Tuttavia, non è chiaro se la Commissione pensi a una missione militare di sicurezza marittima come fu l'operazione Sophia conclusasi nel 2020 con possibilità (mai attuata) di usare le navi per fermare le partenze e previo accordo con i Paesi dell'Africa settentrionale (come vorrebbe il Presidente del Consiglio del Ministri pro tempore On. Giorgia Meloni), oppure ad una di ricerca e salvataggio com'era l'italiana Mare Nostrum tra il 2013 e il 2014, o piuttosto ad un rafforzamento di Themis in vigore dal 01 gennaio 2018. Peraltro, è necessaria, sul punto, una decisione del Consiglio europeo che definisca previamente il quadro.
E, comunque, resta un problema di diritto internazionale pubblico. Anche l’operazione di interdizione navale (termine più corretto di blocco il quale costituisce un vero e proprio atto di ostilità) è un istituto particolare che, proprio per il suo contenuto, può presentare alcune criticità. In primo luogo, va contro sia la libertà dei mari, cioè di navigazione, sia contro il diritto di passaggio inoffensivo nelle acque territoriali. In secondo luogo, bisogna considerare la questione del rispetto dei diritti umani: c’è un Trattato internazionale, di cui fa parte perfino la Libia, ossia il Patto internazionale dei diritti civili e politici del 1966, che sancisce il principio per cui chiunque può lasciare un paese incluso il proprio. Semmai, bisogna sfruttare il concetto di offensività del passaggio, di cui all'art. 19, paragrafo 2, della Convenzione di Montego Bay del 1982 che preclude l'ingresso nel mare territoriale di navi o imbarcazioni che trasportano soggetti non in possesso di titoli per soggiornare in Italia, o pensare di istituire hotspot nei Paesi di provenienza con la presenza di Commissioni che vaglino preventivamente le domande di asilo politico o di protezione internazionale speciale.
A tutto questo si aggiunga l'urgenza di investire effettivamente sui rimpatri: nel 2022 i Paesi UE hanno adottato 422.400 decisioni in questa direzione, ma solo meno di un quarto dei cittadini degli Stati extra UE sono stati rimpatriati visto il costo elevato degli stessi ed, in alcuni casi, la mancanza di accordi con gli ordinamenti statali di provenienza. Peraltro, mentre un tempo venivano conclusi veri e propri accordi internazionali, oggi siamo in presenza di mere intese di polizia siglate dal Dipartimento di Pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno. Ancora una volta il Governo della Repubblica dimostra, al di là della passarella a Lampedusa e degli slogans da campagna elettorale (che dimostrano una non piena conoscenza del diritto internazionale), di non avere le idee molto chiare.
(*) Autore - prof. Daniele Trabucco
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche "Erich Fromm"). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario "Prospero Moisè Loria" di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in "Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie" organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.
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