Domenica, 29 Maggio 2016 12:35

La brusca frenata dell’economia dovrebbe far riflettere In evidenza

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La frenata dell'industria nazionale è una notizia che nemmeno i più accaniti detrattori delle politiche del governo avrebbero mai voluto leggere.

di Lamberto Colla Parma, 29 maggio 2016.
Quello che l'Istat ci ha rappresentato è un salto indietro al 2013 e una ulteriore conferma di quanto inutili siano stati gli sforzi e i sacrifici fatti all'insegna della politica del rigore imposta da Bruxelles. Manovre che alla fine non sono servite a nulla salvo, aggiungiamo noi, aiutare le banche e a trasferire quote di potere verso un sempre minor numero di soggetti.

Quei sacrifici, ci dissero da Bruxelles e Roma, sarebbero serviti a innescare un processo virtuoso a partire dal consolidamento delle banche affinché queste tornassero a finanziare le imprese le quali, attraverso la loro ripresa, avrebbero creato nuovi posti di lavoro che avrebbero quindi contribuito incrementare i consumi.

Ebbene di tutto ciò non resta nulla. Rimane soltanto il sacrificio inutile di quei tanti che saranno ben presto, ancora una volta, chiamati a rispondere degli errori e degli orrori delle politiche economiche nazionali e europee.

E' accaduto come nella profetica canzone di Angelo Branduardi "Alla fiera dell'est" dove "per due soldi un topolino mio padre compro' e venne il gatto che si mangio' il topo che al mercato mio padre compro." ... e così via.
Siamo andati tutti quanti alla fiera dell'est a comprarci un topolino che alla fine si è mangiato qualcun altro.

Stando così le cose come le ha rappresentate l'Istat si fa sempre più concreta l'applicazione delle clausole di salvaguardia che farebbero scattare l'Iva sino al 25,5% con il conseguente e inevitabile De Profundis dei consumi e delle piccole e medie imprese. Quelle PMI che sono sempre state il tessuto economico più vivace, produttivo e innovativo dell'Italia, però sacrificate sull'altare dell'elite bancario e della grande impresa con tutti i limiti dei loro "grandi" capitani che oggi sono stati ben evidenziati.

I numeri diffusi nelle scorse ore dall'istituto statistico sono preoccupanti. Giusto per la cronaca l'ISTAT ha registrato che a marzo il fatturato dell'industria italiana è calato del 3,6% rispetto allo stesso mese del 2015, il peggiore calo su base annuale a partire dall'agosto 2013.
La contrazione del fatturato è sintesi della flessione del 2,6% sul mercato interno e di un lieve incremento (+0,1%) su quello estero. Risultano in contrazione mese su mese anche gli ordinativi (-3,3%), che invece, rispetto all'anno precedente, crescono dello 0,1%.

Sorprende che il mercato dell'auto abbia segnato un -6,5%, proprio il settore che nel corso del 2015 aveva maggiormente contribuito a riportare il nostro PIL, seppur di poco, in zona positiva. Ma è tutta la grande impresa che ha frenato. A trascinare verso il basso sono stati il crollo delle attività estrattive (-39,5%), insieme al tessile e abbigliamento (-9,8%) e alla metallurgia (-9,4%).

Ebbene, sull'onda di questi risultati c'è poco da essere ottimisti sul futuro del Paese e sarebbe opportuna una rapida inversione di rotta delle politiche economiche e del lavoro, aprendo alla più ampia liberalizzazione in barba all'UE (almeno per qualche anno), confidando sulla creatività diffusa.

Invece, da parte del governo, nessuna particolare presa di posizione o commento, troppo concentrati sulla propaganda referendaria di ottobre.
Allora una domanda sorge spontanea: quando arriverà il tempo in cui "il bastone che picchio' il cane che morse il gatto che si mangio' il topo che al mercato mio padre compro'", si abbatterà sulle teste degli incapaci invece delle solite teste dei lavoratori e pensionati a reddito fisso sempre più decrescente?

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