Sabato, 03 Agosto 2024 08:26

L’altra guerra. Community memory In evidenza

Scritto da Francesca Dallatana

Di Francesca Dallatana Parma, 2 agosto 2024 -

La Storia è essenziale nel tracciare i fatti umani. Nell’affresco finale relega in sottofondo il qui ed ora della comunità.

Sul palcoscenico dell’attenzione: i punti di svolta, gli eventi periodizzanti, i fatti significativi. La vita, le persone, la paura, la solidarietà rimangono in penombra. Come i pensieri e i ricordi. “I bambini al tempo della guerra” è il titolo del racconto corale di un gruppo di bambini diventati grandi. Ambientato a Mariano di Valmozzola, Parma, nel biennio 1944-1945. Anni cruciali per il Paese. Gianni Cupri ha raccolto le testimonianze di sei bambini di allora e ha cercato di colmare la lacuna dell’affresco della Storia. Ha aggiunto colori ed emozioni.

Cupri2.jpegE la Storia si è avvicinata alle persone, al presente. 

Il libro è pubblicato da Amazon e lo si acquista on line. La presentazione è in agenda in data odierna, tre agosto 2024, presso la sala civica di Mormorola, Valmozzola. Dialoga con l’autore Carla Battistini, Presidente dell’associazione amici del Museo della Resistenza “Gian Paolo Larini” di Valmozzola.

Una penna raffinata per un racconto forte, seppure a lustri di distanza. Giovanni Cupri, conosciuto a Mariano come Gianni, è stato consigliere comunale a Valmozzola per diverse legislature; già direttore dell’Ente di Formazione Ecipar, quindi responsabile per le politiche del lavoro e per la formazione di Cna Parma (Confederazione nazionale per l’artigianato, nda).

Mariano, Valmozzola, Tiedoli, Borgo Taro, l’appennino tosco emiliano: luoghi d’appartenenza e commozione. Una terra che non dimentica. Il libro è ambientato qui.

A dare il “la” alla narrazione, l’annuncio della guerra trasmesso via radio dal Duce. E’ il dieci giugno del millenoceventoquaranta. “Voce stentorea e occhi sbarrati”, Benito Mussolini comunica la dichiarazione di guerra. Una prova generale di comunicazione di massa, che farà scuola. E che diventerà fuoco di attenzione per studiosi di sociologia e di psicologia della comunicazione.

Gianni Cupri inizia la sua indagine storica dal diario di don Giuseppe Sbuttoni che tiene una cronaca precisa di umori ed eventi dell’epoca.

Un incipit significativo e non casuale.  Da una parte un uomo solo al comando, con inedita capacità e potenzialità di comunicazione: il Duce. Dall’altra un umile prete che prende appunti, che scrive note quotidiane e racconta la vita del suo gruppo di fedeli e della comunità. In sottofondo, la guerra.

Una prosa sobria e precisa, quella dell’autore, a suggerire la forza di un contrastato contraltare: il pensiero affidato a un diario di bordo quotidiano, quello del prete di campagna; le urla imperative di chi impone senza contraddittorio, quelle del Duce.

Come la cronaca del religioso, il libro riproduce fedelmente l’ambientazione dell’epoca e la percezione della guerra degli osservatori non visibilmente protagonisti, ma attivi e presenti. I bambini e le nonne e le persone rimaste nei piccoli centri, dispersi nelle manciate di case dell’appennino: l’umanità dimenticata dalla Storia, dalle fredde periodizzazioni, dall’analisi obiettiva delle cause e degli effetti. A ritroso, questa è la cronaca della quotidiana umanità delle persone. Che subiscono la guerra come attori non protagonisti, figure in sottofondo per la grande Storia.  

Gianni Cupri restituisce loro la centralità della vita. Presta attenzione ai particolari, alle sfumature, ai fatti e alle attività quotidiane. Strappando i veli dei pregiudizi conseguenti alla lacuna conoscitiva.

I bambini e il lavoro: solo uno dei temi affrontati dall’autore. In punta di penna suggerisce una riflessione sul contributo dei bambini al sostentamento della comunità e al lavoro dei gruppi di abitanti delle case abbracciate alle colline. I bambini hanno lavorato nel periodo bellico e lo hanno fatto prima e dopo la fine del conflitto. I bambini erano la squadra di supporto e di sicurezza per i taglialegna, nei boschi, dove ci si muove in gruppo per aiutarsi l’un l’altro in caso di necessità e per trasferire il fabbisogno per il riscaldamento: trasportare le fascine dal bosco a casa era compito loro. I bambini erano le sentinelle degli animali da reddito, oggi si chiamano così, lasciati al pascolo nelle radure, negli spazi liberi delle montagne. Non era un lavoro, ma integrazione alla comunità. Oggi lo chiameremmo sfruttamento infantile così come allora gli animali da reddito erano considerati parte del gruppo. In vita e in morte.

L’uccisione del maiale era un evento sociale di grande rilievo, con una liturgia cadenzata degna di una celebrazione religiosa. Un impegno sociale che coinvolgeva non solo i diretti interessati ma l’intera comunità. Un rito collettivo diretto e indiretto nel consumo e nella distribuzione delle carni agli abitanti, fino agli indigenti.

Il cibo, il rapporto con il cibo durante la guerra. In montagna è impegnativo garantire l’autosufficienza. La guerra rende le cose ancora più difficili. Per tutti. Per gli abitanti delle case sparse e per i piccoli nuclei. E anche per i partigiani combattenti in montagna. Non ultimo, per i soldati nemici oppure amici che siano. Le case di campagna sono luoghi di conquista e di razzia per i soldati presenti sull’appennino tosco emiliano.

Paura e fame condizionano le azioni dei militari e dei civili. Paura e fame e incertezza: per molti soldati sbiadisce la motivazione a cercare i partigiani nascosti, perché la stanchezza e la delusione per una guerra inutile come tutti i conflitti sono più forti delle consegne degli stati maggiori militari.

La violenza vista dai bambini diventati adulti: una morte lenta e atroce inflitta a due persone perché sospettate di essere autrici di un’azione; una morte annunciata per un cane indifeso che crede di giocare con un gruppo di bambini che gli applicano invece l’esplosivo sul corpo.

La violenza e il rapporto con le armi in guerra diventa quotidianità.

La convivenza con il costante imprevisto. La fuga dai pericoli attesi ma ignoti per la prepotenza potenziale.

Tempo di guerra sull’appennino tosco emiliano. Il tempo, la vita e la percezione di futuro si trasformano. Le persone che non fanno la guerra, nel libro di Cupri, diventano centrali.

Bambini, donne, uomini non impegnati nelle arene del conflitto: sono retrovie sociali consapevoli e leali verso i partigiani. Ma non residuali rispetto agli eventi bellici in corso.

L’autore svela, a tratti ma con decisione, il lato umano della comunità che resiste. E rompe la maschera agli uomini della guerra, quelli che irrompono nelle case. Che fingono di credere che il giovane infortunato sia reduce da un incidente in agricoltura, quando è evidente che è un partigiano rimasto offeso da un’azione di guerra. Credono alla donna che lo presenta come suo figlio.

Sotto la divisa, non si annulla il pulsare dell’umanità.

Una guerra diversa rispetto a quella che la Storia racconta. E’ la stessa guerra, ma vista da dentro. Vissuta da chi l’ha subita e ha usato le mani, la voce e la speranza per sopravvivere alle bombe. Protetto dal grande abbraccio solidale della comunità di appartenenza. E dalla forza antica della montagna.

Gianni Cupri, I bambini al tempo della guerra. Mariano di Valmozzola 1944-1945, Amazon, 2024

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(Link rubrica:  La Biblioteca del lavoro lavoro migrante  https://gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=francesca%20dallatana&searchphrase=all&Itemid=374  )

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