Lunedì, 04 Settembre 2023 12:11

Walimohammad, “Il martire mancato”: dalla scuola talebana all’attivismo per la pace con Giulietto Chiesa In evidenza

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Di Giulia Bertotto Roma, 4 settembre 2023 (Quotidianoweb.it) - Il dottor Walimohammad Atai è fuggito a 13 anni dal proprio paese ed è arrivato in Italia nel 2013, oggi vive a Busto Arsizio. Autore de Il martire mancato Come sono uscito dall'inferno del fanatismo (Ass. Multimage 2020) con postfazione di Giulietto Chiesa, e di Ho rifiutato il paradiso per non uccidere (Ass. Multimage, 2019).

Lavora come interprete e traduttore giurato presso il Tribunale di Pavia, Procura della Repubblica Di Milano, la questura di Milano e con legione Lombardia dei carabinieri. Oggi è anche Educatore professionale e lavora per minori presso la Comunità socio educativa il Girotondo a Magnago (MI). Un destino che sembra segnato: diventare un kamikaze, poi la fuga, le torture, il carcere. E l’arrivo in Italia. Atai ha solo 27 anni ma ha già alle spalle una storia di vita violenta, affrontata con una rara consapevolezza socio-politica e con una incredibile saggezza e forza d’animo.

Del suo libro autobiografico, Il martire mancato, Giulietto Chiesa ha detto: “Questo libro è la descrizione più minuta, più inquietante, più approfondita, più precisa, di cosa è stata ed è tuttora la scuola internazionale del terrorismo fondamentalista. Ci racconta dove è nata, come è nata, perché è nata. Bisogna leggerla per capire dove siamo tutti e perché siamo arrivati a questo punto. Tutti è la parola giusta, perché dalle righe di Atai emerge che, in molti modi, “noi c’entriamo”, anche se non ne siamo consapevoli.”

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Dottor Atai, chi sono davvero i talebani? In che modo lei si è ritrovato in una scuola per mujaheddin e si è poi liberato da questo destino?

Le racconterò la mia storia dall’inizio. Io sono nato nel 1996, quando i talebani hanno preso il potere nel mio paese. Sono cresciuto al sud dell’Afghanistan con mia madre, ma la figura più importante per la mia formazione, ma anche per la mia sopravvivenza è stata la mia nonna paterna, Meena. Lei era un medico già negli anni ’50, quando la società afgana ancora non era contaminata dal terrorismo a sfondo religioso. Lei andava al lavoro e visitava i suoi pazienti in gonna, oggi sembra incredibile. Io la conobbi dopo la morte di mio zio materno Wahab. Mia madre mi diceva che papà era vivo e sarebbe tornato prima o poi, invece mio padre era stato ucciso appena nato io. Mio padre era un neurologo, una persona istruita e saggia, pacifista e militante politico. I talebani ovviamente prendevano di mira le persone di una certa cultura, capaci di analizzare la situazione politica, che potevano ostacolare il loro fanatismo tra la gente, come mio padre. Mia madre invece avrebbe voluto un figlio kamikaze e ne sarebbe stata fiera. Purtroppo questo è quello che pensano molte donne analfabete, cresciute senza cultura, lettura, lavoro, senza modelli di vita alternativi a quelli del fanatismo religioso. Mia madre desiderava più di ogni cosa che venissero vendicate le morti dei suoi due fratelli mujaheddin uccisi nel 1983 dai sovietici. Non gli interessava che fossero stati uccisi dai sovietici, americani o esercito o polizia afgana.

Quando i talebani hanno preso il potere in Afghanistan nel ’96, hanno fatto il lavaggio del cervello sin da subito a tutti: uomini, donne e bambini. Con il terrore della loro violenza e dell’inferno hanno imposto il loro stile di vita.

Insomma io non sapevo nulla di mio padre, ma i miei amichetti mi chiamavano “figlio dell’infedele”. Questo mi faceva piangere, ma mia madre non mi rispondeva e mi consolava con dei dolcetti.

Quando mia madre fu avvisata che ero fra i cinque ragazzi scelti di andare nella madrasa pakistana, ha cominciato da tanta felicità e gioia e noi eravamo così poveri che mangiavamo quasi sempre pane con il thè verde, ma quella sera a tavola c’era perfino la carne, in segno di ringraziamento verso Dio.

A sette anni mi mandò in una madrasa in Pakistan, con altri ragazzini più intelligenti e capaci già di leggere e scrivere. In realtà era un centro di addestramento per martiri e kamikaze. Lì i miei quattro amici d’infanzia sono stati subito separati dopo essere stati iniettati con una sostanza gialla. Io no perché mio zio era un importante comandante dei talebani che si oppose dicendo che gli servivo ancora per portare il cibo con l’asino ai suoi raccoglitori di oppio.

3_Libri_scuola_Talebana.jpegDopo una settimana del mio ritorno in Afghanistan, mio zio fu ucciso dall’esercito afgano nella provincia di Kunar e ai suoi funerali conobbi una donna anziana che diceva di essere mia nonna paterna. Lei mi disse che papà era stato ucciso e mi portò alla sua tomba. Mi disse anche che a casa dove vivevo con mia mamma c’era una stanza piena di suoi libri e foto. Ma mia madre mi aveva sempre detto che quella era la stanza della paglia per gli animali, che non avevamo, e che non si doveva aprire. Così tutto divenne chiaro. Dopo aver aperto quella stanza e aver preso le distanze da mamma, io e mia sorella Salma, che oggi è un chirurgo, ci avviciniamo a nonna Meena.

Dei miei amici ho saputo la morte solo quando le famiglie hanno ricevuto dei certificati di martirio.

Quindi lei aveva scoperto che suo padre era stato ucciso dalle stesse persone da cui sua madre voleva mandarla per diventare un kamikaze. E’ una rivelazione sconvolgente.

Sì. A quel punto dopo aver frequentato con l’aiuto di nonna una scuola normale, ho fondato una mia scuola “laica” perché l’istruzione era l’unico strumento di salvezza e unica luce che potesse far uscire i miei connazionali da quella società avvolta in totale buio. Dopo poche settimane i talebani la bruciarono e attaccarono la casa di nonna con delle bombe, perché l’istruzione era considerata dai talebani il peggior nemico e io dovevo essere impiccato in piazza da loro. A quel punto sono scappato di notte con abiti femminili di mia sorella e da Kabul aggrappato sotto ad un tir, ho attraversato il confine e sono arrivato in Iran.

Aggrappato sotto ad un tir?

Quella volta solo per 4 ore. Dopo lo ho fatto per 24 ore…dalla Grecia per raggiungere l’Italia.

In Iran a Teheran mi hanno portato in carcere perché ero senza documenti. Avevo 13 anni e sembravo che fossi sospettato per qualcosa di cui mi era impossibile comprendere e così sono rimasto in carcere per otto mesi, ma quel tempo non è stato sprecato, imparavo il persiano dai miei compagni di cella, molti drogati a cui facevo servizi di pulizia. Mia nonna mi diceva che dovevo imparare da tutti e tutto. Uscito da lì ho iniziato a lucidare scarpe e vendere uova sode per strada. Dei trafficanti curdi mi offrirono, insieme ad un amico, di lavorare per loro per due anni: in cambio ci avrebbero poi portarti in Turchia. Accettammo. Sono stati due anni di schiavitù, se fossimo scappati ci avrebbero uccisi. Siamo scappati lo stesso.

Lei voleva davvero vivere e aveva tutto il coraggio e l’audacia per farlo.

Grazie. Io e il mio amico siamo arrivati al confine greco. C’era un fiume e non sapevo nuotare, il mio amico mi aiutò a non annegare. Al confine abbiamo conosciuto altri trafficanti e i loro clienti sotto ricatto. Quattro mesi di cammino, anche tra i cadaveri lasciati da quei mostri, e siamo arrivati a Patrasso dopo esserci nascoste per giorni nei treni perché non avevamo soldi per comprare il biglietto. Abbiamo tentato centinaia di volte di imbarcarci per Italia da Patrasso. Una volta arrivato nelle acque italiane e non ce la facevo più a rimanere aggrappato, il custode sulla nave mi rinchiude in una stanzetta con lucchetto e mi hanno riportato in Grecia, credevo di avercela fatta invece mi avevano riportato indietro: quel momento è stato davvero duro. Così con un altro tentativo, mi sono aggrappato sotto ad un tir per 24 ore e arrivato a Bari, una volta sceso non sentivo più il mio corpo, ma ero vivo. Ed ero arrivato in Italia.

Durante queste peregrinazioni era riuscito a comunicare con sua nonna Meena?

Sì, avevo memorizzato il suo numero e quando c’era la possibilità le chiamavo. Lei era una donna intelligente e anche furba. Sapeva che la fame faceva perdere la ragione, ma sapeva anche che il cibo in qualche modo si trova, invece l’istruzione si deve per forza pagare. Così mi aveva cucito 300 dollari nascosti nei pantaloni che mi aveva fatto promettere di non buttare senza mai dirmi perché. A Lecce mi portarono in una comunità per minori non accompagnati, e al telefono mi disse: “tira il filo giallo dei pantaloni, mi raccomando, quando sei da solo”. Ma non si vedeva più per come erano sporchi. Aveva cucito dei soldi dentro una decina di bustine di plastica una sopra l’altra. Li ho spesi per comprare uno smartphone e imparare l’italiano su internet con la grammatica di inglese e francese che mi aveva insegnato lei. Mi sono laureato tre volte in Italia. Senza nonna non sarei la persona che sono. La mia gratitudine è immensa.

Le scuole talebane operano un indottrinamento violento che turba profondamente i bambini afghani già in tenera età, parlandogli di castighi, inferno e torture. Lei ha scritto “All'inizio della guerra fredda, gli Stati Uniti hanno speso milioni di dollari per fornire ai bambini afgani dei libri di testo pieni di immagini violente e di insegnamenti jihadisti, parte dei tentativi occulti per stimolare la resistenza all'occupazione sovietica”.

La maggior parte dei libri sono stati pubblicati e stampati in Pakistan tra il 1967 e il 1977, 12 milioni di libri sono stati distribuiti nei campi profughi afgani per creare i mujaheddin, dove ai bambini i numeri venivano insegnati con i disegni del Kalashnikov, bombe, pistole, cinture esplosive, carri armati. E ogni lettera d'alfabeto con le parole jihadisti e militari, per esempio; Jemج=Jihad, Beب=Bomba, Kafک=Kalashnikov, Dahlد=Duzah (L'inferno), Kaf ک=Kafir (infedele), Memم=Mujahid, Tehت = Tura (Spada), Teh ت=Tufak (Fucile)! Durante questo decennio, l'ufficio di ONU era a Peshawar in Pakistan senza intervenire! I libri sono pieni di discorsi sulla jihad e con disegni di pistole, proiettili, soldati e mine, sono stati da allora il programma principale del sistema scolastico afghano e ancora oggi è funzionante nelle zone rurali dell'Afghanistan. Anche i Talebani hanno usato i libri di produzione americana dal 1996 in poi. La Casa Bianca difende il contenuto religioso jihadista, dicendo che i principi islamici permeano la cultura afghana e che i libri "sono pienamente conformi alla legge e alla politica degli Stati Uniti". Durante il periodo dell'occupazione sovietica, il Pakistan e l'Arabia Saudita hanno aiutato gli Stati Uniti a far entrare di nascosto i libri per fare il lavaggio del cervello ai bambini nel Paese. Gli USA chiedevano che i libri contenessero passaggi antisovietici. Ai bambini è stato insegnato a contare con illustrazioni che mostravano carri armati, missili, cinture esplosive e mine terrestri; una simbologia che all'epoca era adatta agli interessi degli Stati Uniti per alimentare l'odio verso gli invasori stranieri. (Nel 2002 ne parlarono anche Joe Stephens e David B. Ottaway su il Washington Post.).

Lei ha scelto di aiutare chi si trova nella stessa situazione in cui si è trovato lei, infatti attualmente lavora come educatore professionale anche per minori stranieri non accompagnati in comunità socio educative il Girotondo a Magnago (MI).

Sì, esatto. Sono tanti minori stranieri accompagnati che scappano dai propri paesi e lasciano i loro cari imbarcandosi sul barcone e rischiano la propria vita per trovare una vita di pace e dignitosa. In tanti paesi l’infanzia per bambini non esiste, moltissimi sono bambini-soldato, costretti a tenere età a lavorare e quando arrivano in occidente, a volte vengono considerati semplicemente un numero, percepiti come un grande nemico e che in realtà è una grande ricchezza per questo paese. Vista l’attuale situazione, demograficamente l’Italia sta morendo, natalità quasi zero, invecchiamento alto, ci vorrebbero delle politiche che possano far sentire nuovi e vecchi immigrati parte di questa società in modo tale che possano contribuire allo sviluppo socio-economico di questo paese. Non le attuali politiche che creano solo le barriere tra un “noi” e un “voi”.

Oggi lei è anche traduttore e interprete di professione.

Sì, la cosa divertente è che ho iniziato nella stessa questura dove mi hanno portato appena arrivato in Italia. Mi hanno picchiato perché pensavano fossi un pazzo che camminava in autostrada, ma io ero appena sceso dalla pancia del tir. Quel persiano che ho imparato in carcere si è rivelato davvero utile.

Sua nonna paterna sembra proprio il simbolo di un Afghanistan emancipato, tollerante, raffinato. E il problema non è la religione, ma la strumentalizzazione di essa, perché in quel periodo storico si praticavano diverse religioni in Afghanistan.

E’ così, l’Islam comunque arriva molto dopo in molte parti dell’Afghanistan rispetto gli altri paesi della regione, ai tempi di mia nonna paterna si praticava l’islam ma c’erano anche l’antico zoroastrismo, il buddhismo, l’ebraismo, il cristianesimo e l’induismo. Infatti l’Afghanistan era considerato un crocevia delle religioni e tutti cittadini afgani di diverse fedi convivevano in un mirabile esempio di tolleranza e fratellanza.

Lei ha scritto che “Nel 1950, l'Afghanistan era molto diverso da quello che conosciamo oggi. Un paese turistico ed ospitale, il 70% degli insegnanti erano donne e tra i deputati esse erano il 35%”. E’ un tema complesso fatto di questioni antropologiche, culturali, religiose, storiche, politiche, economiche. Ma quanto pesa in questo scenario l’imperialismo americano?

Le università insegnavano letteratura e scienze, le donne potevano mostrare il loro viso.  Gli Usa hanno causato la rovina economica e sociale dell’Afghanistan.

Dopo la Seconda guerra mondiale (nella quale eravamo rimasti neutrali) nasceva la NATO, ma sono sorte anche altre due organizzazioni di difesa meno conosciute: la SEATO Southeast Asia Treaty Organization e CENTO, Central Treaty Organization. L’Afghanistan non poteva aderire a nessuna delle due perché gli Usa non lo permettevano. Ma in quel momento della storia dovevi stare o da una parte o dall’altra, o con il blocco occidentale o con quello sovietico. Il Pakistan, nostro antagonista, stava con gli Usa. A noi afgani dicevano che eravamo nella sfera politica dell’URSS e ci hanno paragonati con la Finlandia, che era fuori questione la nostra adesione alla SEATO e CENTO. Il Pakistan era nato nel ’47 e noi chiedemmo agli USA di non farlo entrare in nessuna alleanza militare e che ci aiutasse perché la linea di Durand che separa Afghanistan e Pakistan era una linea forzata, imposta dagli inglesi.

Nel 1960 in Afghanistan è nato il partito comunista, ma la Russia comunista era anche il peggior nemico di quella Gran Bretagna, la quale aveva messo le mani sul Pakistan. I sovietici ci hanno fornito armi e hanno addestrato i nostri ragazzi. Nel 1965 la CIA cercava già di indebolire il governo comunista e destabilizzare il paese. Siamo probabilmente l’unica nazione al mondo che ha un ricordo molto positivo del comunismo. Sotto il comunismo prosperavamo.

Gli americani dovevano aizzare il nostro odio verso i sovietici. Intanto al potere saliva Hafizullah Amin, secondo presidente della Repubblica Afgana nel 1979, era un leader comunista, però era anche un agente della Cia, un personaggio quantomeno ambiguo.

La Russia intervenne su richiesta del nostro paese negli anni ‘70. Gli Usa chiesero agli stati occidentali di mandare le armi e certo non mandano i loro figli a combattere ma ragazzi dei paesi vicino al nostro e dai paesi arabi.

Possiamo dire che fecero ciò che stanno facendo ora in Ucraina?

Esattamente. I sovietici si ritirarono nel 1989. Loro hanno armato e indottrinato i talebani. E pensare che ci hanno rovinati dopo che loro stessi non ci hanno permesso di allearci con l’Occidente. E dopo aver scelto come alleato il Pakistan, un paese a cui avevamo dichiarato guerra.

Dal 2001 al 2021, per diciannove anni, gli Usa hanno punito l’Afghanistan per aver “scelto” il blocco orientale. E’ corretto secondo lei?

Sì, precisamente. Per questo gli Stati Uniti hanno finanziato prima i mujaheddin e poi talebani, le loro scuole jihadiste, le loro armi, la loro propaganda. Gli americani per mezzo del regime dei mujaheddin, che nulla hanno di spirituale, hanno impoverito, brutalizzato, il nostro paese e hanno sradicato la sua cultura. Hanno fatto chiudere le aziende e le imprese, hanno deviato i bambini, sottomesso le donne. Hanno disumanizzato la nostra gente e sterminato i nostri intellettuali e storici, così come i veri teologi dell’Islam, i conoscitori della vera mistica. Il vero leader di questo gruppo di mostri è ancora segreto. Ma non è qui in Afghanistan, questo è certo.

Perché l’amministrazione Biden ha ritirato le truppe dal suo paese? Qual è la situazione attuale in Afghanistan?  

Anche se la guerra lì sembra sia finita, in realtà i talebani sono stati addestrati clandestinamente per diventare ancora più feroci, mentre i cieli di Kabul sono sorvolati giorno e notte dai droni americani. Gli Usa hanno ritirato le truppe ma hanno raffinato i metodi di controllo dal punto di vista tecnologico e nelle forme della loro ingerenza. Dopo vent’anni che gli Usa investono nella rovina dell’Afghanistan non intendono di certo cederlo a Est. Nel libro “Afghanistan: anno zero” di Giulietto Chiesa e Vauro Senesi, viene detto chiaramente: il modus operandi degli americani è quello di far fare agli altri ciò che vogliono, ma senza sporcarsi le mani direttamente.

Parliamo della questione femminile. In un post lei ha scritto che la parola donna in Afghanistan deve essere rimossa da ogni luogo pubblico.

Sì, sotto il dominio dei talebani, le donne sono effettivamente messe agli arresti domiciliari in quanto non sono autorizzate a lavorare o ad avere un'istruzione. Ogni donna sopra gli otto anni deve indossare un burqa e deve essere scortata da un parente maschio se vuole uscire di casa.

Alle donne non sono permesse scarpe con il tacco perché nessun uomo dovrebbe sentire i passi di una donna. La voce di una donna non dovrebbe essere sentita da un estraneo quando parla in pubblico. Non è permesso fotografare, filmare o mostrare immagini di donne in giornali, libri, negozi o in casa. Non è permesso alle donne di apparire sui loro balconi. Durante il dominio dei talebani, le donne che infrangono le regole devono subire l'umiliazione di un pestaggio pubblico, o addirittura la lapidazione e in casi estremi anche l'esecuzione pubblica. Mia nonna mi ha dato la risposta più efficace in poche parole alla mortificazione delle donne. La donna deve essere umiliata perché è il primo insegnante della nostra vita. Da lei bambini e bambine devono imparare la frustrazione e l’obbedienza.

L'amministrazione Bush ha giustificato l'invasione dell'Afghanistan, nell'ambito della guerra al terrorismo, seguita agli attentati dell'11 settembre, con lo scopo di distruggere al-Qaida e di catturare o uccidere Osama bin Laden. La missione è durata dal 7 ottobre 2001 al 30 agosto 2021. La guerra è durata19 anni e 327 giorni.

Il governo americano e i suoi servizi segreti hanno messo la popolazione afgana in conflitto, dividendoci; chi non è talebano non sarebbe un vero musulmano. Ha sperimentato nella nostra casa un laboratorio di bombe, ha ridotto l’Islam a un codice di violenza e barbarie, quando invece la religione islamica insegna la tolleranza e la carità. Oggi le università e le aziende sono chiuse, una regressione economica e culturale da cui chissà quando riusciremo a tirarci fuori. Il mio paese, culla delle civiltà e delle più antiche lingue e filosofie del Medioriente, è diventato solo un luogo di passaggio di risorse dall’Asia centrale a quella del sud.

Lei ha scritto di aver rifiutato il paradiso per non uccidere. Forse invece se lo è “guadagnato”. Crede in Dio?

Sono credente, nonostante tutto. Qualsiasi religione si professi, nessun Dio vorrebbe ciò che ho visto e vissuto.

 

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