MODENA 12 settembre 2022 – Esce dal carcere in regime di semilibertà per buona condotta tredici anni dopo aver ucciso la moglie e averne simulato il suicidio. Era l’11 febbraio 2009 quando Marco Manzini, oggi 48 enne, perito elettronico di Sassuolo, aveva attirato con una scusa la moglie Giulia Galiotto, che allora aveva trent’anni e con la quale i rapporti erano tesi, a casa dei suoi genitori a San Michele dei Mucchietti. Qui era scoppiata una lite, al culmine della quale Manzini aveva colpito la moglie alla testa con una pietra, uccidendola nel garage di casa.
L’uomo aveva poi gettato il corpo della giovane nel fiume Secchia e, per sviare le indagini, aveva inscenato un finto suicidio scrivendo un biglietto di addio e facendolo passare come opera di Giulia per confermare l’estremo gesto volontario.
Il suo castello di carte era poi crollato e Manzini era stato condannato a diciannove anni di carcere. Avrebbe dovuto uscire nel 2028, ma il giudice non ha riconosciuto la premeditazione dell’omicidio e ha anticipato la fine della detenzione al 2025. Manzini ha poi potuto uscire dal carcere in questi giorni in regime di semilibertà con affidamento in prova ai Servizi Sociali.
Non solo. Attraverso i suoi avvocati Manzini ha scritto ai genitori di Giulia offrendo loro 50 euro al mese “in ottica di manifestazione della volontà di avvicinamento a un’ipotesi di mediazione penale”. Ma la famiglia di Giulia non ci sta e si sente presa in giro. In particolare, è la mamma di Giulia, Giovanna Ferrari, che dal giorno dell’omicidio di sua figlia è impegnata in una personale battaglia sul tema sempre attuale dei femminicidi. La donna ha rilasciato una lunga intervista all’Ansa non risparmiando parole durissime nei confronti di Marco Manzini e della giustizia.
«Dopo aver ammazzato nostra figlia ci ha chiamato prendendoci in giro», ha denunciato la donna, «Abbiamo assistito alle schifezze che ha detto su di lei in tribunale e non ha mai mostrato pentimento. Oggi noi non sappiamo dove sia e chi lo controlli, mentre lui sa tutto di noi. Metti caso che noi avessimo paura? Chi ci garantisce che questo individuo non ci venga a cercare?».
È poi emerso che Manzini lavorerebbe in un’azienda a tempo indeterminato, fattore che alimenta ancora di più il senso di ingiustizia per la famiglia della vittima.
«Noi non accettiamo alcuna mediazione», ha continuato la mamma di Giulia, «se Manzini mi vuole incontrare lo faccia per dirmi la verità e non le frottole che ha raccontato in tribunale. È già stato fortemente aiutato e ora ci arriva questa lettera per metterci al corrente che, essendo lui in questa situazione di fine pena, ma in misura alternativa alla detenzione, è tenuto a dimostrarsi ben disposto verso la famiglia della vittima. Quindi la giustizia continua a prendere in giro chi ha subito».