Di Matteo Pio Impagnatiello Pilastro di Langhirano, 19 novembre 2022 - L’autrice analizza il cambiamento – che vede coinvolto il mondo intero – di ruolo dello Stato moderno nel governo della res publica e del rapporto tra pubblico e privato da un punto di vista politico, evidenziando lo sbilanciamento a favore del privato a partire dalla seconda metà del XX secolo.
«La privatocrazia è un fenomeno globale», scrive Chiara Condelli. I casi di privatizzazione sono tanti. Per fare un esempio, non hanno risparmiato le forze armate nei contesti bellici: prova è la presenza di società private nelle Forze militari statunitensi durante le ultime operazioni in Iraq e Afghanistan. Altro esempio riguarda il sistema carcerario. Neanche gli istituti penitenziari si sono “salvati” dalla sua presenza: in Australia vengono gestiti dai privati. Si è passati dallo Stato amministratore allo Stato imprenditore. Ma non si può ridurre lo Stato a un’azienda o a un supermercato, questi ultimi valutati solo ed esclusivamente per i risultati raggiunti.
L’autrice ne è convinta: «La scelta di amministrare il pubblico tramite il privato compromette le ragioni stesse per le quali uno Stato democratico è chiamato ad esistere, minandone la legittimità dall’interno». In sintonia con il pensiero politico di Immanuel Kant, solo lo Stato può consentirci di vivere in condizioni di giustizia reciproca. Altrimenti, in assenza dell’autorità statale, rivendicare un diritto “non è altro che reclamare l’autorità di imporre doveri sugli altri secondo il proprio giudizio privato”.
Nello scorrere delle pagine, Chiara Condelli descrive come la privatizzazione abbia ridotto il controllo della Pubblica Amministrazione sugli abusi degli attori privati. Ne consegue un allontanamento dei Governi e dei cittadini dalla cura e dalla gestione della cosa pubblica, fino ad arrivare all’apatia politica. La propensione alla privatizzazione si autoalimenta: essa fornisce alle imprese private grandi capitali pubblici, una parte dei quali viene utilizzata per condizionare la vita politica del Paese.
La privatocrazia è entrata nel settore sanitario, in quello dell’istruzione ed ha conquistato anche lo Stato sociale (welfare state).
Lo Stato – fa notare Chiara Condelli – dovrebbe gestire direttamente la res publica, senza assumere un ruolo imprenditoriale. E’, però, fondamentale prevedere modelli di organizzazione statuale ulteriori e altri rispetto a quelli dello Stato moderno socialdemocratico, rivelatisi talvolta opprimenti. La società civile, con le sue molteplici associazioni, non può essere asservita totalmente allo Stato, finendo con il divenire una sua colonia; dal canto suo, il settore pubblico deve rimanere tale.
Il capitolo terzo è dedicato alla filantropia intesa come potere. L’Italia è al terzo posto in Europa per numero di donazioni. Anche nel nostro Paese la filantropia occupa un ruolo importante riguardo alla giustizia sociale. Nell’epoca del neoliberismo imperante, accade che più si riduce la spesa per i bisogni sociali, più la filantropia primeggia e svolge un ruolo rilevante, piuttosto che essere secondario. Con una organizzazione filantropica così com’è, si rischia che si realizzi “lo stato di natura” all’interno della società, senza cioè uno Stato che regoli la società stessa secondo una condizione civile. Le Fondazioni, “benefattrici”, tendono a sostituirsi alle Pubbliche Istituzioni.
Chiara Condelli non ha tralasciato di trattare il settore dell’istruzione: in tale ambito, la privatizzazione rappresenta una parte significativa, in ruoli disparati. Relativamente all’Italia, nel complesso la privatizzazione dell’istruzione copre una percentuale piuttosto bassa rispetto ad altri Paesi. Una riflessione più approfondita merita l’istruzione a casa (home schooling), che – ripresa dall’autrice – fa balzare alla mente quella di Montaigne, il quale si domandava: «Chi non vede che in uno Stato tutto dipende dall’educazione e dalla formazione di essa (l’infanzia)? E tuttavia, senza alcun discernimento, la si lascia alla mercé dei genitori, per quanto stolti e malvagi possano essere».
Ovviamente, aggiunge Chiara Condelli, «Il problema fondamentale … non è quello individuato da Montaigne, bensì è un problema concernente, ancora una volta, l’incapacità del privato di rappresentare il pubblico».
Cosa viene proposto, alla fine, dall’autrice, per provare ad uscire dalla privatocrazia e far incamminare la società verso la democrazia?
Condelli ribadisce il messaggio: «… la necessità di imporre limiti costituzionali alla privatizzazione, e, dall’altro lato, provare a immaginare un modello di amministrazione della cosa pubblica che possa godere di maggiore legittimità democratica».
Per non rischiare di minare la legittimità dello Stato democratico, pare necessario perseguirle entrambe.