Il teorizzatore del cosiddetto vincolo esterno fu l'ex Governatore della Banca d'Italia e Ministro del Tesoro Guido Carli che intravedeva nel processo di integrazione europea la cura dei mali dell’economia e della politica italiana.
Carli affermava infatti che "Il Trattato di Maastricht è stato ratificato dal nostro Paese. Eppure, ancora una volta, dobbiamo ammettere che un cambiamento strutturale avviene attraverso l’imposizione di un ‘vincolo esterno’.
Ancora una volta, come già nel caso del Trattato di Roma, come nel caso del Sistema monetario europeo, un gruppo di italiani ha partecipato attivamente, lasciando tracce importanti del proprio contributo, all’elaborazione di quei trattati che hanno poi rappresentato ‘vincoli esterni’ per il nostro Paese.
Ancora una volta, si è dovuto aggirare il Parlamento sovrano della Repubblica, costruendo altrove ciò che non si riusciva a costruire in patria» (G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari, Laterza, 1993, p.9., passo riportato in “Il vincolo esterno tra economia e politica” di Andrea Cavalcanti in Pandora Rivista, 02 novembre 2020).
La teoria del cosiddetto vincolo esterno ha trovato, poi, compiuta realizzazione alla fine degli anni novanta quando per entrare nella Unione Economica e Monetaria si accettò tutto ciò che l'Europa chiedeva o meglio imponeva: il famoso brocardo ”whatever it takes” (tutto ciò che è necessario) trova i suoi albori, di fatto, in quegli anni.
Non vi è “riforma” che in questi anni non sia stata dettata dalle regole dei Trattati europei e dalle sue istituzioni: “Ce lo chiede l’Europa” è diventato ormai il mantra della classe politica.
Le principali forze politiche propongono, ora, nei loro programmi in vista delle elezioni del prossimo 25 settembre l’astratto e apodittico slogan 'più Europa'.
Ma che Europa vogliono? Questa Europa tecnocratica, burocratica e finanziaria costruita esclusivamente su di una moneta che nessun popolo europeo ama? Vogliono ancora più vincoli e regole calate dall’alto?
Si può parlare di un’Europa diversa, non creata dal vertice (dalla moneta) ma dalla base, ossia un’Europa dei popoli e delle Nazioni o rimane ancora un tabù?
Margareth Thatcher, che è stata comunque la si veda da prospettive diverse una grande statista, nel famoso discorso di Bruges affermava il principio “WILLING COOPERATION BETWEEN SOVEREIGN STATES” (Cooperazione volontaria fra Stati sovrani) per costruire una prospera Comunità Europea ed era contraria al centralismo europeo (“To try to suppress nationhood and concentrate power at the centre of a European conglomerate would be highly damaging and would jeopardise the objectives we seek to achieve”).
L’Europa sarà più forte perché ha la Francia come Francia, la Spagna come Spagna, La Gran Bretagna come la Gran Bretagna, ciascuna con i suoi costumi, tradizioni ed identità, sarebbe sciocco tentare di uniformare le nazioni in una sorta di identikit di personalità Europe (“Europe will be stronger precisely because it has France as France, Spain as Spain, Britain as Britain, each with its own customs, traditions and identity. It would be folly to try to fit them into some sort of identikit European personality” Margaret Thatcher “Speech to the College of Europe, Bruges 20 settembre 1988).
Si può pensare a costruire un’Europa nuova e diversa dall’attuale?
Autori (*)
Prof. Daniele Trabucco
Avv.to Filippo Borelli