Parma, 14 Luglio 2013 -
In periodi di crisi, si sa, la prima voce di bilancio che le imprese "tagliano" è relativa alla quota pubblicitaria. In genere i tagli risultano ben superiori alle quote di minori ricavi effetto della crisi. Un modo per fare cassa o per ritardare interventi d'emergenza spesso legati alle risorse umane. Si taglia in attesa di una ripresa dei mercati che ci si auspica imminente e nella speranza che la crisi sia solo un fatto esterno all'azienda. Invece di analizzare l'impresa in tutti i suoi reparti e "riorganizzare" le unità operative e rivedere le strategie a breve e medio periodo si percorre la più semplice strada dei tagli. Tagli che, molto spesso, portano a ulteriori disequilibri nella già precaria situazione aziendale. Risposte emotive per mettere a riparo la coscienza in attesa di tempi migliori.
E' così che la pubblicità diventa un indicatore di "salute" e al contempo anche un indicatore del "sentiment" aziendale ossia delle aspettative del management. Più sono ampi i tagli e maggiore è l'attesa negativa per il futuro. Tutto ciò innesca un meccanismo che porta, se protratto per lungo periodo, a compromettere la stabilità dell'impresa per la sua costante perdita di competitività.
A risentire maggiormente della crisi dei vari settori industriali, commerciali e dei servizi è ovviamente il comparto editoriale.
L'editoria nel 2012, secondo una nota di ASCA, ha registrato ricavi per 5,3 miliardi di euro con una flessione del 14,1% rispetto all'anno precedente, trascinata dal crollo della pubblicità (-19,1%, da 2,65 miliardi nel 2011 a 2,14 nel 2012). E' quanto si ricava dalle rilevazioni dell'Agcom il cui presidente, Angelo Marcello Cardani, ha presentato il 9 luglio scorso a Montecitorio in occasione della relazione annuale, che sottolinea la controtendenza dell'online, che non deve essere considerato una ''minaccia'' ma un'opportunità. Nel dettaglio i dati indicano un andamento peggiore della stampa periodica (che assorbe il 51,1% del mercato), che lascia sul terreno il 17,3% degli introiti a fronte del meno 10,5% della stampa quotidiana. Tutti i media tradizionali vedono i ricavi in forte calo, ha spiegato Cardani nel suo intervento, sia per l'effetto della crisi che della pubblicità. ''Il valore complessivo del Sistema integrato delle comunicazioni (Sic) tra il 2010 e il 2011 si e' ridotto ancora di un miliardo di euro, con un decremento del 3,7% - ha detto -. Unici a crescere del 12% i ricavi del media su internet, sebbene rappresentino per ora circa il 4% del Sic. La decrescita investe principalmente l'editoria, i cui ricavi si sono ridotti ancora del 14%. In due anni un miliardo di euro in meno di fatturato solo nella carta stampata, non solo per effetto della contrazione generale della raccolta pubblicitaria, ma anche del cambiamento nella struttura del mercato. Reagire considerando internet solo come una minaccia - ha rilevato Cardani - e non un incentivo al cambiamento non aiuterà il percorso di alcun media''.
In conclusione, anche per il settore editoria, si tratta di cogliere il momento di crisi come una occasione per rivedere le proprie aziende e individuare nuovi obiettivi sula base di nuove strategie e politiche aziendali. Val la pena di ricordare che un assioma della comunicazione recita che "NON SI PUO' NON COMUNICARE"; in fondo, un vecchio slogan ricordava che la "PUBBLICITA' E' L'ANIMA DEL COMMERCIO".