L'ANGOLO DI INTESA - Rubrica sul sociale a cura di Associazione Intesa San Martino Parma.
Come fa sapere l’Ocse, l’Italia è il paese europeo con la maggiore spesa per pensioni di reversibilità rispetto al PIL. Visti i fatti vi è il rischio che questo sussidio, quasi sempre appannaggio delle donne, venga considerato una prestazione assistenziale e non più previdenziale.
Che significa questo? Tantissimo, purtroppo. Lungi dall’essere un diritto individuale, come di fatto dovrebbe essere, la pensione di reversibilità si troverebbe legata all’Isee, cioè al reddito imponibile familiare. In apparenza si tratterebbe di una rivoluzione meritocratica ma in pratica risulterebbe un modo per demolire un diritto individuale e rendere la pensione inaccessibile per centinaia di migliaia di donne. Per farla saltare, ad esempio, basterebbe che una vedova viva ancora con suo figlio e che questo abbia un piccolo reddito da lavoro. Visto che l’asticella viene sempre fissata a un reddito davvero ‘da fame’, abbiamo ormai capito che l’Isee assomigli più a un modo per togliere più che per dare, oltre il quale saltano tutti i benefici.
La reversibilità costituisce una piccola certezza sulla quale ogni donna può contare, fino ad oggi perlomeno. Possiamo solo sperare che i parlamentari si fermino, per loro interesse, o meglio: per quello delle loro mogli. Ormai solo l’interesse privato può essere la leva per una tutela migliore e completa, a meno che non si trovi un cavillo che escluda le mogli dei parlamentari. L’altra speranza è quella di sempre: la giurisprudenza, una corte che dichiari illegittima questa norma affinché i contributi dei nostri concittadini non vengano scippati dall’Istituto di previdenza.
Rino Basili
Segretario Intesa San Martino