www.facebook.com/la.fenice.libreria/ ), ottavo anniversario della seconda scossa del terremoto che nel 2012 ha colpito l’Emilia, e in particolare la Bassa modenese, per presentare “Il silenzio delle campane”, delle giornaliste e scrittrici carpigiane Antonella De Minico e Jessica Bianchi.
Si tratta di un romanzo emotivamente molto coinvolgente, in cui tutti coloro che hanno vissuto in prima persona questa esperienza potranno riconoscere nei sentimenti, nelle incertezze e nelle paure dei personaggi le stesse emozioni di quei giorni. Tuttavia, il libro si rivela di grande attualità, poiché l’emergenza collettiva che i protagonisti sono chiamati ad affrontare ha molti tratti in comune con l’attuale situazione di emergenza sanitaria.
Le vicende narrate nel libro si svolgono a Carpi, il cui volto viene tristemente stravolto dal sisma del maggio 2012 e sono filtrate dalle vicende dei personaggi: Emma e Carlo, coppia di settantenni sposati da più di quarant’anni, che dovranno fare i conti con un segreto che arriva dal passato. Accanto a loro c’è Anna, separata e anaffettiva nei confronti delle figlie ormai adulte, Francesca e Alessia, insicura la prima, ribelle la seconda. E c’è la famiglia “allargata”, rappresentata dall’ ex marito di Anna, Giacomo e dalla sua nuova giovane compagna Nina, in attesa di un figlio. Le loro storie si intrecciano tra le righe del romanzo, tra passato, presente e futuro, nel momento in cui tutti devono ricostruire le loro vite.
Abbiamo parlato de “Il silenzio delle campane” con le autrici in questa intervista doppia.
“Il silenzio delle campane” esce nell’8° anniversario del terremoto in Emilia, in un periodo altrettanto difficile, quello dell’emergenza Covid 19: ci sono delle analogie con questi due eventi?
Jessica: “Otto anni fa il tempo si era come cristallizzato. Vivevamo in una sorta di bolla, di sospensione dalla realtà. Di attesa continua. Ci chiedevamo, smarriti, se tutto fosse finito, se il peggio fosse passato. Quel senso di frustrazione e soprattutto di impotenza di fronte a un evento che non potevamo controllare, credo sia ciò che più accumuna terremoto e pandemia. Al contrario, ciò che ha differenziato questi due momenti drammatici è la socialità. Le relazioni. La catena solidale che si era creata in occasione del sisma è ciò che più di ogni altra cosa ci ha permesso di condividere la paura, di superare il trauma. Un’ancora di salvezza che il Covid ci ha negato, soprattutto nella fase più dura, quella del lockdown, quando siamo stati costretti a un isolamento forzato, che la tecnologia ha reso sopportabile soltanto in parte”.
Il libro è stato scritto “a quattro mani”, come vi siete suddivise i compiti o le parti/capitoli?
Antonella: “Ancor prima di essere stato una suddivisione di compiti, questo romanzo è stato un progetto condiviso, con un’amica, sotto allo stesso tetto, rappresentato dal momento difficile che stavamo attraversando dal 20 maggio a seguire. Nasce dall’osservazione, curiosa, critica cum grano salis e mai giudicante di quello che stava avvenendo. Già dopo la prima scossa, le persone hanno iniziato a dare maggiore spazio alla convivialità: si cercavo l’altro, anche chi non si conosceva, perché si aveva qualcosa in comune, ossia la paura del domani. Non si sapeva se ci sarebbe stato un domani. Poi, il senso delle cose ha cambiato orizzonte, dimensione: per alcuni si è rafforzato l’attaccamento, mentre per altri gli oggetti erano diventati totalmente superflui. Questi sono stati i due primi focus di osservazione. La realtà delle famiglie allargate, che abita anche le pagine del nostro romanzo, poi, è un fenomeno piuttosto frequente. E, sì sa, succede di tutto all’interno di quella realtà. Condiviso il progetto, si è passato all’azione, con lo stesso spirito di condivisione con cui ha avuto vita”.
Il terremoto “fisico” scatena nei protagonisti un terremoto emotivo, che li porta a cambiamenti, riflessioni, rimpianti…ritorni e nuovi inizi. L’analisi psicologica dei personaggi è la colonna portante del romanzo.
Come avete deciso di dare questo “taglio”?
Jessica: “Quello che ci ha spinto a scrivere questo libro è stato il desiderio di condividere un’esperienza. Di dar voce alle paure, ai dubbi che un evento traumatico inevitabilmente comporta. I nostri personaggi, scossi dal terremoto, si interrogano, si rimettono in discussione, si chiedono chi sono e con fatica cercano di ricostruire se stessi e le loro relazioni. È un romanzo che parla di crescita, di evoluzione, seppur faticosa, nel quale è facile identificarsi e ritrovarsi”.
C’è un libro, “La Cecità”, del Premio Nobel Saramago, che ricorre nel romanzo. E la cecità sembra essere proprio quella che caratterizza i personaggi, su diverse situazioni della loro vita. Finché il terremoto non apre loro gli occhi…Confermate?
Antonella: “Premetto che consiglio a tutti la (ri)lettura di uno dei capolavori saramaghiani: Cecità, appunto. La lettura di Saramago è stata di grande spunto nella scrittura: senza presunzione, lo stile narrativo scelto nel romanzo segue un po’ l’impronta dell’autore portoghese. La cecità, purtroppo, la stiamo osservando anche in questo momento di pandemia. La cecità dell’animo ricorre molto spesso, credo che tutti noi abbiamo avuto modo di averci avuto a che fare. Un evento che scuote, come lo è il terremoto, può fare aprire gli occhi. Sottolineo può, ma non è detto che lo faccia. Alcuni dei nostri personaggi vivono una sorta di catarsi, iniziando ad aprire gli occhi interiori, che permettono uno sguardo di sicuro più empatico. Un’attività difficilissima da fare in una società centrata sull’Io e sul tutto e subito…”.
Il libro si apre e si chiude in un luogo, il cimitero di Carpi, dove è sepolto Marco, il figlio di Emma. Ma se in apertura sembra un punto di arrivo, alla fine, senza fare spoiler, diventa per lei un punto di ripartenza.
Dalla morte (del figlio) nasce la nuova vita di Emma?
Jessica: “Certo il lutto per la morte del figlio è sempre presente in Emma, ma non è quella perdita a generare in lei un desiderio di cambiamento. Tutto intorno a lei è crollato, dai muri della sua casa al suo matrimonio con Carlo, in realtà già pieno di crepe ben prima del sisma. Ma è proprio da quelle macerie soprattutto interiori che germoglia il desiderio di immaginarsi una vita diversa. Emma è costretta dagli eventi a guardarsi dentro e, di fronte a un bivio, diciamo così, sceglierà se stessa”.
Nel romanzo sono rappresentate diverse generazioni: Emma e Carlo hanno 70 anni, Anna e Giacomo 50, Francesca e Alessia, e anche Nina, sono sui 30 anni, infine c’è l’annuncio di una nascita. Come mai questa scelta?
Antonella: “È la vita! Ogni età ha il frutto di un’esperienza da mettere a servizio degli altri. Ognuno di noi è uno specchio per l’altro, che altro non è se non una parte riflessa di sé in qualcun altro. Se sappiamo osservare davvero, troveremo sempre una parte di noi in tutti gli sguardi. Che cosa ci faremo di quanto avremo visto, è assolutamente soggettivo. Così come lo è per i personaggi che attraversano le pagine del nostro romanzo”.
Alla fine il “terremoto emotivo” che coinvolge tutti i personaggi fa prendere la decisione più importate e radicale a Emma, la protagonista più anziana. Una piccola rivoluzione per suggerire che “non è mai troppo tardi”?
Jessica: “Emma convive con un senso di colpa che la schiaccia. È divisa, combattuta tra ciò che ritiene giusto, dettato dalla sua profonda fede, e quel desiderio di libertà che cova da anni. La decisione che prenderà alla fine non è tanto indotta dall’età, quanto dal percorso interiore di crescita che ha fatto. Ciascuno di noi a prescindere dall’età può rimettersi in discussione e dare alla propria vita una direzione differente. Con fatica, certo, ma può. Tutti i personaggi del libro in qualche modo si evolvono, seppure in misura diversa, anche le due protagoniste più giovani, ovvero Alessia e Francesca”.
Possiamo definire “Il silenzio delle campane” un romanzo corale?
Antonella: “Sì, assolutamente. Tutti i personaggi fanno sentire la voce delle corde delle loro anime al direttore d’orchestra che è la vita: alcuni finalmente prenderanno la strada del vivere, mentre altri continueranno a lasciarsi vivere. Almeno fino a quando la prossima “scossa” interiore non chiederà di nuovo di rivedere il perché dell’ostinazione della propria cecità. Poi, una volta vista, certo, si può anche decidere di farvi pace e va bene comunque”.
LE AUTRICI
*Antonella De Minico è nata a Carpi e dopo 10 anni in cui ha vissuto a Milano è tornata nella città dei Pio. È una giornalista e quando scrive perde il senso del tempo. Ama leggere, viaggiare, ascoltare storie e osservare con occhi curiosi, ma in silenzio, le vite intorno a lei. Ha pubblicato una raccolta di poesie dal titolo “Spettatrice” (Ennepilibri, 2006) e una narraguida con taglio psy di cui è coautrice sugli chef di Milano “Ristoranti a Milano. 100 chef imperdibili in città” (Novecento editore, 2015).
*Jessica Bianchi vive a Carpi dove lavora come giornalista. Ama le persone che sanno ascoltare, le donne coraggiose, un buon bicchiere di vino e il vento sulla faccia
SCHEDA DEL LIBRO
Antonella De Minico – Jessica Bianchi
Il silenzio delle campane
Round Robin Editrice
Pag. 188 - € 14
DIRETTA FACEBOOK: Venerdì 29 maggio, ore 18.30 su
https://www.facebook.com/la.fenice.libreria/ presenta la giornalista Manuela Fiorini