Ora, i critici del diritto naturale (pensiamo solo, tra i molti, a Norberto Bobbio) ritengono che l'aggettivo qualificativo sia polisenso, cioè ammetta una pluralità di significati e, quindi, di interpretazioni. In realtà, di contro ad una accezione naturalistico-deterministica oggi prevalente propria della modernità e della riduzione della ragione a calcolo (Hobbes), per il pensiero classico (Aristotele, san Tommaso d'Aquino) l'espressione in esame indica ciò che non è arbitrario, o meglio ciò che è evidente e convincente per la sua ragionevolezza percepibile immediatamente (così Sergio Cotta).
Questo spiega come mai il "naturale" costituisca l'apriori del diritto positivo, la condizione stessa della sua giuridicità (Castellano), in netta opposizione alla volontà empirica e contingente di potenza. Solo così la "lex humana", per utilizzare un termine tomista, trae il suo senso dalla giustizia in quanto, rispetto all'ordine naturale, essa svolge una funzione ordinatrice.
Allora il diritto è obbligatorio perché giusto, conforme alla "iustitia", e perché promana dall'autorità che è emanazione, in un dato contesto storico e politico, della giustizia. Si devono, pertanto, respingere le suggestioni idealistiche (Fichte, Hegel, per giungere fino a Giovanni Gentile) riguardo la riduzione del diritto al diritto statale in ragione del fatto che, come emerge chiaramente dai "Lineamenti di Filosofia del Diritto" di Hegel del 1820, solo nello Stato (ovvero nel momento di sintesi) emerge la real-razionalità della legge "nella sua universalità razionale e nella sua determinatezza reale".
Se, infatti, il diritto interno positivo non è più soggetto al rispetto dell'ordine naturale, esso altro non può essere definito se non come mera manifestazione di forza, anche potenzialmente brutale ed inumana, di chi contingentemente detiene il potere. Allo stesso modo, se anche quello che Hegel chiama "il diritto statale esterno" non incontra più il limite dell' "ordo rerum", è possibile pervenire a legittimare qualunque guerra, inclusa quella di conquista. La storia dovrebbe avercelo insegnato, ma, come scriveva Antonio Gramsci, non ha avuto allievi.
(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.
Sito web personale www.danieletrabucco.it