Ora, mentre nell' "Etica a Nicomaco" e nell' "Etica Eudemia" Aristotele si occupa del bene del singolo, nella "Politica" affronta il bene della famiglia e della città. Tuttavia, dal momento che il bene del singolo non é separato dal bene della "polis" in quanto ne è parte integrante, la scienza o filosofia pratica che tratta la questione del bene è la "scienza politica".
La politica, dunque, è l'arte non del consenso, ma del bene. In che cosa consiste questo bene? Aristotele, nella "Politica", risponde che è la felicità la quale non va intesa quale benessere materiale, ma primariamente nell'esercizio, nel modo migliore possibile, delle capacità proprie dell'uomo, ossia delle sue virtù. Nell'uomo, però, non si trovano solo eccellenze di ragione (c.d. virtú dianoetiche), ma anche di carattere (c.d. virtù etiche). Pertanto, non avremo solo le eccellenze teoretiche come la sapienza, che assomma in sé anche l'intelletto, concepita quale conoscenza dei principi, ma pure il coraggio quale giusto mezzo tra temerarietà e viltà, o la liberalità, ossia il giusto mezzo tra avarizia e prodigalità etc. Aristotele non nega affatto il piacere, tuttavia non lo considera il sommo bene, la felicità, bensì un "quid" strumentale all'esercizio migliore delle virtù.
La città, quindi, non ha come finalità il semplice vivere, ma il vivere bene nel senso precedentemente indicato. Se a questo viene anteposto l'interesse dei governanti, il loro tornaconto personale, allora si assiste alla degenerazione della costituzione della città da concepirsi non nel senso moderno, ma quale ordinamento delle magistrature e della vita generale della "polis" medesima: ecco allora che al regno subentra la tirannide, all'aristocrazia l'oligarchia, alla "politia", ovvero il governo della maggior parte, la oclocrazia ove prevale la "volontà delle masse" spesso eterodirette e soggette a continui e frequenti cambiamenti. In altri termini, la "democrazia delle pance"...la nostra