Il contenitore culturale itinerante pensato e curato dal direttore artistico Enrico Grignaffini, con spettacoli a ingresso libero, grazie all'accoglienza delle municipalità, previa volontaria offerta degli spettatori a sostegno di Pangea, che aiuta concretamente le donne vittime della violenza domestica, assieme ai figli: “Il 25 novembre deve essere tutti i giorni e dobbiamo essere vigili ed attenti a cogliere alcuni segnali che un’amica, una sorella, una collega tenta di farci capire: non possiamo voltare le spalle, dobbiamo consigliarle di rivolgersi a un centro antiviolenza, nel cui interno ci sono professionalità che possono davvero aiutarla e salvarle la vita”, ha detto nel video messaggio iniziale Silvia Redigolo, attivista della Fondazione Pangea, di cui è Responsabile della Comunicazione e della Raccolta Fondi. A circa la metà del percorso sono già stati raccolti 8.000 euro, “ma ancora tanto si può fare” con gli spettacoli in locandina fino a metà settembre.
La stupenda cornice, come ha spiegato nel saluto istituzionale in apertura il Sindaco di Fontevivo Tommaso Fiazza, è stata oggetto di una fresca riqualificazione: “Siamo in questa rinnovata location del Parco del Convento, a seguito di un importante contributo da parte della Regione Emilia Romagna: abbiamo ristrutturato la parte esterna, quindi Via Marconi, l’esedra del convento e tutto il Parco e la settimana prossima inaugureremo anche l’area delle feste che è qui dietro alle nostre spalle. Per noi è un piacere partire quest’anno con questo bell’evento qui: in una calda serata come questa è un piacere vedere tutte le sedie piene, grazie per essere qui a tutti voi e grazie alla organizzazione perché Musica in Castello porta davvero sul territorio cultura, arte, e musica”.
Molti i partenopei presenti, attenti e partecipativi, magari un po’ più distratti alcuni dei locali che lasciavano i bambini liberi di correre sotto il palco durante l’esibizione del poliedrico artista (“cantante, attore, amante della sperimentazione musicale”), che, sollecitato nella chiacchierata introduttiva da Enrico Grignaffini, ha subito spiegato l’origine del suo nome artistico, Raiz, preferito a quello anagrafico (Gennaro della Volpe): “Quando ero ragazzino – racconta – volevo un po’ nascondermi, perché non mi piaceva portarmi impresso sullo zainetto, mentre andavo in giro per il Golfo, il mio nome e cognome veri, tre parole molto connotate. Ero attore già allora, perché fuggire dalla propria identità e prenderne un’altra è la falla psicologica, la malattia propria dell’attore… Mi trovavo in Sicilia, dove venni a sapere che il capo della Tonnara era definito Rais, che in arabo, appunto, vuol dire capo, presidente. Appellativo che si usava in Sicilia ma anche nel Nordafrica: da ventenne mi piaceva proprio un nome che fosse un ponte sul Mediterraneo. Siccome, però, non tutti i presidenti arabi si sono distinti per bontà (vedi Saddam Hussein), allora ho cambiato mettendo la z finale, Raiz, facendolo diventare radice in spagnolo, ma mantenendo sempre la pronuncia Rais. L’anno scorso, in un libro scritto per Mondadori, ho avuto il coraggio di uscire allo scoperto, firmandomi Gennaro della Volpe, ma Raiz mi è servito anche per portare avanti il progetto di sperimentazione di musica elettronica nel Mediterraneo con gli Almamegretta: ci stava avere dei nomi che fossero un po’ trendy, come accadeva in tutte le band underground degli anni 90, le cui star avevano nomi esotici…”
Grignaffini gli domanda del passaggio dal teatro agli Almamegretta… “Non sapevo bene cosa voler fare, se il cantante o l’attore e in più lavoravo in un’azienda di trasporti e anche in palestra: diciamo che mi barcamenavo per non diventare una vittima della malavita, ero il classico napoletano che cercava di farcela. Lavoravo in teatro, però la musica era venuta prima: come tanti avevo iniziato cantando al pianobar con una piccolissima band, mi divertivo tantissimo a farlo, le cover ti insegnano a cantare davanti al pubblico che è una cosa ben diversa che cantare a casa nella propria cameretta. La musica era arrivata sicuramente prima, ma l’idea di fare l’attore l’avevo tenuta… Gli Almamegretta hanno avuto il loro periodo di successo nazionale ed anche internazionale nel 1990: tra il Raiz di allora e me oggi c’è molta differenza. Raiz è un personaggio che ho messo in scena con una maschera ben precisa, una sua fisicità, i giornali scrivevano che era un personaggio viscerale, cosa che mi faceva un po’ ridere, perché il riferimento alle viscere è escatologico… Raiz parlava esclusivamente in napoletano, mentre ora io cerco di cavarmela pure con altre lingue, tra cui l’italiano… Chi conosce il mio catalogo sa che la mia canzone più famosa è stata annoverata recentemente nel novero delle canzoni napoletane classiche ed è un punto di orgoglio importante per me: si tratta di Nun te scurda’, dove io canto, in prima persona, come se fossi una donna, e anche lì è una sceneggiatura, è un personaggio che sto interpretando, perché donna, obiettivamente, mi sento poco…”
A un certo punto la collaborazione con gli Almamegretta si attenua: “Dopo tanti anni di lavoro assieme, il fatto di essere sempre in tour mi aveva un po’ esaurito, per cui io volevo fermarmi, ma senza uscire dalla band, prendendomi, dopo 13 anni continuativi, uno sabbatico, anche per non inflazionare ed alzare un po’ le mie quote sul mercato. Per cui sono uscito, ma con l’idea di tornare. Con gli Alma ho un rapporto che va oltre quello lavorativo: ho continuato a collaborare scrivendo canzoni ed anche da fuori la facevo sempre. In questo 2023 abbiamo anche vinto la nostra quarta Targa Tenco, e il 22 settembre ci sarà una data unica proprio per festeggiare questo successo”.
Dalla sperimentazione alla tradizione: Sergio Bruni… “Anche mentre facevo sperimentazione, la facevo con la voce di Sergio Bruni: ho scritto molte melodie napoletanabili, ossia che avrebbero potuto diventare canzoni napoletane a tutto tondo. L’idea di un tributo a Sergio Bruni l’ho sempre avuta ed omaggiando lui, omaggio anche i suoi ascoltatori, che poi siamo io, la mia famiglia, il mio quartiere di provenienza, il mondo dei quartieri spagnoli dai quali provengo. Un tributo alla città, insomma, perché la musica di Sergio Bruni, come quella di tutti i grandi musicisti, di tutti i classici, tipo Omero, appartiene a tutti, quindi anche l’opera di Sergio Bruni appartiene a tutto il mondo e alla collettività napoletana, che vi si rispecchia ancora oggi. Lui è trasversale, cosa che molto molto tempo dopo sarebbe riuscita anche a Pino Daniele, ma a lui immediatamente, perché era un cantante incredibile. Il collegamento, dunque, è questo: noi abbiamo sempre fatto musica che affondava le mani nelle radici e Bruni è un cantante napoletano che viene dalla campagna, nato non in centro, ma in un paese che si chiama Villaricca, l’antica Panecuocolo e ancora oggi, a Napoli, c’è chi ricorda il detto sono arrivato fino a Panecuocolo, per indicare un posto lontano. Bruno era un uomo di campagna, tutto di un pezzo, tradizionalista, persona molto seria, pragmatica come i contadini sanno essere, perché sanno che devono coltivare e raccogliere. Il mondo di Bruni è un po’ il contrario di quello che si pensa in genere dei napoletani che sono, diciamo così, molto flessibili, mentre lui è serio, magari pure un po’ noioso, ma le sue sono canzoni memorabili, un vento di campagna sulla azzimata, affettata musica napoletana classica, da conservatorio. Un tratto che mi accomuna a Bruni è che quando cantiamo non si capiscono le parole, perché la nostra voce diventa suono e questa lezione io l’ho appresa da lui”.
Napoli, città di contraddizioni… “Napoli è meravigliosa in alcune cose, terrificante in altre, ma al napoletano questa cosa piace: gli piace il dramma. In un altro pezzo di Bruni – non scritto da lui, ma da Bonagura – si sostiene che le strade di Napoli sono un palcoscenico e la gente di Napoli questo vuole. E’ un’attitudine della città che eredita della tragedia greca, con una certa insita buffoneria e cialtroneria che rendono il napoletano un essere unico che o lo ami o lo odi, e io capisco pure chi lo odia… Il mio essere uomo di spettacolo discende da una mia nonna, nata ad inizi 900, napoletana doc dei quartieri spagnoli: io non c’ero, perché è avvenuto prima che io nascessi, ma mi hanno raccontato che alla festa di Piedigrotta, coi carri allegorici che sfilavano sul lungomare, mia nonna cantava su un carro di cartapesta chiamato Cantina Nova, che riprendeva una cantina con tanto di tavoli. La mia voglia di fare il cantante, l’attore, la persona di spettacolo, nasce, evidentemente, di lì…”
Fiction TV: perché è piaciuto così tanto Mare Fuori? “Forse perché è scritto in una maniera molto semplice, che non vuol dire banale: sono storie verosimili nelle quali molti si possono identificare, e poi parla dei più giovani: e in un paese che ha la crescita così piccola, perché di figli ne facciamo sempre di meno, i nostri giovani, forse, stanno diventando, ai nostri occhi di telespettatori, una merce rara, e preziosa. I ragazzi di Mare Fuori sono i nostri figli devianti: per quanto possano essere stronzi, sono sempre i nostri figli, e così li percepiamo e ci immedesimiamo. Se un figlio ti fa soffrire, sempre tuo figlio resta e non lo rinneghi. C’è poi l’idea che una seconda possibilità possa essere data a tutti: per questo anche i personaggi più scuri sono descritti con una carità di umanità, che non li assolve dalle malefatte che combinano. Chi fa questo tipo di lavoro o di mestiere, consentitemi di chiamarlo così, perché questo è, non è che uno lo fa perché è cattivo, ma si ritrova a farlo per mille motivi… Queste persone, non sono pezzi fallati, se no la società si potrebbe assolvere, dicendo che il pezzo è uscito male, come per la storia del doberman, che a un certo punto era uscita la diceria secondo cui la scatola cranica era troppo piccola e il cane usciva pazzo. Questi ragazzi sicuramente ci hanno messo del loro per essere quello che sono, quindi la stragrande maggioranza della responsabilità è di chi commette un fatto, però sono anche persone che noi perdiamo, perché le mele non nascono marce, marciscono per vari motivi.
Sicuramente vado avanti: sorrido perché quando abbiamo firmato i contratti per la nuova stagione, c’era una clausola per cui chi fa spoiler dovrà pagare una multa fino a 10.000 euro alla produzione: però sul set di Mare Fuori ci sono 50 o 60 volte più spettatori rispetto a chi lavora. Ieri, per esempio, abbiamo girato una scena: io non vi dico come o quel che faccio, che succede, però visto che è uscito un articolo su Repubblica Napoli, con le fotografie della scena che stavamo girando, io non posso negare di esserci stato. Non vi dirò come andrà a finire, però posso confermare che ci sono, anche come musicista perché ho scritto quattro canzoni nuove proprio per questa serie…”
La serata prevedeva che Raiz cantasse Sergio Bruni, ma, accompagnato alla chitarra da Giuseppe De Trizio, in realtà ha proposto qualche canzone sua, qualcuna di altri grandi musicisti napoletani (o assimilati come Astor Piazzolla) e qualcuna scritta da lui stesso, con gustosi aneddoti tra un brano e l’altro, tipo quando Enzo Gragnaniello, (di cui è stato testimone di nozze o cumpare), autore di un capolavoro come Cu’mme, cantato da Roberto Murolo e Mia Marini) gli ha chiesto di andare in studio a cantare il ritornello di Misteriosamente, o quando in occasione del centenario dalla nascita di Sergio Bruni a Panecuocolo, davanti alle maggiori espressioni della canzone napoletana tra cui “Mario Abbate, cantante famosissimo, azzimato, di una certa età, coi capelli ondulati nerissimi, portati indietro con la brillantina, molto mediterraneo, tipo, egiziano, che aveva portato al successo la canzone Indifferentemente, mi chiedono di cantarla davanti a lui. Io replico: ma c’è Mario Abbate e loro mi rispondo ma che te ne importa. Io, però, decido di andare dal Maestro come a chiedere il permesso di farlo, visto che sono più giovane, educato, corretto e rispettoso. Gli dico: Maestro, Voi non mi conoscete, mi chiamo Raiz, faccio l’artista e mi hanno chiesto di cantare Indifferentemente… Lui continua a fissarmi interrogativo, al che gli spiego: Ve lo sto chiedendo visto che state qua… E lui: E che faccio debbo ire? Dopo di che la cantai…”
“Leggenda vuole che i napoletani sposino altri napoletani, ma non è così: io – svela Raiz – mi sono sposato due volte, e non era mai napoletana… In particolar modo la seconda, perché la prima fu una barzelletta, eravamo giovani e finì presto, senza figli, ringraziando Dio, perché anche se un matrimonio finisce, tu, però, diventi parente di quell’altro e poi te lo devi tenere. Invece senza figli, quando finisce potete restare amici ed è meraviglioso… La mia vera moglie è di famiglia israeliana, per cui io ho passato diversi anni in Israele. E’ un paese controverso, bellissimo, che sa essere dolcissimo, ma anche duro e forte. A me piace fare le similitudini e, affacciandosi entrambe sul Mediterraneo, delle cose simili, in effetti, ci sono tra Tel Aviv, la città dove ho passato molti anni, e Napoli: tra le cose in comune, innanzitutto, c’è che per farsi rispettare bisogna urlare, e poi, diciamo così, c’è una grossa discrezionalità: se uno va in ufficio pubblico e chiede se una cosa si possa fare la prima risposta che ti danno è no, poi se continui a chiederlo prima o poi il funzionario ti risponde che ci sarebbe un suo cugino che… Cose che ti aprono il cuore e che ti fanno sentire a casa… Come a Napoli se tu non parli napoletano sei visto un po’ così, altrettanto se sei là devi parlare in ebraico e farti capire in una lingua molto distante dall’italiano. E così io mi sono divertito ad adattare ad una canzone il ritornello di Maruzzella, che là, però, ha un altro significato… Un’idea piuttosto napoletana…”
“Tra le varie collaborazioni, quella che ricordo con più affetto è quella con Pino Daniele: ho lavorato con tanti, ma lui lo sentivo proprio amico, e così spero anche lui. Abbiamo collaborato in due dischi e in tanti concerti: mi ricordo una volta all’ex San Paolo – ora Maradona – un concerto celebre del ’98 quando lui mi invitò sul palco e mi fece cantare il bis. Prima, durante il concerto, avevo già suonato Sanacore, reso in maniera particolare, insieme e poi, appunto il bis, davanti a 80.000 persone Pino Daniele alla chitarra (“non mi va di cantare”, mi aveva detto) e io alla voce in Yes I Know My Way. E’ stato come vincere al Totocalcio… Pino Daniele ha scritto canzoni immortali…”
Il futuro? “Ho una storia che sto scrivendo, vediamo chi me la pubblica; sto scrivendo un paio di canzoni, un po’ per Mare Fuori, ma anche per un mio disco personale, che dovrebbe uscire l’anno prossimo, e tanto altro cinema… Ringraziando Dio, insomma, sono molto impegnato in vecchiaia…” (Foto di Paolo Bevilacqua)
Queste le prossime serate di Musica in Castello: inizio ore 21.30, ingresso libero con offerte devolute a Fondazione Pangea ETS:
Martedì 18 luglio 2023 a Sissa-Trecasali, Piazza Fontana di Trecasali DOLCENERA (Piano solo recita)
Mercoledì 19 luglio 2023 a Lesignano de’ Bagni, Parco ex Terme: THE MANHATTAN TRANSFER 50th Anniversary and Final World Tour
Venerdì 21 luglio 2023 a Compiano, Piazza Vittorio Emanuele: JESPER LINDELL & Band Twilight, la band svedese rivelazione del rock