Di Andrea Caldart Cagliari, 18 agosto 2023 (Quotidianoweb.it) - Da allora a oggi abbiamo assistito alla progressiva evaporazione, legalizzata dalle sentenze della Corte Costituzionale che si sono susseguite, dei diritti inviolabili della persona che dovrebbero invece essere gelosamente da Essa custoditi.
Per questo in molti, da allora ad oggi, giuristi, sanitari, professionisti e cittadini comuni, stanno lottando in difesa delle libertà individuali fondamentali, attraverso gli strumenti della legalità, per ora fortunatamente ancora fruibili, nonostante la generalizzata decadenza del sistema democratico, che trascina con sé, in primis, il progressivo infangamento di quello giudiziario e sanitario.
Infatti, quello che il mainsteam continuava e continua a chiamare vaccino, in realtà è da considerarsi un farmaco di cui non risultano nelle relative schede tecniche approvate ancora studi e dati su aspetti sanitari palesemente di grande rilievo per la salute e la sicurezza farmacologica, oltre che la conoscenza di possibili effetti avversi a media e lunga distanza, e la massa si è inoculata all’oscuro di tutto ciò.
Quello che è accaduto è che le persone non sono state perfettamente informate, e quello che doveva essere un consenso informato in realtà è divenuto un consenso presumibilmente per tanti disinformato.
Ci sono stati fortunatamente molti medici che hanno comunque cercato di approfondire e chiarire l'assenza di informative e di alternative imposte dai protocolli Statali, operando da subito in scienza e coscienza per salvare vite umane, anche a costo di subirne conseguenze professionali e personali pesantissime.
Abbiamo approfondito quello che si può definire un ennesimo scandalo a cielo aperto sottaciuto in tempi di pandemia, rivolgendo alcune domande all’Avv. Antonio Verdone del Foro di Cagliari, abilitato al Patrocinio davanti alla Cassazione ed alle altre Giurisdizioni Superiori.
Avvocato Verdone, può spiegarci che cos’è il consenso informato?
Nell’ordinamento giuridico italiano il principio del consenso informato trova fondamento nell’art. 32 della Costituzione in combinato disposto con gli artt. 13 e 2 della stessa e gli artt. 1,2,3 della Carta di Nizza, che sono peraltro richiamati dalla legislazione nazionale, rappresentata dalla legge n. 219/2017. Anche la Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997 e ratificata in Italia con la L 28 marzo 2001, n. 145, ha ribadito che «un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero ed informato» (art. 5).Da tale contesto normativo emerge, dunque, l’esistenza di un diritto costituzionalmente garantito dell’individuo a non subire trattamenti sanitari ai quali non abbia preventivamente e consapevolmente acconsentito. In giurisprudenza di legittimità risulta ormai consolidato e acquisito che la manifestazione del paziente del consenso informato alla prestazione sanitaria è espressione dell’esercizio di un autonomo diritto soggettivo all’autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento sanitario e che tale diritto, promanazione della garanzia dell'Habeas Corpus, seppur connesso al diritto alla salute, è distinto da quest’ultimo sul piano del contenuto sostanziale. L’obbligo informativo si configura come una prestazione altra e distinta rispetto alla cura del paziente; la rilevanza del diritto all’autodeterminazione del paziente al trattamento terapeutico è tale, per cui il mancato adempimento da parte del medico dell’obbligo informativo può causare un danno da lesione di tale diritto ed essere fonte quindi di una sua responsabilità civile ed in alcuni casi anche penale. L’importanza dei valori sottesi ad esso è anche posto in rilievo da un obbligo di forma imposto per la sua manifestazione dalla predetta L. 219 del 2017 (o forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare).
Secondo Lei i medici dovevano rispettare questo diritto ed adempiere al dovere di informazione ai fini del consenso informato dell’inoculato obbligato a vaccinarsi?
Fatte tali debite premesse per delineare il diritto di cui si tratta, si deve rilevare che, nell'ambito dell'opera salvifica vaccinale giuridicamente assolutamente non condivisibile operata dalla Corte Costituzionale con le sentenze 14 e 15 del 2023, contraddittoriamente la prima delle due salve proprio il diritto al consenso informato. Infatti al punto 16.1 della sentenza 14 del 2023 della Corte Costituzionale, nel ritenere non fondata la questione di costituzionalità sollevatale dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana riguardante proprio l'illogica e contraddittoria previsione della necessità di manifestare il consenso informato nonostante l' obbligo vaccinale dei cosiddetti vaccini contro la Covid 19, viene letteralmente riportato che: "il consenso informato, quale condizione per la liceità di qualsivoglia trattamento sanitario, trova fondamento nell’autodeterminazione, nelle scelte che riguardano la propria salute, intesa come libertà di disporre del proprio corpo, diritti fondamentali della persona sanciti dagli artt. 2, 13, 32 Cost. e dagli artt. 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Secondo quanto disposto dall’art. 1 della legge n. 219 del 2017, nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”.
Più precisamente, la Consulta prosegue affermando che “il consenso del paziente deve essere libero e consapevole, preceduto da informazioni complete, aggiornate e comprensibili relative a diagnosi, prognosi, benefici e rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, possibili alternative e conseguenze dell’eventuale rifiuto al trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi.” Inoltre che “premessa la rilevanza della raccolta del consenso anche ai fini di un’adeguata emersione dei dati essenziali per una completa e corretta anamnesi pre-vaccinale, destinata, tra l’altro, come sopra ricordato, a valutare l’eleggibilità del soggetto interessato alla vaccinazione – la natura obbligatoria del vaccino in esame non esclude la necessità di raccogliere il consenso informato, che viene meno solo nei casi espressamente previsti dalla legge, come disposto dal comma 1 dell’art. 1 della citata legge n. 219 del 2017.
L’obbligatorietà del vaccino lascia comunque al singolo la possibilità di scegliere se adempiere o sottrarsi all’obbligo, assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge. Qualora invece, il singolo adempia all’obbligo vaccinale, il consenso, pur a fronte dell’obbligo, è rivolto, proprio nel rispetto dell'intangibilità della persona, ad autorizzare la materiale inoculazione del vaccino”.
Sembra un paradosso di quelli “tipici all’italiana”.
Tale passaggio appare proprio paradossale se si considera che la stessa sentenza abbia ritenuto non fondata una delle due questioni di costituzionalità sollevata davanti ad essa riguardante l'obbligo vaccinale Covid 19 del personale sanitario (l'altra è stata ritenuta inammissibile) ed i presupposti in costanza dei quali sia stato salvato tale obbligo.
Infatti se si accede al registro pubblico europeo (link: https://ec.europa.eu/health/documents/community-register/) dove risultano pubblicate le schede tecniche dei cosiddetti vaccini Covid 19 e le corrispondenti autorizzazioni in commercio approvate dalla Commissione Europea, certamente salterà all'occhio la mancanza in tali schede di numerosi studi ed informazioni sanitarie palesemente di portata assai ampia ai fini della tutela della salute delle persone e della sicurezza dei farmaci in questione.
Vi era quindi una mancanza sostanziale di informazioni all’epoca che oggi ancora continua?
In particolare, gli allegati alle autorizzazioni all'immissione in commercio dei farmaci disponibili in Italia per la immunizzazione attiva verso il Covid-19 precisano che tutti i vaccini usati per la vaccinazione obbligatoria siano stati immessi in commercio con autorizzazione condizionata: trattasi, di sostanze per le quali risultava all'epoca degli obblighi vaccinali e risulta purtroppo anche ora, l’assenza di dati farmaceutici e preclinici completi in merito alla sicurezza e all’efficacia del medicinale, immessi tuttavia in commercio ai sensi della normativa europea emergenziale prevista dal regolamento UE 507 del 2006 (vedi per le condizioni art. 4).
Al riguardo, si evidenzia come negli allegati tecnici alla approvazione di tali sostanze fossero al momento della loro immissione in commercio e nel periodo di relativo obbligo vaccinale, e lo siano purtroppo ancora, assenti informazioni sanitarie di portata assai rilevante nonostante la loro autorizzazione alla immissione in commercio.
Infatti, negli allegati di ciascun cosiddetto vaccino, dalla sua approvazione sino agli ultimi suoi aggiornamenti – comprendendo quindi il periodo di obbligo vaccinale trascorso - viene espressamente scritto che manchino dati clinici e studi sulla efficacia e sicurezza relativamente ai soggetti immunocompromessi, manchino studi di iterazione con gli altri farmaci o medicinali, manchino studi sulla cancerogenicità, manchino del tutto oppure in alcuni casi siano assolutamente parziali, studi sulla genotossicità, manchino studi sugli effetti in relazione al trasferimento placentare ed all'escrezione del latte materno, manchino studi e dati su ulteriori aspetti sanitari di grande rilievo per la salute e la sicurezza farmacologica, come riportato nelle stesse schede tecniche, alla cui attenta lettura si rimanda.
Inoltre, da un attento esame della documentazione ufficiale legata all'utilizzabilità dei vaccini in questione emerge mancanza di coincidenza di tali schede tecniche con i fogli illustrativi predisposti per tali farmaci dall'Aifa, consigliati peraltro all'epoca dell'obbligatorietà vaccinale dal Ministero della Salute ai fini dell'informativa da fornire per ottenere il consenso informato (vedi ad esempio la informativa 0021209-08/04/2022-DGPRE-DGPRE-P del Ministero della Salute ), dove non compare la predetta assenza di studi o dati, invece, come detto, espressamente riportata nelle schede tecniche.
Tale ultimo aspetto non è di secondaria importanza. Infatti, come detto, i moduli utilizzati per il consenso informato, aderendo alle circolari del Ministero della Salute, in tempi di obbligo vaccinale, si riferivano per l'informativa sanitaria da rendere all'inoculando ai fini della manifestazione del consenso al trattamento terapeutico proprio ai contenuti delle note illustrative formate dall'Aifa, che tuttavia non riportando le dette assenze di studi e dati farmaceutici e preclinici - all'opposto, come su illustrato, espressamente richiamati dalle schede tecniche oggetto di approvazione da parte della Commissione Europea – è parere che avrebbero determinato, laddove le informazioni su tali carenze di studi e dati non fossero state integrate dal medico informatore, una vera e propria omissione informativa da parte di quest'ultimo, ed una sua conseguente responsabilità sul piano civile e, a volte, anche penale, per le conseguenze dannose derivate all'inoculando dalla lesione al suo diritto alla autodeterminazione terapeutica così perpetrata. È infatti di tutta evidenza che ad esempio la determinazione di un immunocompromesso a farsi iniettare una sostanza subisca presuntivamente una influenza determinante a secondo che gli sia riferito se su di essa siano stati effettuati studi o meno in merito ai soggetti nelle sue condizioni, e quali esiti abbiano avuto gli stessi.
Vi è peraltro da osservare che è parere che non basti dare una informativa qualunque in costanza di obbligo vaccinale perché si soddisfi l'obbligo informativo richiesto dal diritto alla autodeterminazione terapeutica. Vi dovrebbe essere un contenuto informativo minimo costituito da studi e dati sulla sostanza terapeutica da inoculare sufficienti a consentire di adempiere ad una reale scelta: diversamente le incognite sanitarie trasformerebbero l'eventuale scelta terapeutica compiuta in considerazione della pressione psicologica dovuta all'obbligo vaccinale in una vera e propria irrazionale scommessa con il destino sulla propria salute, senza alcuna possibilità di previsione di quali saranno gli esiti, contraria di per se stessa alle garanzie costituzionali a tutela dell'habeas corpus e della dignità della persona. Infatti, in particolare al comma 3 dell'art 1, la L. 219 del 2017 prevede che “ogni persona abbia il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché' riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”.
E' evidente che la mancanza degli studi e dati farmaceutici e preclinici su aspetti di grande rilievo per la salute e la sicurezza farmacologica quali quelli riportati espressamente nelle schede tecniche approvate in sede europea ai fini della immissione in commercio dei cosiddetti vaccini Covid 19, produrrebbe l'impossibilità di effettuare sia una completa prognosi che, soprattutto, una ponderata previsione dei rischi collegati agli esiti della loro inoculazione, determinando come conseguenza l'impossibilità oggettiva di adempiere all'obbligo informativo previsto dalla legge e di effettuare una reale scelta, e non invece una scommessa dagli esiti imprevedibili.
Vi è peraltro da rilevare, come già esposto, che le sostanze utilizzate per la vaccinazione obbligatoria contro il Covid 19, siano state tutte immesse in commercio dalla citata Commissione Europea attraverso un’autorizzazione condizionata ai sensi regolamento UE 507 del 2006. In particolare quest'ultimo regolamento all'art. 9 prevede: "Le relazioni periodiche di aggiornamento sulla sicurezza di cui all'articolo 24, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 726/2004 sono presentate all'Agenzia e agli Stati membri immediatamente su richiesta o almeno ogni sei mesi dopo il rilascio o il rinnovo di un'autorizzazione all'immissione in commercio condizionata".
Cosa prevede quest'ultima normativa?
La normativa richiamata (reg. UE 726 del 2004), prescrive, tra l'altro, un costante aggiornamento del monitoraggio degli effetti avversi attraverso altresì il deposito di periodici rapporti di sicurezza (denominati PSUR) da parte del titolare della immissione in commercio, accessibili agli Stati Membri UE.
Stanti la circostanza che, come detto, all'epoca di obbligo vaccinale, ci si trovasse innanzi a sostanze con studi incompleti immesse in commercio in via condizionata al loro completamento, si dovrebbe allora ritenere scontato che i contenuti di tali rapporti dovessero essere resi accessibili ai singoli cittadini degli Stati Membri, ed in particolare ai sanitari degli stessi, in quanto evidente garanzia di sicurezza per la salute ed integrità psico fisica individuale.
Ma così non è avvenuto.
Molto verosimilmente ciò non sarebbe avvenuto. Si osserva infatti che dalla sentenza del TAR Lazio N. 04862/2023 REG.PROV.COLL. N. 08054/2022 REG.RIC. pubblicata il 21.03.2023 sia risultato esattamente l'opposto. Infatti, come si legge nella sentenza l'AIFA dichiarava alla ricorrente in giudizio con la nota del 28 dicembre 2021, a fronte della sua richiesta dell’ostensione del primo PSUR depositato dalle case farmaceutiche produttrici dei prodotti anticovid (Pfizer, AstraZeneca, Moderna, Johnson & Johnson) - onerate a tale attività entro i sei mesi successivi dall’autorizzazione all'immissione in commercio - nonché delle relazioni intermedie di gennaio, marzo, aprile, luglio 2021 fornite dai medesimi produttori farmaceutici (Pfizer, AstraZeneca, Moderna, Johnson & Johnson), che, premesso che quanto richiesto costituivano dati riservati delle aziende farmaceutiche, essa non deteneva la documentazione richiesta, atteso che la procedura comunitaria di autorizzazione all’immissione in commercio condizionata (CMA) era gestita dall’Agenzia Europea dei medicinali (EMA) che, pertanto, era l’ente di riferimento per la procedura autorizzativa e per le conseguenti procedure di monitoraggio della sicurezza e dell’uso appropriato dei farmaci. La ricorrente in giudizio, in data 29 dicembre 2021, avanzava allora istanza di accesso agli atti anche al Ministero della Salute, richiedendo la consegna del PSUR e delle Relazioni Intermedie di Sicurezza a suo tempo già richieste ad AIFA in data 29 novembre 2021. Il Ministero, in riscontro della riportata istanza attestava tuttavia di non essere in possesso della documentazione richiesta, rappresentando che l’istanza doveva essere avanzata ad EMA. La medesima ricorrente, quindi, provvedeva ad inoltrare l’indicata richiesta ad EMA, ma anche quest’ultima respingeva l’istanza con la motivazione che i documenti richiesti rientravano fra le “eccezioni” previste dal regolamento e dalla politica dell'Agenzia, e pertanto non potevano essere divulgati; che la divulgazione dei documenti richiesti avrebbe pregiudicato gravemente il processo decisionale; che l'Agenzia non individuava nessun interesse pubblico prevalente che giustificasse la divulgazione dei documenti richiesti e che prevalesse sulla tutela dell'interesse sopra individuato. Il ricorso in questione veniva poi rigettato dal Tar per un rilevato errore procedurale nella sua introduzione.
Possiamo affermare che i medici non avevano la conoscenza dei contenuti dei rapporti di sicurezza previsti dalla normativa europea che riguardavano questi cosiddetti vaccini?
In virtù di quanto sopra riportato riguardo la vicenda del Tar Lazio si deduce che molto verosimilmente i medici dei paesi membri UE – ivi compresi, quindi, quelli italiani - in periodo di obbligo vaccinale, in costanza delle carenze e lacune di studi e dati sopra illustrata, non abbiano avuto altresì modo di avere conoscenza del contenuto del PSUR.
La sentenza N. 14 del 2023 della Corte Costituzionale prevede l’obbligo della sufficiente informazione, ma allora quei medici vaccinatori come potevano inoculare sapendo di non avere la completezza delle informazioni sanitarie?
Infatti, da quanto appena esposto non si può allora che trarre la conclusione di una carenza di informazioni sanitarie tale da non potere consentire oggettivamente ai medici di adempiere verso il soggetto sottoposto a inoculazione obbligatoria, così come invece previsto dalla sentenza 14 del 2023, all’obbligo di una informazione sufficientemente completa sotto il profilo sanitario da potere determinare la sua legittima espressione di un consenso informato alla vaccinazione.
Di conseguenza l’incompletezza delle informazioni sanitarie per mancanza di necessari studi e dati, peraltro implementata molto verosimilmente anche dalla impossibilità di accesso al PSUR riguardanti tali farmaci e dai relativi fogli illustrativi incompleti consigliati ed utilizzati a fini informativi per il consenso alla inoculazione, si deve ritenere abbiano determinato che l'imposizione dell'obbligo vaccinale fosse in violazione degli artt 1, 2 e 3 della Carta di Nizza, oltre che degli artt 2, 13 e 32 della Costituzione - i primi tre, come noto, peraltro applicabili in maniera diretta ai sensi dell'art 11 di quest'ultima - e quindi, abbiano determinato anche in capo alla P.A. Esecutrice (vedi per tutti TAR Lombardia-sezione staccata di Brescia dell’8.2.2022, n.00112 RG) l'obbligo di disapplicare la normativa interna incompatibile con le citate norme eurounitarie, rappresentata per l'appunto da quella introduttiva di tale obbligo: in definitiva, proprio in ossequio a quanto contraddittoriamente riportato dalla sentenza n. 14 del 2023, la carenza informativa su detta non poteva in epoca di obbligo vaccinale che ritenersi lesiva del diritto al consenso informato e, quindi, del diritto alla autodeterminazione al trattamento sanitario dell'individuo che ad esso era obbligato ad ottemperare, e, conseguentemente, rendere inapplicabile l'obbligo vaccinale in virtù di quanto sopra illustrato.
In conclusione, non si può purtroppo che constatare l'ennesima demolizione di un diritto inviolabile della persona avvallato da discutibili pronunce della nostra Corte Costituzionale, ed un altro mattone delle fondamenta del nostro sistema di garanzie costituzionali abbattuto, con buona pace, come ormai da tre anni a questa parte tristemente si assiste, di tanti giuristi voltati con indifferenza a guardare da un'altra parte, indegni della toga che vestono e della missione e del giuramento che essa rappresenta.