Sabato, 29 Aprile 2023 06:07

Diritto e Legge nel pensiero di Tommaso D'Aquino In evidenza

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di Daniele Trabucco (*) Belluno, 29 aprile 2023 - Secondo l'impianto teoreticamente classico, magistralmente portato alle più alte vette da Tommaso D'Aquino (1225-1274), la naturale politicità della persona umana comporta anche la naturale giuridicità intesa sia in senso oggettivo (cioè quanto al contenuto: il giusto in sé), sia in senso soggettivo (ossia la capacità di cogliere e di intendere il giusto).

Nella "Summa Theologiae" l'Aquinate precisa come il diritto corrisponda allo "ius quia iustum", o meglio sia "obiectum iustitiae" (cfr. S.Th., II-II, q. 57, a. 1).

Ora, poiché la giustizia consiste nel rendere a ciascuno il suo, il giusto è ciò che è dovuto (es. la somma di denaro che il debitore è tenuto a versare al creditore nell'adempimento della prestazione oggetto dell'obbligazione. A titolo esemplificativo pensiamo al pagamento del prezzo a seguito della vendita di un bene).

Il giusto, dunque, come si può  vedere, esige un'uguaglianza tra i termini della relazione di giustizia, o meglio tra il "suum" ed il "debitum". L'adeguatezza del dovuto "ex ipsa natura rei" è principio di diritto naturale, mentre l'adeguatezza "ex condicto sive ex communi placito" è propria del diritto positivo (ad esempio, la legge scritta può prevedere, quanto al dovuto, quando il creditore dovrà  essere soddisfatto se a seguito di un contratto o di una statuizione dell'autorità).

Detto in termini più semplici: il diritto naturale indica il giusto naturale, il dovuto per sé stesso. Esso comanda di rendere a ciascuno il suo, indipendentemente dalle condizioni del debitore. Sarà, del caso, la legge positiva che stabilirà il come, il quando e con quali modalità il debitore potrà soddisfare il credito (ipotizzando, per esempio, un pagamento rateale del debito). In questa prospettiva, pertanto, diritto (lo "ius") e la legge non sono sinonimi, non indicano la medesima cosa: quest'ultima partecipa del diritto (naturale) senza, però, esaurirlo.

Il diritto, dunque, è condizione e sostanza della legge la quale è propriamente tale se manifesta ed attualizza il diritto naturale: "lex scripta, sicut non dat robur iuri naturali, ita nec potest eius robur minuere vel auferre, quia nec voluntas hominis potest immutare naturam" (cf. S. Th., II-II, q. 60, a. 5, ad. 1).

 Ovviamente la naturalità del diritto, dello "ius", corrisponde alla natura razionalità  umana. Ogni soggetto umano, infatti, è naturalmente capace di discernere il giusto dall'ingiusto (uccidere un uomo è un atto evidentemente ingiusto, malvagio, e nessuno di noi lo perseguirebbe a meno che non vi sia la volontà di commettere un omicidio).

In conclusione, la legge scritta, positiva, può dirsi diritto a condizione che risulti "determinatio iuris naturalis" (cfr. Quodlib., II, q. 4, a. 3), in tutti gli altri casi è solo "corruptio legis".

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(Daniele Trabucco)

 

(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.
 
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.