La segnalazione a Federconsumatori Modena è arrivata da diverse persone, ultima una ragazza, che dopo aver provato alcune scarpe sportive al negozio Kiki Sport di Mirandola senza però acquistare nulla si è sentita fare la richiesta. Secondo il negoziante si tratterebbe di un disincentivo alla “moda” di provare la merce in negozio e acquistarla poi su internet, ma i pareri sono discordanti.
MIRANDOLA (MO) –
“Scusi, dove va? Sono dieci euro…”. “Come dieci euro?! Ma se non ho acquistato nulla?!”. “Appunto! Sono dieci euro per aver provato le scarpe…perché magari, lei adesso va a casa e le acquista su internet, quindi sono dovuti per la “consulenza”.
Il dialogo è surreale, ma riassume quanto denunciato a Federconsumatori Modena da una ragazza (ma ci sono anche altre segnalazioni a riguardo), su quanto accadutole al negozio Kiki Sport di Mirandola, dove la giovane si aveva provato alcune paia di scarpe, uscendo però senza acquistare nulla.
Ma la storia prosegue in maniera ancora più paradossale, quando la ragazza, sorpresa per la richiesta, fa notare al negoziante che la cosa non è segnalata in alcun modo nel negozio e domanda anche se questa richiesta di pagamento viene rivolta a tutti coloro che non acquistano oppure a discrezione del negoziante. Si sente rispondere che non è necessario che sia indicato, perché, secondo il commerciante, nel suo negozio le regole sono quelle, e che decide lui chi deve pagare e chi no. La giustificazione? Un modo per scoraggiare il malcostume di chi si reca nei negozi, prova taglie e misure di abbigliamento e scarpe per poi acquistare il tutto su internet “perché lo pago molto meno”, come si sono sentiti rispondere il commerciante di Mirandola e molti altri.
La ragazza, però, non ci sta e si rifiuta di pagare i dieci euro per la “prova scarpe”. Nei giorni successivi, poi, ripassando davanti al negozio, nota che in vetrina è stato esposto un cartello con la dicitura “Prova scarpe 10 €”.
Paradossale? Non proprio. Se quello di Mirandola è infatti il primo caso del genere in Emilia Romagna, si sono verificate “misure” simili anche in Toscana, a Sarzana e Prato e a Trento. Legittimo o no? A riguardo i pareri sono contrastanti. Secondo alcuni, infatti, sarebbe legittimo richiedere una quota per la “consulenza”, magari da scontare su un prossimo acquisto, per altri invece si tratta di una richiesta del tutto legittima, che va segnalata alle autorità competenti, che dovrebbero provvedere a sanzionate il negoziante.
Così, invece, si esprime Federconsumatori: “In ogni caso è necessario che una regola così discutibile come quella di far pagare la prova di abiti o calzature sia indicata con grande evidenza all’ingresso del locale commerciale, e non al proprio interno. Questo per consentire al cliente di scegliere se entrare o meno. Inoltre, deve essere specificato che la regola sarà applicata a tutti i non acquirenti, e non in modo arbitrario”.
“Con queste chiare indicazioni”, continua Federconsumatori, “il commerciante si troverebbe probabilmente con una clientela “selezionata”, ma altrettanto probabilmente con una notevole riduzione del volume d'affari. Perché pare evidente che non siano modalità “artigianali” come questa a consentire al piccolo commercio di competere coi giganti del web; una modalità che al contrario crea soltanto effetti controproducenti. Ma il tema esiste, e come Federconsumatori siamo disponibili a ragionare di modalità legittime, come ad esempio il divieto di fotografare le merci in negozio ed i dati posti sulle relative scatole, segnale assai probabile dell'intenzione di acquistare sul web quanto si è provato in negozio".