Domenica, 27 Ottobre 2024 06:07

Giornalisti nei territori di guerra: senza tutele la verità è a rischio In evidenza

Scritto da Andrea Caldart

Di Andrea Caldart(Quotidianoweb.itCagliari, 26 ottobre 2024 - Le guerre oggi entrano nelle nostre case come una notizia tra le notizie, talmente siamo ormai abituati a sentire parlare di guerra che non ci poniamo il pensiero di chi invece, lì in prima linea, ci racconta in diretta l’evento.

È il mestiere dell’inviato, di quel giornalista che va al fronte e ci racconta dal campo di battaglia gli eventi.

Se ne è parlato in un convegno organizzato dall’Associazione Liberamente Umani (ALU) ieri a Cagliari dove, la giornalista Maria Laura Scifo ha aperto l’incontro introducendo il tema più triste dell’inviato di guerra; ha ricordato infatti che, dal 2003 al 2023 sono 1.600 i giornalisti morti in zone di zone di guerra o guerriglia e che quindi è più che mai importante un focus sul tema della sicurezza, della tutela, e della protezione nei confronti degli inviati.

Si è scelta la città di Cagliari per questo convegno, perché è stata ventilata la possibilità di fare qui una conferenza internazionale per la pace, per elaborare un documento da inviare agli organismi internazionali, convincendoli a prendere dei provvedimenti per il rispetto degli accordi internazionali. 

Il primo contributo è stato quello di Fausto Biloslavo che essendo partito per lavorare in Libano, ha voluto testimoniare la sua partecipazione attraverso un video nel quale ha sottolineato come i giornalisti siano sempre stati in prima linea in ogni conflitto e zona di guerra; quindi, esposti a molti rischi anche se oggi sicuramente sono diventati dei veri e propri bersagli tanto che spesso è preferibile non indossare il giubbotto con la scritta "Press" e passare più inosservati.

È stata poi la volta di Luca Fosci che presente, ha concordato con Biloslavo aggiungendo che spesso, per alcuni, è anche difficile comprarlo quel giubbotto antiproiettile con la scritta "Press" visto che costa molto e i freelance guadagnano pochissimo.

Fosci nel suo intervento ha posto l'accento sul fatto che ormai gli inviati con contratto sono pochissimi e spesso rimangono negli hotel o nelle capitali cercando di scrivere articoli o mandare video minimizzando i rischi.

I freelance invece sono la maggioranza e riuscire a barcamenarsi in zone di guerra, è un rischio continuo e ogni professionista, deve stabilire fino a che punto vale la pena di rischiare, ma questo è un lavoro che si fa per pura passione.

Ha sottolineato, inoltre, che è scomparsa la figura del Corrispondente che realmente conosceva e viveva quei territori e quindi, poteva davvero cercare di raccontare comprendendo profondamente quel contesto.

Oggi invece le notizie rischiano spesso di essere puramente sensazionalistiche o peggio superficiali, spesso fondate sulla "pornografia della sofferenza" dove mostrare immagini cruente vale più che raccontare le vere notizie sull'andamento della guerra.

Fosci conclude il suo intervento dicendo, a proposito dei giornalisti sottopagati e per nulla tutelati: "sembra quasi che nessuno voglia un occhio libero, quasi come se la verità sia contro natura".

Ovazione per Hanieh Tarkian docente iraniana, giornalista, esperta di geopolitica, che ha raccontato le molte morti dei giornalisti nella striscia di Gaza: 65 solo nel 2024!

Giornalisti uccisi deliberatamente per scelta e non per sbaglio come la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, uccisa a colpi di arma da fuoco dai soldati israeliani.

L'ONU ha trovato inquietante che Israele non abbia condotto una indagine penale sull'accaduto, sottolineando il fatto che, è ormai chiara e visibile l'inutilità della comunità internazionale contro l'impunità di Israele.

Israele che, con gli atti compiuti negli anni in Siria, ora in Libano e in Cisgiordania ha dimostrato di uccidere indistintamente musulmani e cattolici (anche Shireen era cattolica) e di colpire deliberatamente tutti quei siti che dovrebbero godere di protezione in caso di guerra: scuole, ospedali, chiese, moschee....

È stata poi la volta di Daniele Dell'Orco che ha spostato il focus sull'Europa dove di fatto accadono le medesime cose, raccontando delle sue esperienze in Russia e Ucraina.

Anche qui la comunità internazionale si è schierata compatta dalla parte dell'Ucraina come se fosse possibile dividere in modo netto bene e male e dimenticando come il conflitto nacque molti anni prima nel Donbass.

Molto spesso la narrazione di questa guerra è stata fuorviante, imprecisa o volutamente sbilanciata. Spesso la mancanza di professionalità dei giovani freelance o dei giornalisti improvvisati, rischia di portarli a dare come notizie certe fatti che vengono diffusi al solo scopo di screditare l'una o l'altra parte. 

Dell'Orco ha concluso parlando dell'uso dei droni, che permettono di seguire l'obbiettivo praticamente ovunque e di colpire in modo spietato e spesso indiscriminato.

L’ultimo intervento è stato quello di Eliseo Bertolasi che ha confermato quanto affermato da tutti, sottolineando i pericoli di una narrazione approssimativa, fuorviante e poco professionale.

Lui era in Ucraina proprio nel 2014 ed era lì per completare il suo dottorato di ricerca in antropologia. Profondo conoscitore della lingua russa poté comprendere molto bene cosa accadde, documentando tutto fotograficamente.

Ha più volte sottolineato come la guerra cominciò allora, anche se la comunità internazionale fece volutamente finta di nulla e non si curò minimamente della guerra in corso per anni, fino alla storia recente che tutti ben conosciamo e dove la colpa è stata fatta ricadere completamente sulla Russia.

Il tema della protezione della verità e della libertà di stampa è oggi più attuale che mai. In molti contesti, infatti, si nota una crescente pressione sui giornalisti e sui mezzi di comunicazione, spesso minacciati da censure, intimidazioni e restrizioni che limitano la capacità di raccontare i fatti e denunciare le ingiustizie.

L'emergere di crisi globali, dalla guerra all'instabilità economica, rende evidente la necessità di stabilire nuove regole internazionali in grado di proteggere sia i giornalisti sia il diritto all'informazione, fondamentale in ogni società democratica.

Dobbiamo pretendere la costruzione di una "pace equa" che passa solo dalla difesa del diritto alla verità e dall'accesso all'informazione.

Soltanto una società ben informata può realmente lavorare per la pace e per la giustizia, ed è per questo che giornalisti e professionisti dell'informazione necessitano di tutele speciali, tanto sul piano legislativo quanto in termini di risorse e supporto.

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