Domenica, 07 Luglio 2024 07:01

La biblioteca del lavoro: Andrea Staid In evidenza

Scritto da Francesca Dallatana

Povertà al ribasso. Homeless and bricklayers

Di Francesca Dallatana Parma, 7 luglio 2024 -

La forza della disperazione scardina la serratura della “fortezza Europa”. La migrazione è un fenomeno strutturale, non più un flusso dettato da emergenze belliche e ambientali. Queste non sono le uniche cause. La disperazione è potente energia che si trasforma in motivazione finalizzata al riscatto sociale. Arriva dai confini: quelli di terra attraverso gelo e sassi delle montagne e dagli ottomila chilometri di costa. E prende corpo nelle nuove schiavitù. A rappresentarle sono le braccia che pagheranno sanità e pensioni all’Italia spedita di gran carriera verso un invecchiamento di massa.

All’esercito di riserva migrante Andrea Staid ha dedicato una composita riflessione: “Le nostre braccia. Meticciato e antropologia delle nuove schiavitù.”, pubblicato da Milieu nel 2018. Libro di straordinaria attualità per spunti di ricerca e piste per la costruzione di possibili nuovi servizi sociali. Capaci di rispondere alle esigenze espresse dalle comunità presenti sul territorio.

Il lavoro è solo uno degli ambiti indagati. Lavorare è l’obiettivo definito e comunicato con forza dai migranti, il motore principale dello spostamento territoriale.  Tra le pieghe del libro, si fa strada un altro vettore della mobilità territoriale: la ricerca del senso di sicurezza, dell’equilibrio psicologico e sociale che permette la realizzazione di se stessi nell’arco temporale concesso dall’esistenza umana.

Il lavoro

Il lavoro meticcio è l’incontro tra offerta di provenienza territoriale varia e domanda locale ispirata dai criteri del capitalismo e delle economie globali: tra chi ha bisogno di sopravvivere e chi ha bisogno di produrre, subito e qui.

Il lavoro per i migranti fa rima con precarietà, esattamente come per molti lavoratori italiani. E’ un minimo comune denominatore al ribasso. I settori di impiego sono quelli fisicamente usuranti, ad rischio alto: edilizia, logistica, trasporti, agricoltura, assistenza. Senza l’esercito di riserva proveniente da oltre il confine l’economia registrerebbe un pericoloso stallo.

Per lavorare i migranti pagano. Non sempre, ma spesso. Ricompensano in denaro contatti, informazioni e aiuto ottenuti da connazionali oppure da migranti di altra provenienza. Non si tratta di elargizioni spontanee. Ma del saldo di un debito contratto con i caporali.

I nuovi caporali sono migranti stabilizzati nelle catene di comando delle fabbriche, lavoratori che si sono conquistati la fiducia di titolari e capi-turno. Che si improvvisano selezionatori del personale accedendo alle reti informali di conoscenze e chiedendo contropartita in denaro in cambio di una presentazione in azienda, di un contratto di lavoro. I selezionatori-caporali garantiscono la mano d’opera che non alza la voce sui carichi di lavoro e senza conoscenza di tutele e diritti del lavoro. Meglio se con competenza linguistica bassa. Un vero e proprio dumping sociale: condizionamento negativo per un mercato del lavoro già fortemente compromesso dal costo del lavoro alto per le aziende a fronte degli andamenti economici degli ultimi decenni. Non è detto che il compenso per la selezione, pagato dal candidato lavoratore al selezionatore-caporale, sia una tantum.  Sono conosciute, e il libro ne fa ampio cenno, le catene di connazionali a garanzia della continuità ai servizi assistenziali alle famiglie: badanti che selezionano altre badanti e che si fanno pagare dall’anello debole della catena. Più è debole il lavoratore e maggiore è l’indice di sfruttamento.

Il lavoro dei migranti ha un costo più basso, se il minimo sindacale non viene rivendicato. Per costo si intende: costo economico.  La richiesta del riconoscimento di un diritto, per esempio il pagamento di una retribuzione regolare, pregiudica la continuità del lavoro. Spesso i contratti sono al limite della legalità: una parte pagati formalmente da banca a banca e una parte in nero. Quando, quanto e come lo decide il datore di lavoro. Il lavoro povero riservato ai migranti inquina il mercato del lavoro, che è di tutti.

Le galere

La forza dei signori del lavoro nero è direttamente proporzionale al diritto dei lavoratori migranti a rimanere sul territorio. Nessun documento: alto sfruttamento. La clandestinità è lo status ideale per un lavoratore sfruttato, quindi a basso costo del lavoro. Il lavoro nero è una forma di sfruttamento temporalmente ed economicamente incerta. Niente è formalmente definito: il luogo di lavoro, la retribuzione, le modalità di lavoro, la durata. E soprattutto: nessun rispetto per le norme di sicurezza. Il lavoro nero è funzionale alle esigenze produttive, senza rispetto della dignità della persona. Ancora meno della società. Agenzie per il lavoro e lavoro a tempo determinato, seppure frammentato in brevi durate e in proroghe, hanno permesso l’emersione del lavoro nero per chi ha documenti validi. Ma la precarietà impedisce di progettare nel futuro a media e lunga gittata. E compromette la regolarizzazione e la proroga dei permessi di soggiorno. La precarietà apre le porte delle “galere etniche”, i centri di rimpatrio oppure i centri di identificazione ed espulsione. Sono le galere dei migranti. Niente da invidiare alle galere tradizionali. E’ l’esercito di riserva dei lavoratori parcheggiati “in cantina, sfruttabili e ricattabili senza alcun limite.” “Carne da lavoro irregolare” in cattività, in attesa di essere indirizzata altrove, senza sapere quando e dove e con quali risorse.

La casa

Le galere etniche sono le strutture di parcheggio dei migranti, in entrata oppure in uscita dai confini. Recinti senza ossigeno e senza speranza per chi non è legalmente autorizzato a rimanere ed è finito nel labirinto dell’espulsione oppure nel limbo infinito della regolarizzazione dell’ingresso. Fuori dalle galere, i signori del lavoro nero e dei pavimenti in affitto garantiscono sonni frammentati e inquieti e talvolta brandelli di lavoro sfruttato. Chi comincia a strapparsi di dosso la camicia di forza del caporalato della falsa integrazione si inerpica per un sentiero ripido.  Fabbriche fatiscenti, muri falsamente protettivi durante notti fredde anche in estate, ponti e fiumi in secca, parchi: sono i luoghi del riposo impossibile. Per chi è allontanato dai datori di lavoro oppure dai gruppi di colleghi dai luoghi di alloggio spesso fatiscenti. La casa, la possibilità di avere tegole di riparo sulla testa, in Italia, è un obiettivo difficilmente raggiungibile. Chi non ha i documenti può lavorare solo in nero oppure rubare. Oppure morire di fame. Il tetto è negato. Conquista impervia anche per chi è in possesso di documenti e contratto di lavoro. Il tema è articolato. Potrebbe essere molto interessante aggiungere al contributi di Andrea Staid il punto di vista di proprietari di casa e dei datori di lavoro non macchiati di sfruttamento.

Le voci

E’ la forza della cultura a non spegnere il coraggio. Chi ha contenuti non si lascia intimidire dalle barriere del mercato del lavoro e dai veti della xenofobia e della resistenza al cambiamento espressa dal localismo asfittico e ripiegato su se stesso, ispirato dalla stasi e destinato alla metastasi. Le testimonianze raccolte dall’autore e proposte nel libro sono di alto spessore ma non esaustive. Parla chi conosce il valore e il potere della comunicazione. Cioè chi non ha avuto paura di prendere ed esprimere posizione. Pochi, rispetto alla pletora di lavoratori fragili costretti dalle condizioni della vita ad accettare sfruttamento e precarietà fuori dai limiti della dignità. Fra tutte le testimonianze, di grande impatto è la voce dell’argentino Marcelo. Migrante attraverso diversi Paesi del sud America, poi in Italia. Dove è assunto e retribuito dalla cooperativa di facchinaggio con salario più basso rispetto a quello dei colleghi italiani. Che lo braccano nello spogliatoio, lo obbligano a dire quanto sia pagato. E che rivendicano per lui e con lui lo stesso loro stipendio. Non vogliono che dopo di lui arrivino altri due, tre, quattro Marcelo. Lavoratori uniti, onore all’azione di cittadinanza attiva. Si ferma per la congiuntura del 2008 il gruppo di lavoro e di lotta, nella testimonianza dell’argentino Marcelo. La solidarietà al rialzo è più forte di tutto.  Dello sfruttamento, delle barriere. “Non esiste una purezza originaria. Siamo tutti meticci.”

Andrea Staid, Le nostre braccia. Meticciato e antropologia delle nuove schiavitù, Milieu, Milano, 2018

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