La crisi sembra terminata per i ricchi e super ricchi. In aumento il divario sociale.
di Lamberto Colla ---
Parma, 21 giugno 2014 -
Sono sempre più convinto che l'utilizzo del termine crisi per un periodo così lungo sia improprio. Al contrario credo che, la condizione economica e sociale attuale, sia da considerare la normalità. Attendersi un repentino passaggio dallo stato dalla "sofferenza" a quello di piena agiatezza come molti si erano abituati sino alla soglia del 2007 è pura illusione.
Sette anni consecutivi di crisi hanno, nemmeno tanto lentamente, via via eroso i risparmi di una vita di quel ceto medio, operai e impiegati, che grazie al sacrificio di entrambi i familiari erano riusciti a garantirsi una vecchiaia serena e una base di partenza per i figli. Un ceto medio che aveva come primo obiettivo l'acquisto della casa, come secondo il risparmio di salvaguardia e infine il piacere di "consumare" ovvero di regalarsi o di regalare qualcosa nella consapevolezza di fare un acquisto sopra le proprie possibilità. Un vezzo che, senza intaccare la propensione al risparmio consentitì di portare l'Italia al quinto posto tra i paesi più industrializzati. I consumi crescevano e l'economia girava, il lavoro o meglio i lavori, intesi come professioni , bene o male proliferavano. Da metà degli anni '90 si cominciò a sollecitare i giovani a non radicarsi sull'impiego fisso ma di girare tra le imprese a fare esperienza. E così è stato. I contratti di collaborazione coordinata e continuativa (così si chiamavano all'epoca) cominciarono a prendere piede e diffondersi. Ma anziché produrre turnover e esperienze destinati a favorire percorsi di carriera interaziendali produsse fior fiore di professionisti sottopagati e dall'incerto futuro. Minor propensione ai consumi e impossibilità "tecnica" ma anche psicologica a replicare le aspettative dei genitori riponendo i risparmi futuri nella rata di mutuo per la casa.
Poi venne l'euro e questa categoria di giovani ma non più giovanissimi, incocciò con una drastica riduzione di potere d'acquisto. Da un giorno all'altro, grazie a un assurdo tasso di cambio tra Lira e Euro, tutto divenne molto più caro tranne il lavoro. Chi non si ricorda il cambio dei cartellini da 1000 lire a 1 euro.
Per ultimo la crisi del 2007 diede il colpo di grazia alla nostra economia, al lavoro e ovviamente al ceto medio, quella borghesia che tanto aveva contribuito a rendere diversa e forte l'Italia nel contesto occidentale. La forza dell'Italia risiedeva proprio nella ricchezza diffusa su una relativamente ampia fascia sociale alimentata da speranze e generatore di consumi.
Per la maggior parte di costoro le conseguenze dello tsunami finanziario portarono via lavoro e speranza, sottraendo in tal modo il carburante destinato al motore Italia.
Il sistema economico "moderno", impostato sulla finanza, bruciava risorse a più non posso e con la scusa di spegnere l'incendio i governi intervennero chiedendo sacrifici andando a dragare nelle tasche dei cittadini. S'innescò quindi quella politica di lacrime e sangue che seguendo il postulato classico della conservazione della massa di Lavoisier "Nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma" non ha fatto altro che ridistribuire arbitrariamente la ricchezza di tanti a favore di pochi.
La ripresa c'è... per i ricchi.
La conferma viene dal recente studio di Capgemini e RBC Wealth management "World Wealth Report 2014"nel quale si evidenzia come in Italia ci siano 203.000 persone con un patrimonio netto investibile superiore a un milione di dollari e poco più di tremila (3.050) di multimilionari, che possiedono oltre 30 milioni di dollari senza neanche contare residenze private e oggetti da collezione. Il numero dei paperoni italiani risulta pertanto in aumento nonostante la crisi: +15,6% rispetto il 2012. L'Italia torna così a toccare i livelli del 2007 quando i super ricchi erano 208.000 classificandosi al decimo posto al mondo per numero e ricchezza dei paperoni, l'Italia è preceduta da Canada e Svizzera e seguita da Corea del Sud, Olanda e Brasile.
Prendiamolo come segnale positivo ma il rischio reale è di un incremento del divario sociale che perdurando e aggravandosi non potrà che produrre nefasti risultati a meno di una rapida inversione di tendenza.