Si tratta di un elemento salutato positivamente, dal momento che è proprio questa flessibilità del giudice delle leggi che gli consente di adattarsi, di volta in volta, alle concrete condizioni del sistema politico ed ai differenti problemi che la società pluralista pone quotidianamente. Tuttavia, l'assunzione di questo presupposto significa ammettere che la Costituzione, o meglio le disposizioni costituzionali che entrano nei giudizi di costituzionalità o nei conflitti di attribuzione, hanno una normatività a contenuto variabile e, dunque, sono "materiali da costruzione" sul piano del loro significato.
Detto in termini meno scientifici: alla Costituzione, quale "vestito della società", si può far dire tutto ed il contrario di tutto. La realizzazione del Testo costituzionale, allora, risiede nel suo carattere "aperto" che favorisce il fluido vitalismo sociale (così Danilo Castellano).
In questo modo, però, non si garantisce alcun ordine politico, bensì la moltiplicazione dei conflitti che possono compromettere la convivenza civile ed il senso stesso dello stare insieme.
Le Costituzioni, quindi, teoricamente concepite come progetto di organizzazione politica e sociale, altro non sono che l'opera di un potere politico che, grazie anche alla funzione ermeneutica degli organi della legittimità costituzionale, hanno trasformato l'ordine naturale delle cose, l'" ordo rerum", in uno pseudo ordine fondato unicamente su principi ideologici presenti nel tessuto sociale.
A partire dall'effetto irradiante del principio personalistico, accolto nell'art. 2 della nostra Costituzione e che consente la libera realizzazione della personalità umana e della sua "dignità", si pongono le premesse per un dis–ordine sempre più nichilistico.
Quanto alla legittima obiezione secondo la quale il compito delle Corti costituzionali, grazie alla loro opera di costruzione della norma, è quello di elaborare una cornice neutra in cui ogni contenuto possa coesistere, si deve replicare che questo modus operandi porta non solo ad un processo di sradicamento degli stessi soggetti dell'ordinamento (pensiamo solo alla porta livellatrice del principio di laicità dello Stato, peraltro spesso utilizzata a senso unico), ma ad una vera e propria frammentazione sociale non molto dissimile da quello "stato di natura" dal quale il cosiddetto costituzionalismo moderno aveva promesso, illudendoci, di liberarci.
(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.
Sito web personale www.danieletrabucco.it