La loro frequenza fa sì che non si possano più considerare eccezionali e che accanto a politiche di riduzione dell’impatto sul clima, debbano essere promosse rapidamente azioni di adattamento e infrastrutture di protezione del nostro territorio.
Mentre nelle zone della Romagna e nel bolognese stiamo pagando la non realizzazione di 11 progetti pianificati già alla fine degli anni novanta dalla Regione, nella nostra provincia è al 50% la realizzazione delle casse di espansione del Baganza, un’opera scelta dalla Regione tra le possibili alternative, spesso criticata per i costi elevati (il costo inizialmente sottostimato è arrivato a circa Euro 115milioni), ma della quale, anche per questo, dobbiamo trarre il massimo beneficio.
Questo significa pensare ad un uso plurimo delle casse, integrando l’indispensabile funzione di difesa idraulica con l’utilizzo irriguo, trattenendo l’acqua non solo in caso di piena e sfruttando l’invaso come riserva idrica per i periodo di siccità.
Ci sono senz’altro ostacoli tecnici e normativi da superare, tra gli altri una procedura di gestione che permetta di invasare rapidamente le portate a rischio esondazione, oltre alla connessione al sistema irriguo e la relazione con la falda; così come è progettata la cassa non può rispondere a queste necessità, ma si può avviare un nuovo studio di fattibilità che valuti tutte le soluzioni tecniche e i relativi costi. Sfruttando i due anni che come minimo mancano all’ultimazione dei lavori, potremmo dare continuità ai lavori costituendo un modello virtuoso di tutela del territorio per le molte opere analoghe, come le casse del Parma, Enza, Crostolo, Secchia Panaro, e future, come il Reno e la zona della Romagna.
Credo infine sia indispensabile creare canali di dialogo permanente con i cittadini che abitano i Comuni oggetto di realizzazione di queste infrastrutture: tutti noi abbiamo il diritto di conoscere costi e benefici di questi fondamentali investimenti e il loro livello di avanzamento lavori.