di Francesca Caggiati – Siamo in emergenza sanitaria ormai mondiale. Smettiamo di raccontarcela e di voler tenere gli esercizi commerciali e i mercati aperti, smettiamo di dire che è una banale influenza, smettiamo di invocare una fantomatica privacy per nascondere chi è stato colpito dal virus e potenzialmente ha già anche contagiato le persone con cui è entrato in contatto nelle ultime settimane. Smettiamola di farci dei selfie con degli slogan del tipo #parmanonsiferma, perché si sta parlando della vita delle persone.
Il diritto alla salute e alla vita deve essere messo al primo posto, al di sopra di ogni altro interesse o diritto privato. Non esiste il benessere del singolo, se non c’è al primo posto il benessere collettivo.
Finora solo la comunità cinese – che già da lunedì 2 marzo – ha deciso in modo autonomo, responsabile e consapevole di chiudere tutte le sue attività commerciali, ha dimostrato di avere a cuore il bene della collettività.
Come ha dichiarato il prof. Massimo Galli – Primario Struttura Complessa Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco di Milano – alle telecamere di La7 nel servizio andato in onda il 5 marzo scorso: “Nelle epidemie storiche hai una prima fase in cui ci si dà di gomito dicendo “Ce l’ha il nostro vicino il problema, ah che paura, però insomma ce l’ha lui”. Poi c’è la fase in cui ti rendi conto che ti è arrivata in casa e in cui rifiuti l’idea "Ma nooo! Non è possibile, non è possibile che sia qua da noi!". Poi c’è la fase in cui si deve prendere atto e vengono assunte delle misure. Poi c’è la fase in cui c’è qualcuno che dice: “Ma queste misure ci rovinano!” e allora vengono ridotte. E poi c’è la fase della rovina totale in cui la malattia dilaga”.
Semplici, ma precise parole che rendono perfettamente l’idea di quello che è successo con il primo decreto e l’attuazione dello stesso che fa quasi retromarcia poco dopo. Come dice il professor Galli: “Una assoluta sciocchezza!”
Eppure abbiamo visto leader politici nazionali e locali dire di continuare a venire in Italia e a Parma, dire di continuare a vivere come se nulla fosse, postare selfie per far vedere al mondo intero che qui è tutto a posto e non c’è nulla o quasi di cui preoccuparsi. E questo è a dir poco sconcertante.
Perché sono già due settimane che l’Italia è in allerta e perché significa non essere consapevoli e non aver compreso la gravità della situazione, oppure significa fregarsene per dare un contentino agli esercenti delle attività commerciali che si lamentano, tenendo solo in considerazione l’aspetto economico a breve termine, senza avere chiaro che una pandemia come ormai è stato appurato essere il coronavirus, porterà ad un collasso del sistema sanitario ed economico inevitabile e di quelli forse mai visti prima.
Qui ci si limita a pubblicare dati statistici quasi timidamente, ricordando di attenersi alle distanze di sicurezza, che oggi non si sa neppure quali siano esattamente. Si parla di 1 mt o 1,82 mt o… ?!
Quindi cosa fare?!
Moriremo tutti? No per fortuna. Ma questo non significa che non ci dobbiamo preoccupare, perché il problema non è l’estinzione della specie.
Il problema è che il Covid-19 è una malattia che richiede un’assistenza al malato particolare, con una percentuale di malati che ha bisogno di ricevere respirazione assistita e quindi di essere ricoverata nei reparti di rianimazione. Se il numero di contagiati aumenta drasticamente, aumenta anche il numero di pazienti da ricoverare in rianimazione e chissà per quanti giorni.
Non essendoci una terapia specifica e ammalandosi gravemente fino alla morte anche persone giovani - tra i primi il medico ofmatologo Li Wenliang, 34 anni, di Wuhan, seguito da altri giovani medici cinesi - e persone apparentemente sane, bisogna evitare che il numero dei contagiati esca fuori controllo.
I posti in rianimazione sono limitati e, in più in generale, tutti i posti ospedalieri sono limitati rispetto alla popolazione, quindi il rischio concreto è quello di non poter accedere neppure alle cure che comunque – meglio ripeterlo – non sono specifiche per il coronavirus.
Il personale sanitario è limitato, si sta ammalando e alcuni medici anche in Italia sono già morti. Il rischio del collasso del sistema sanitario è reale. Non una remota ipotesi.
In aggiunta come già pubblicato da Il Fatto Quotidiano di oggi “La Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva ha diffuso un documento tecnico per "fornire un supporto agli anestesisti-rianimatori attualmente impegnati a gestire in prima linea" la maxi-emergenza in cui scrive: "Può rendersi necessario porre un limite di età all'ingresso in terapia intensiva. Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata."
E il vaccino? Come prima cosa non è ancora stato trovato, quando e se verrà trovato, ci vorranno comunque mesi affinché sia disponibile, quindi non facciamoci troppo affidamento.
Prendiamo esempio dai cinesi. Fermiamoci. Ma fermiamoci seriamente. Tutti in casa per almeno due o tre settimane e comunque fin tanto che la curva dei contagi non arresti la sua crescita. Tutto chiuso, a parte gli ospedali. Medicinali e spesa consegnata a domicilio con personale munito di mascherina e pos per i pagamenti.
Se proprio non possiamo fare a meno di uscire, mettiamoci la mascherina anche se pensiamo di essere sani come i pesci, in modo da scongiurare il contagio.
Se non troviamo mascherine possiamo sempre metterci una sciarpa sul naso e la bocca in modo tale da sopperire.
Ma se non è strettamente necessario… stiamo in casa!!
E lanciamo un nuovo slogan più saggio di questi tempi: #iomifermo
Io mi fermo significa che ho a cuore la mia salute, quella dei miei cari e di tutta la collettività. Io mi fermo significa che finalmente avrò il tempo per stare con i miei figli, i miei genitori, i miei fratelli o sorelle. Avrò il tempo per leggere quel libro che ho sul comodino da mesi, vedere o rivedere un bel film, cucinare in tranquillità utilizzando anche gli avanzi del giorno prima senza buttarli come facevo prima, ripensare alla mia vita e al mio lavoro.
Posso lavorare da casa?
Sì… possiamo anche lavorare da casa, in molti modi: mandare mail, ricevere e fare telefonate (ormai il telefono si usa per tutto tranne che per far sentire la nostra voce!), possiamo partecipare ad una riunione di lavoro in videoconferenza con colleghi e capo, clienti o fornitori, possiamo frequentare corsi e lezioni on line o in streaming e fare tante altre cose, da casa.
Ripensiamo tutti ad un modo di lavorare dislocato, geo localizzato, smart, da remoto… o chiamatelo come volete. Ma pensiamoci.
Tra qualche mese l’emergenza finirà. E quando l’emergenza sarà finita riprenderemo a frequentarci di persona, a ritrovarci per aperitivi ed eventi, ad abbracciarci e a baciarci ringraziando di essere ancora vivi!
Bisogna assolutamente evitare che il numero di persone contagiate aumenti.
E il modo più efficace è stare in casa.
Questo è l’unico vero messaggio che dovrebbe arrivare dalle Istituzioni a tutti gli Italiani. Senza tentennamenti e senza deroghe!