O lo si ama o lo si odia. Dopo la trasmissione in chiaro, su Canale 5, della "La grande bellezza" di Paolo Sorrentino, che ha vinto l' Oscar come miglior film straniero, le opinioni di chi ha visto il film sono divise...
Parma, 6 marzo 2014 - Di Manuela Fiorini
O lo si ama o lo si odia. Dopo la trasmissione in chiaro, su Canale 5, della "La grande bellezza" di Paolo Sorrentino, che ha vinto l' Oscar come miglior film straniero, le opinioni di chi ha visto il film sono divise. C'è chi lo ha trovato troppo lungo, chi senza trama, chi ha apprezzato la fotografia e il montaggio.
Certo, gli stacchi pubblicitari e addirittura, la trasmissione di un telegiornale nel bel mezzo del film hanno dilatato notevolmente i tempi di una pellicola non facile.
Quello di Sorrentino è, in sé, un film lento, che invita alla riflessione. Rimane certamente deluso chi si aspetta una trama avvincente, dei personaggi delineati, delle scene di azione. Perché la vera forza della "Grande bellezza" è l'avere tradotto la poesia in immagini, che poi è la vera essenza del cinema. Un componimento poetico è per molti incomprensibile a una prima lettura, poi, però, lo si rilegge con attenzione e ci si accorge che ogni parola evoca qualcosa d'altro, che è estremamente soggettivo: un ricordo, un'emozione, una sensazione.
Il film si apre con la scena di una festa, fantasmagorica, eccessiva. Ci si aspetta di vedere dei giovani, invece, i personaggi sono tutti vecchi. Anziani che si comportano da ragazzi, che quasi si sforzano di godere di un divertimento forzato per trattenere un tempo che non è più il loro, finendo per diventare caricature di se stessi. Poi appare Jep Gambardella, un immenso Toni Servillo, io narrante e spettatore di un mondo che sì, gli appartiene, ma nel quale comincia ad avvertire qualche nota stonata. C'è qualcosa che comincia ad andare stretto a Jep, 65 enne giornalista di costume cinico, disilluso, annoiato, che è stato anche scrittore e che vive di una fama riflessa per l'unico libro di successo, "L'apparato umano", scritto a poco più di vent'anni. Ha smesso di scrivere libri Jep, per pigrizia, perché impegnato a uscire tutte le sere in nome di quella mondanità che lo porta a frequentare feste tristi e coetanei ricchi e annoiati, fondamentalmente soli.
«Siamo tutti sull'orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che farci compagnia, prenderci un po' in giro»
Jep vive in un attico con un terrazzo dal quale ammira il Colosseo e la bellezza decadente di Roma, specchio di un tempo perduto e tenacemente mantenuto vivo.
Il film di Paolo Sorrentino è più decadente e proustiano che felliniano. Due volte il regista cita Proust e la sua "Ricerca del tempo perduto", che per Jep coincide con "La grande bellezza" del titolo.
Jep Gambardella cammina lento in una Roma crepuscolare, fatta di scorci inediti e punti di vista che non avevamo mai notato. Una Roma crepuscolare che rispecchia il nostro "non essere un paese per giovani". Perché quello della "Grande Bellezza" è un mondo in cui i vecchi vogliono essere giovani, ma per i giovani, quelli veri, non c'è posto. I personaggi "giovani" sono tristi, malinconici, depressi e, a poco a poco, scompaiono, anzi, spariscono, per dare ai vecchi l'illusione di prolungare la giovinezza oltre il limite. Scompare Elisa, il primo amore di Jep. Scompare Andrea, il figlio di Viola, e scompare la triste Ramona, spogliarellista che nasconde un tragico segreto.
Jep farà un percorso interiore che lo porterà a confrontarsi con se stesso e sul motivo che lo ha portato a non avere più scritto nulla dopo il primo romanzo. Ci vorrà una piccola suora, Suor Maria, detta "La Santa", missionaria in visita a Roma, che richiama nell'aspetto fisico Madre Teresa di Calcutta. All'inizio, nella sua estrema vecchiaia , ha 104 anni, uno sguardo che sembra spento, ma, invece, vede oltre, sembra quasi un personaggio caricaturale. Tuttavia, bastano poche scene per fare emergere la sua vera forza: la mondanità, la decadenza morale non la intaccano. Rifiuta un'intervista per il giornale di Jep , "perché la povertà non si racconta, si vive", dorme per terra, mangia solo radici "perché le radici sono importanti". A lei Jep confesserà di non avere più scritto perché cercava "la grande bellezza", quella motivazione, quella fonte di ispirazione, che non ha più ritrovato dopo il primo libro.
«Mi chiedono perché non ho più scritto un libro. Ma guarda qua attorno. Queste facce. Questa città, questa gente. Questa è la mia vita: il nulla. Flaubert voleva scrivere un romanzo sul nulla e non ci è riuscito: dovrei riuscirci io?».
Confessa questo suo "blocco dello scrittore" alla piccola suora all'alba di una Roma sonnolenta, metafora di un nuovo inizio, sul suo terrazzo miracolosamente affollato di fenicotteri rosa. Basterà un sospiro alla piccola suora per farli levare in volo, portando via con sé la vacua bellezza della vanità. Jep troverà la motivazione per riprendere a scrivere, si recherà all'isola del Giglio, dove rievocherà il suo primo incontro con Elisa, il suo amore giovanile. Si rivede ragazzo, Jep Gambardella e capirà, quasi fuori tempo massimo, che la "grande bellezza" è nelle piccole cose, nei nostri ricordi, nei nostri sentimenti, nelle nostre emozioni, nel nostro tempo passato, ma non perduto.