Martedì, 28 Gennaio 2025 05:51

Sanzioni USA: la nuova "democrazia americana" firmata Trump, nuovo ordine o nuovo caos? In evidenza

Scritto da Andrea Caldart

Di Andrea Caldart (Quotidianoweb.it) Cagliari, 27 gennaio 2025 - Le sanzioni economiche sono la versione moderna degli assedi medievali: non più mura da abbattere o catapulte da usare, ma economie da strangolare, valute da destabilizzare e mercati da chiudere.

Gli Stati Uniti, da decenni, padroneggiano questa strategia con un’efficacia che ha trasformato la politica estera americana in un esercizio costante di pressione economica.

È questa la “nuova democrazia” americana, rilanciata sotto la presidenza di Donald Trump con un pragmatismo aggressivo che ha rispolverato vecchie dinamiche di dominio globale.

L’obiettivo dichiarato? Promuovere la libertà e la democrazia. Il risultato? Popolazioni stremate, economie devastate, governi che cedono o resistono in base alla loro capacità di adattamento. Siria, Venezuela, Russia: tre casi emblematici che mostrano quanto possa essere arbitraria e imprevedibile l’efficacia di questa politica.

La Russia rappresenta l’eccezione che sfida la regola americana. Dopo l’annessione della Crimea nel 2014, l’Occidente ha imposto una pioggia di sanzioni, sperando di indebolire il governo di Vladimir Putin. La strategia sembrava infallibile: isolare Mosca dal sistema finanziario globale, colpire settori chiave come energia, tecnologia e difesa, e aspettare che l’economia russa implodesse sotto il peso delle restrizioni.

Ma la realtà è stata ben diversa. La Russia non solo ha resistito, ma ha mostrato una straordinaria capacità di adattamento. Ha trovato nuovi mercati in Asia, ha incrementato la produzione industriale e ha rafforzato le sue riserve valutarie. In un ironico ribaltamento delle aspettative, oggi l’economia russa sembra reggere meglio delle economie europee, soffocate dalle stesse sanzioni che avrebbero dovuto mettere Mosca in ginocchio.

I rincari energetici stanno piegando l’Europa, mentre le famiglie e le imprese europee si trovano ad affrontare bollette record e chiusure industriali, e la Russia continua a esportare gas e petrolio verso mercati alternativi, mantenendo a galla la sua economia. Per gli strateghi americani, spiegare questo fallimento diventa un esercizio di retorica: “Lo facciamo per la democrazia e per la libertà di Kiev”, anche se i costi ricadono soprattutto sugli alleati europei.

L’Europa si dimostra ancora una volta, il partner sottomesso.

Purtroppo, la vecchia Europa, dal canto suo, si trova stretta in una morsa. Le sanzioni economiche contro la Russia, pur avendo effetti limitati su Mosca, stanno infliggendo danni enormi ai paesi europei, già piegati dall’aumento dei costi energetici. Ma gli Stati Uniti non hanno bisogno di usare sanzioni dirette per ottenere ciò che vogliono dal continente.

Basta il ricatto militare: senza la protezione americana e l’ombrello della NATO, si insinua il timore che l’Europa sarebbe facile preda di un’aggressione russa. Il risultato è un’adesione quasi automatica alle decisioni di Washington, anche quando vanno contro gli interessi strategici ed economici dell’Unione.

In questo quadro, l’Europa appare come un vassallo fedele, incapace di perseguire una propria autonomia strategica. La giustificazione ufficiale è sempre la stessa: “lo facciamo per la sicurezza globale”. Ma chi beneficia davvero di questa politica? E chi paga il prezzo?

La risposta è molto semplice perché fin quando Washington detta le regole del gioco, imponendo politiche che danneggiano, le economie europee in nome della sicurezza globale, saranno sopraffate.

Nel frattempo, l’Europa si trova costretta ad acquistare gas naturale liquefatto (GNL) americano a prezzi esorbitanti e a finanziare un conflitto che sembra non avere una fine imminente. Il sacrificio richiesto alle popolazioni europee viene mascherato con nobili obiettivi: “difendere la libertà”, “garantire la stabilità”, ma la realtà è che il prezzo di questa fedeltà è pagato in termini di crisi energetica e disoccupazione dalle famiglie europee.

L’era Trump ha portato alla ribalta una politica estera americana brutale, diretta e spesso spregiudicata. Le sanzioni sono state il simbolo di questa visione, una “democrazia americana” esportata a suon di restrizioni economiche e pressioni diplomatiche. Ma cosa succederà con il prossimo cambio di potere a Washington, se mai ci sarà? Si assisterà a una transizione dal caos trumpiano a un nuovo ordine, o sarà semplicemente la continuazione di una strategia di dominio globale, con mezzi e beneficiari leggermente diversi?

La realtà è che le sanzioni sono solo uno strumento di una politica più ampia, che mira a mantenere la supremazia americana a ogni costo. Per molti Paesi, non c’è via di scampo: o si accetta la narrativa imposta da Washington, o si subiscono le conseguenze.

Ma con l’emergere di nuovi attori globali come Cina e India, e con la crescente resistenza di potenze come la Russia, il mondo sembra destinato a una fase di cambiamento. La domanda è: gli Stati Uniti riusciranno a mantenere il controllo, o dovranno adattarsi a un panorama geopolitico sempre più multipolare?

Per ora, l’unica certezza è che il prezzo di questa “democrazia americana” lo pagano i più deboli: dai cittadini europei soffocati dai rincari energetici, alle popolazioni dei paesi sanzionati, abbandonate al proprio destino. Ma tranquilli, è tutto per una nobile causa. O almeno, così ci raccontano al grido di: freedom, is not free.

Auguriamoci solo che in un mondo sempre più multipolare, la “nuova democrazia americana” firmata Trump, non diventi l’ennesima dimostrazione di una superpotenza determinata a primeggiare nello scenario globale.

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