smart working, no cartellino e via andando», ha detto il responsabile Risorse umane di Ducati Luigi Torlai. «La formazione è al centro delle nostre imprese. Fate venire nelle nostre aziende i ragazzi delle medie inferiori. È lì che nasce il sogno. I giovani non cercano solo occasioni di guadagno, ma cercano anche il coinvolgimento in sfide professionali. Servono giovani con elevate competenze digitali, rinnovamento risorse umane».
Editoriale: Houston abbiamo un problema! - Burro alle stelle. - Cereali e dintorni. La Cina potrebbe rallentare la spremitura di seme di soia - "Performance Forte" per affrontare la Farm Run - Anche For.Me.Sa. affianca la Farm Run 2017. - Bonifica Centrale. Ricostruzione dell'impianto idrovoro di Mondine - Vino, Italia meglio dei competitor nel primo trimestre...
2017 SOMMARIO Anno 16 - n° 22 04 giugno 2017
1.1 editoriale
Houston abbiamo un problema!
2.1 lattiero caseario
Burro alle stelle.
3.1 cereali e dintorni Cereali e dintorni. La Cina potrebbe rallentare la spremitura di seme di soia
4.1 sport e integrazione "Performance Forte" per affrontare la Farm Run 2017 -
5.1 società Anche For.Me.Sa. affianca la Farm Run 2017.
6.1 biodiversità Agrobiodiversi alla conquista del Castello
7.1 idraulica Bonifica Centrale. Ricostruzione dell'impianto idrovoro di Mondine
8.2 eventi CRPA, i prossimi incontri: produzione di carne da allevamenti da latte e Parco Commestibile
8.1 mercato vino paesi terzi Vino, Italia meglio dei competitor nel primo trimestre
9.1 agriturismo Ismea, Agriturismo, offerta matura e competitiva.
10.1 promozioni "vino" e partners
11.1 promozioni "birra" e partners
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Se non ci fosse stato Trump il G7 di Taormina sarebbe stato uguale a tutti i precedenti con le solite melense comunicazioni finali. Invece...
di Lamberto Colla Parma 4 giugno 2017
Nell'incantevole, romantica e super blindata Taormina è andata in scena l'ennesima efficace provocazione trumpiana. Da navigato uomo d'affari il presidente statunitense ha inteso andare subito al sodo, al nucleo dei problemi:
1. il problema del surplus commerciale con esplicito riferimento a quello della Germania in particolare;
2. gli impegni degli alleati nel sostegno economico della NATO, quindi della difesa comune.
3. l'accordo di Parigi sul clima che l'amministrazione Trump intende rinegoziare e perciò si ritira.
Insomma Trump ha voluto confermare anche in questo frangente di voler mantenere le promesse elettorali (qui in Italia sembra una cosa assurda!) e riequilibrare i rapporti, anche economici, tra USA e i suoi alleati.
Di fatto è quello che un vero statista farebbe a difesa degli interessi del proprio Paese, che ha la responsabilità di governare, qualora si avverasse uno squilibrio ingiustificato e tale da produrre danni al proprio popolo.
Le critiche ovviamente sono cadute a catinelle e nessun commentatore ha il avuto il coraggio di evidenziare gli aspetti fondamentali che stanno alla base della trumpata consumata a Taormina.
Soffermiamoci per un attimo solo sulla questione del surplus commerciale.
La Germania non solo ha problemi verso gli USA ma ne ha uno grave, anzi molto grave, verso l'UE violando una procedura europea vincolante,, che ha la propria base giuridica nell'insieme di sei regolamenti, noto come "Six Pack", varato nel 2011 per reagire alla crisi economica.
Il tetto massimo di surplus consentito è del 6% mentre quello tedesco è del 9%. Attenzione che questa posizione dominante della Germania è il risultato di politiche economiche europee che hanno, in tempo di crisi, consentito alla moneta europea di svalutarsi, consentendo maggiori esportazioni e favorendo in primie la Germania, che per prima aveva fatto riforme di politiche del lavoro abbattendo i salari grazie al massiccio ingresso di lavoratori stranieri.
E' ovvio quindi che la Cancelliera Merkel fosse risentita dalla presa di posizione di Trump e la sua replica non si è fatta attendere. Dal palco elettorale, qualche ora dopo la chiusura del lavori del G7, ha lanciato la sfida dichiarando che "E' ora che l'Europa prenda il suo destino nelle sue mani".
Bene, si potrebbe anche convenire, ma prima sarebbe opportuno che la trazione motrice dell'europa da "posteriore" passasse a "integrale" e l'Italia, imitando Trump, innanzitutto chiedesse di sanzionare la Germania, ma anche l'Olanda e la Danimarca, che secondo i dati Eurostat violano il limite di surplus commerciale, e poi affrontasse i partner del condominio "Europa" per rinegoziare i trattati.
Ben venga che la Germania sia la locomotiva d'europa, ma questo non può essere a scapito degli altri condomini.
In sintesi, il commercio internazionale deve essere libero, ma equilibrato. Non ci possono essere Paesi che accumulano in continuazione ed altri che si indebitano senza fine.
E' giunto il momento di cambiare la "Portinaia del Condominio Europa".
Dopo l'austerity imposta alla Grecia, ora si sta comperando tutti gli aeroporti ellenici proprio prima delle vacanze estive (leggi il sole 24 ore del 31 maggio 2017). Non vorremmo mai che la prossima estate i tedeschi venissero a comprarsi anche i nostri.
Forza Presidente Mattarella, faccia rialzare il capo ai suoi primi ministri.
Il momento è arrivato e Trump, seppure involontariamente, ci ha lanciato un assist da sfruttare subito interrompendo per un attimo la perenne campagna elettorale per riportare al centro gli interessi della nazione e non solo delle lobby economiche e politiche.
(Foto Presidenza del Consiglio - T Barchielli)
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Editoriale: inganno perenne! - Latte spot in forte risalita. - Cereali e dintorni. Le variazioni legate al cambio valutario. - SDF, fatturato stabile in controtendenza al mercato. Inaugurata la nuova sede "High-Tech" in Germania. - Mais e Soia. Stime per la nuova stagione. -
SOMMARIO Anno 16 - n° 21 28 maggio 2017
1.1 editoriale
inganno perenne!
2.1 lattiero caseario
Latte spot in forte risalita.
3.1 cereali e dintorni Cereali e dintorni. Le variazioni legate al cambio valutario.
4.1 meccanizzazione agricola SDF, fatturato stabile in controtendenza al mercato. Inaugurata la nuova sede "High-Tech" in Germania.
5.1 mais e soia Mais e Soia. Stime per la nuova stagione
5.2 lavoro CIA, Serve un sostituto dei voucher, in agricoltura e non solo
6.1 eventi Presentata la terza edizione della Farm Run. Molte le novità interessanti.
6.1 eventi 100 Km del Passatore. Una ricognizione con i campioni. (Video)
7.1 export Ismea, 10% export agroalimentare è a "Stelle e strisce".
8.1 promozioni "vino" e partners
9.1 promozioni "birra" e partners
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Dalla favoletta del debito pubblico all'alienazione di Equitalia, per non parlare della ripresa economica. Quando il popolo italiano si sveglierà e alzerà la testa dagli smartphone per reclamare i sacrosanti diritti?
di Lamberto Colla Parma 28 maggio 2017
Il predecessore di Gentiloni si era accattivato le simpatie degli italiani per la sua irruente e giovanile dinamicità, per una certa dose di guasconeria e per le tante promesse che sembrava potessero riequilibrare la percezione crescente di ingiustizia sociale, peraltro confermata recentemente dai dati istat.
Il popolo vessato, tartassato e sempre più povero e depresso fu investito finalmente da un'aria nuova, ben diversa dalla funerea aria di era montiana.
Una delle frasi magiche del giovane Renzi che incantò più di altre fu: "eliminare Equitalia".
Un trionfo! Il simbolo per eccellenza di uno stato dittatoriale, ingiusto e arrogante sarebbe finalmente stato rimosso e il cittadino, soprattutto appartenente alle fasce più deboli, avrebbe potuto riacquisire dignità potendo tornare a dialogare con lo Stato e non solo di subirlo.
In diverse circostanze gli italiani avevano già dimostrato una grande maturità e perciò erano pronti a accettare l'idea che all'alienazione di Equitalia sarebbe succeduto un altro organismo di riscossione.
E infatti, dal primo luglio 2017, in forza della legge 227/2016 inizierà a operare l'«Agenzia delle Entrate-Riscossione» che, ahimè, potrà contare di poteri rafforzati rispetto alla famigerata, temuta e soppressa Equitalia.
A differenza di Equitalia, infatti, nella citata legge, è previsto che il suo sostituto possa accedere direttamente all'anagrafe tributaria, alle banche dati dell'Inps e ai nostri conti correnti.
Una svolta epocale. Fino ad oggi questa possibilità era destinata soltanto all'Agenzia delle Entrate (accertamento tributario) mentre l'Ente tenuto alla riscossione, Equitalia, non ne aveva diritto. Ne consegue che il processo subirà una brusca accelerazione e se a questo sommiamo il fatto che ormai le procedure esecutive per i debiti tributari sono svolte senza il controllo di un giudice, trascorsi 60 giorni dall'avviso di accertamento - leggi cartella esattoriale - la nuova "Agenzia" potrà ordinare alla banca di versare la somma, presumibilmente dovuta, direttamente al nuovo Ente. Se poi la somma non fosse corretta o addirittura inesistente, allora il contribuente potrà liberamente e semplicemente fare causa all'Erario dimostrando di aver subito un danno.
Semplice vero?
Ma non è tutto, la nuova "aspiradenaro" in dotazione allo Stato potrà, in forza della recente manovrina - DL 50/2017 -, entro 30 giorni iscrivere ipoteca sugli immobili (è salva la prima casa) del debitore anche per quelli di valore inferiore ai 120.000€, in precedenza esclusi.
Il primo luglio è molto vicino e la "pacchia", così come il sogno di uno Stato equo, è definitivamente tramontata.
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90 milioni complessivamente investiti per lo stabilimento e il nuovo customer centre "DEUTZ-FAHR Arena".
Lauingen Germania (10 maggio 2017) - In occasione della presentazione ufficiale del nuovo stabilimento e del customer centre Deutz-Fahr Arena, Lodovico Bussolati – Chief Executive Officer del Gruppo – ha reso note le cifre dell'esercizio 2016, sottolineando come, in un anno dove il mercato mondiale dei macchinari agricoli ha registrato un calo di circa il 10%, SDF nel 2016 ha mantenuto sostanzialmente invariato il proprio fatturato, confermando i buoni livelli di redditività raggiunti negli ultimi anni.
L'esercizio 2016 si è chiuso con un fatturato di € 1.366 milioni, registrando -1,7% rispetto al 2015. L'EBITDA di gruppo è stato del 8,7% pari a 119 milioni di euro, rispetto a 127 milioni di euro del 2015.
Gli investimenti complessivi nel 2016 sono stati pari a 92,5 milioni di euro, dei quali le voci più significative sono state 34 milioni di euro per il completamento del nuovo stabilimento di Lauingen e 23 milioni di euro per nuovi prodotti.
"Il 2016 ha rappresentato per SDF – ha commentato commenta Lodovico Bussolati, – un anno particolarmente significativo. Infatti, in uno scenario di mercato difficile e in ulteriore calo, siamo riusciti a consolidare la crescita registrata negli ultimi esercizi mantenendo la reddittività in linea con gli ultimi anni."
High- Tech "made in Germany
Dopo quasi tre anni, tra progettazione e costruzione, il nuovo stabilimento "DEUTZ-FAHR Land" a Lauingen (Germania) ha iniziato, come previsto a gennaio 2017, la produzione di trattori di fascia alta a partire da 130 cavalli. Nella nuova fabbrica – all'avanguardia per il settore - vengono prodotte le Serie 6, 7 e 9 DEUTZ-FAHR per il mercato mondiale.
I 90 milioni complessivamente investiti per lo stabilimento e per il nuovo customer centre "DEUTZ-FAHR Arena" costituiscono l'investimento più elevato nella storia dell'azienda.
Pronti per il futuro
Con il nuovo stabilimento, DEUTZ-FAHR fissa una pietra miliare per la tecnologia manifatturiera e consolida inoltre il proprio ruolo di attore mondiale nella meccanizzazione agricola. "La nuova fabbrica – afferma Lodovico Bussolati, CEO di SDF – ha un ruolo fondamentale nel consolidamento del marchio DEUTZ-FAHR nel mercato globale. Il nuovo stabilimento produttivo, insieme alla nostra moderna e innovativa gamma di trattori, accelererà la crescita di DEUTZ-FAHR".
"Grazie all'appassionato coinvolgimento di tutti coloro che hanno contribuito al progetto, sia interni che esterni, abbiamo ora il più moderno stabilimento per la produzione di trattori", afferma Andrea Paganelli, Industrial Executive Director di SDF.
Informazioni su SDF
SDF, con sede centrale in Italia a Treviglio (BG), è uno dei principali produttori mondiali di trattori, macchine da raccolta e motori diesel. Distribuisce i propri prodotti con i marchi SAME, DEUTZ-FAHR, LamborghiniTrattori, Hürlimann, Grégoire e Shu-He. La gamma di trattori copre una fascia di potenza da 23 a 336CV e la gamma delle macchine da raccolta va da 32 a 395 CV.
SDF conta 8 siti produttivi, 13 filiali commerciali, 2 joint venture, 143importatori e oltre 3.000 concessionari, occupandooltre 4.100 dipendenti nel mondo. Nel 2016l'azienda ha registrato un fatturato di 1.366milioni di euro e un EBITDA del 9%.
Editoriale: Borghesia cercasi - Gran rimbalzo dei derivati del latte. - Cereali e dintorni. Prosegue la risalita della farina di soia ogm free. - Vino: boom di richieste per nuovi vigneti. Informatore agrario: 25 volte più degli ettari disponibili -
SOMMARIO Anno 16 - n° 20 21 maggio 2017
1.1 editoriale
Borghesia cercasi
2.1 lattiero caseario
Gran rimbalzo dei derivati del latte.
3.1 cereali e dintorni Cereali e dintorni. Prosegue la risalita della farina di soia ogm free.
4.1 coltivazioni ogm OGM, nuovo record di superficie coltivata
5.1 vino Vino: boom di richieste per nuovi vigneti. Informatore agrario: 25 volte più degli ettari disponibili
5.1 finanza Reggio Emilia: UniCredit per il settore agroalimentare
6.1 mais e soia Mais e Soia. Stime per la nuova stagione
6.2 emergenza irrigua Piacenza. E' emergenza irrigua
7.1 biogas Prima giornata del biogas in Emilia Romagna
8.1 promozioni "vino" e partners
9.1 promozioni "birra" e partners
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Il Rapporto Annuale Istat è impietoso nel fotografare la composizione sociale del nostro Paese.
di Lamberto Colla Parma 21 maggio 2017
Poco meno di dieci anni di crisi hanno quasi del tutto spazzato via il ceto medio, quella fascia sociale che ha retto le sorti dell'Italia contribuendo a collocarla, ai bei tempi, al 5 posto tra i paesi industrializzati.
Ormai è storia!
L'attualità è ben diversa e l'istituto nazionale di statistica mette nero su bianco quello che tutti noi percepiamo ma che il governo si ostina a ignorare.
In sintesi il Rapporto sottolinea come pesi la scomparsa delle professioni intermedie e sia in costante crescita l'occupazione a bassa qualificazione. Numeri pesanti quelli riportati dall'annuario che segnala essere in stato di povertà assoluta 1,6 milioni di famiglie, il 28,7% è a rischio di povertà o esclusione sociale.
Il lavoro si è polarizzato e le professioni intermedie sono scomparse con un consistente aumento delle occupazioni e professioni non qualificate con conseguente riduzione di operai e artigiani.
Nella nuova middle class le donne giocano un ruolo importante: nonostante nel complesso il tasso di occupazione femminile sia più basso di 18 punti rispetto a quello maschile, in 4 casi su 10 le donne sono i principali percettori di reddito.
Nell'ultimo decennio l'Italia ha perso i giovani. -1,1 milioni di 18-34 anni mentre al 1° gennaio 2017 la quota di over 65 anni raggiungeva il 22%, facendo dell'Italia il Paese più vecchio d'Europa.
Ma dei giovani che restano, quasi il 70% degli under35 vive ancora con i genitori e è difficile pensare che siano tutti dei "Choosy" di forneriana memoria.
Infine la crisi mai affrontata ha inciso sulla salute tant'è che ben il 6,5% della popolazione ha rinunciato a visite specialistiche (era il 4% nel 2008).
Numeri che fanno rabbrividire per la consistenza attuale e per le prospettive future che vede l'Italia sempre meno dotata per costruire la ripresa; troppo debole per salire sui pochi treni che potrebbero passare.
Nessun vantaggio infatti i nostri governi, da Monti a Gentiloni passando per Letta (Nipote) e Renzi, sono riusciti a sfruttare. Il crollo del costo energetico (Petrolio greggio da 140 a 40 $ / barile) e il QE (Quantitative Easing), lo strumento non convenzionale di politica monetaria fortemente voluto da Draghi, l'Italia non è riuscita a sfruttarli come leve di sviluppo alla pari degli altri paesi partner dell'UE.
E ben presto questi vantaggi, determinati da fattori esclusivamente congiunturali, verranno meno e allora toccheremo definitivamente il fondo e non saremo più in grado di riemergere.
Con questa classe politica, in perenne campagna elettorale, non andremo da nessuna parte!
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Alla luce dei bassi tassi di interesse, come bisogna utilizzare questo strumento finanziario?
Quarto appuntamento con Giacomo Saver, direttore e fondatore di "Segretibancari.com". Il tema di oggi è stuzzicante. Titoli di stato: si o no? Ecco l'analisi completa dell'esperto che ogni due settimana spiega una sfaccettatura diversa di un mondo, quello finanziario, che tanto incuriosisce. A questo link l'ultimo articolo.
20 maggio 2017
Un tempo erano i favoriti dagli italiani che per decenni hanno investito i propri risparmi in questi strumenti. Oggi investire in titoli di stato non conviene più per colpa dei rischi impliciti che molti BTP hanno e per i bassi rendimenti offerti. Gli unici vantaggi che i bond governativi ancora offrono restano due: l'esenzione dalle imposte di successione e la tassazione agevolata al 12,50% invece del 26%.
Un esame dei rendimenti - Per ottenere un rendimento netto di poco superiore al 3% è necessario investire in titoli con durata molto lunga: nel BTP 2041 o addirittura nel BTP 2067, correndo però rischi elevati causati dalla eccessiva durata dello strumento finanziario. Chi compra dei bond, siano essi societari o titoli di stato, è per lo più indifferente alle oscillazioni che il prezzo degli stessi può subire durante la vita del titolo, perché pensa "lascio scadere il titolo ed ottengo il suo valore nominale". Ciò è indubbiamente vero ma poiché credo che pochi investitori conserveranno un BTP con scadenza ventiquadrennale o, ancor peggio, cinquantennale, comprendere cosa potrebbe accadere al nostro investimento in caso di rialzo dei tassi diventa cruciale ai fini della scelta.
I rischi dei titoli di stato - Mettiamo da parte ogni ipotesi di insolvenza del Governo, così come il tanto paventato taglio del valore patrimoniale dei titoli in circolazione (haircut) e concentriamoci unicamente sul rischio connesso con le oscillazioni di prezzo che i suddetti titoli potranno subire durante la loro vita.
E' noto in finanza che le oscillazioni che le quotazioni di un titolo a reddito fisso può subire dipendono dalla durata residua del bond stesso. In altri termini, una variazione dei tassi di un punto percentuale avrà impatti completamente diversi su BTP con durata residua limitata piuttosto che su titoli con vita lunga.
L'effetto che una variazione dei tassi ha sulle quotazioni è per lo più di segno opposto alla stessa:
Poiché ci troviamo in una situazione di tassi di interesse ai minimi storici, è difficile immaginare che ci siano ulteriori spazi di guadagno per i BTP.
A fronte di un guadagno netto del 3% circa, il ribasso cui potremmo andare incontro in caso di rialzo dei tassi potrà arrivare tranquillamente al 30%. Tutti temono, giustamente, il mercato azionario a causa delle sue ampie fluttuazioni, ma il rendimento che un investimento in azioni può offrire, tenuto conto dei rischio, è decisamente vantaggioso rispetto all'acquisto di BTP a lunga durata. Se investire in BTP non conviene, almeno per i titoli con scadenze lunghe, che dire di quelle corte?
I vantaggi dell'investimento in titoli di stato
Investire in titoli di stato conviene ancora solo se ti trovi in queste tre situazioni:
Analizziamo questi due ultimi casi, senza dubbio i più interessanti.
Poiché in entrambi i casi il "movente" che spinge l'investitore a comprare bond governativi non è il rendimento, ma l'elusione delle imposte nel primo caso e la protezione nel secondo, investire in titoli di stato conviene perché ci permette di raggiungere i nostri obiettivi.
In entrambi i casi potremo concentrarci su durate brevi, che sono sì quelle meno redditizie, ma anche quelle meno rischiose. Investendo in titoli di stato toglieremo la liquidità dal conto corrente, trasformandola in titoli in deposito presso il dossier che, in quanto strumenti finanziari e non crediti, non sono soggetti al bail in.
Al di fuori da queste ipotesi oggi farei attenzione ad investire in titoli di stato.
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