L’iniziativa ha proposto come relatori, il giornalista bolognese Massimiliano Mazzanti che presentava il proprio libro Strage di Bologna, la Sentenza Bellini: processo ai vivi per condannare i morti, e l’avvocato penalista reggiano Luca Tadolini, autore della pubblicazione “Bologna; la pista israeliana” delle Edizioni all’Insegna del Veltro di Parma.
Fra gli avvocati presenti tra il pubblico vi era il bolognese Alessandro Pellegrini, difensore dell’ex NAR Gilberto Cavallini nei primi gradi di giudizio, e l’avvocatessa Isabella Albertini esponente indipendente dell’opposizione politica reggiana. Hanno partecipato anche testimoni del tempo, Dante Davalli, intervenuto sul luogo della tragedia allora come carabiniere ed esponenti di Polizia, come l’ispettore Franco Sartini.
Primo ad intervenire, Massimiliano Mazzanti, che ha svolto una brillante disamina critica delle sentenze e delle istruttorie dei processi sulla strage di Bologna. Mazzanti ha dimostrato una monumentale conoscenza dei processi sulla strage: “Ho la casa piena di carte processuali, oltre un milione di fogli, e di migliaia di pagine delle sentenze”. Il giornalista e studioso bolognese ha illustrato il carattere labirintico dei percorsi giudiziari che hanno portato alla condanna degli esponenti della pista neofascista, sulla base di costruzioni indiziarie. E Mazzanti non ha lesinato critiche e spiegazioni sui passaggi in cui indizi sono stati considerati alla stregua di prove.
Ha proseguito Luca Tadolini, partendo dallo stringato provvedimento di una ventina di pagine con cui è stata archiviata la pista palestinese, arrivata all’attenzione dei giudici dalla scoperta nella montagna degli atti d’indagine della presenza - certa - alla stazione di Bologna il giorno della strage, il 2 Agosto 1980, di un membro - il tedesco Thomas Kram – del micidiale Gruppo filopalestinese Carlos. Un’indagine il cui merito va al gruppo di lavoro composto da Gabriele Paradisi, Gian Paolo Pellizzaro e Pierluigi Ghiggini. La presenza di Kram a Bologna ha portato in superfice un quadro che si inserisce nel conflitto israelo-palestinese: a Ortona erano stati sequestrati dei missili ad un gruppo facente capo alla formazione dell’estremismo palestinese FPLP di Habash, ed all’arresto del suo luogotenente in Italia, che risiedeva proprio a Bologna. Questa operazione era da considerarsi una violazione del Lodo Moro, un accordo segreto fra l’Italia e la guerriglia palestinese che consentiva ai secondi il transito di armamenti in cambio di salvaguardare la prima da attentati. La pista palestinese ipotizza che l’incidente di Ortona possa avere determinato una reazione violenta palestinese. Su questa base l’avvocato Tadolini propone una lettura diversa, dove sarebbero i servizi israeliani ad intercettare l’esplosivo palestinese in transito alla stazione di Bologna, facendolo brillare. A supporto viene citato il Presidente della Repubblica Cossiga, che dichiarò che a Bologna era deflagrata una valigia di esplosivo palestinese, ma anche le dichiarazioni di Carlos stesso, dal carcere francese, che accusava il Mossad (il servizio segreto israeliano). E altre dichiarazioni di esponenti del FPLP. Non solo. Il processo Bellini ha fatto emergere altre clamorose tessere del mosaico. Bellini si dichiara, al tempo dell’attentato, impegnato per i democristiani Flaminio Piccoli e Cossiga a risolvere la crisi dei missili di Ortona. Bellini avrebbe soggiornato a Bologna nello stesso albergo dove era anche Kram, sarebbe stato anche intercettato, sempre a Bologna, dal Mossad. Infine, il 2 Agosto 1980 davanti alla stazione avrebbe pernottato un israeliano riferibile ai servizi di Tel Aviv. Circostanze che risultano da atti d’indagine. Un quadro che avrebbe messo tutti con le spalle al muro, specie l’Italia, che consentiva, per riparare il Lodo Moro, ai Palestinesi di trasportare esplosivo da Bologna, santuario del FPLP, per colpire altrove un obiettivo ebraico, com’è scritto in un documento dell’Agenzia ebraica francese del tempo.
Nell’ipotesi di Tadolini nessuno è innocente.