Il dato complessivo di startup iscritte nel registro delle imprese comprende in realtà un insieme di società non ancora operative ed operanti sul mercato. Solo il 5 per cento, infatti, presenta una generazione di ricavi ed un percorso di crescita nel capitale investito. Nel 2022, tra l'altro, si evidenzia un drastico calo di nascite di startup, in controtendenza con la costante crescita che aveva caratterizzato gli anni precedenti. Puccio evidenzia che “il calo è dovuto anche ad una normativa ormai risalente al 2012, che necessiterebbe di ulteriori interventi ai fini di rendere il tessuto economico nazionale più attrattivo per questa specifica tipologia di società". “I numeri emersi sono indicativi di una necessità improrogabile di interventi legislativi mirati a fornire nuove agevolazioni non solo fiscali riservate alle startup. Il tema, tra l'altro, non è stato considerato all'interno dei contenuti della legge delega fiscale e per tale motivo, dopo aver esaminato i più recenti interventi normativi di altri paesi comunitari, abbiamo formulato una serie di proposte di modifica normativa che nelle prossime settimane saranno sottoposte alla politica".
Nell’estate del 2013, un imprenditore creò un blog su un noto portale e lo intitolò: “La mia startup ha 30 giorni di vita”; in pochi giorni la pagina divenne oggetto di culto non perché la fine di una startup fosse un fatto inaudito (le ricerche calcolano il tasso di fallimento tra il 70 e il 90%) e neanche per le critiche mosse a diverse realtà nel novero del testo, ma – evidentemente - per il motivo che, in un ambiente dominato dal tecno-ottimismo parlare di fallimento ed ammettere di “non aver raggiunto gli obiettivi” era un atto rivoluzionario.
Dieci anni dopo, quel grido è ancora molto attuale, e lo è tanto più quanto viene esperito da fonti istituzionali. Sequoia – fondo che ha investito in Apple, Instagram, WhatsApp e Airbnb – ha inviato alle società nel suo portafoglio una presentazione intitolata Adapting to Endure: “Adattarsi per resistere”. Il documento ha descritto l’attualità come “un crogiolo” di incertezza e cambiamenti avvertendo di non aspettarsi una ripresa rapida come quella seguita allo scoppio della pandemia: gli strumenti di politica monetaria e fiscale che avevano alimentato la ripartenza, sono “esauriti”. I mesi successivi hanno dato ragione agli analisti di Sequoia ed infatti il 2022 ha costretto la Silicon Valley a sdoganare il pessimismo.
Un fatto quindi non solo Italiano.
Per quanto concerne il comparto tecnologico, le aziende hanno risentito anche di problemi comuni a tutta l’economia: instabilità geopolitica, caro energia, problemi nelle catene di fornitura, anche se potrebbe affermarsi che il settore sembra avere problemi tutti suoi. Secondo analisti come Brian Gould di Capital.com ci sono “buoni motivi per ritenere” che nel 2020 e nel 2021, quando le persone si spostavano in massa online, le aziende del settore tecnologico siano state “sopravvalutate”. Nel caso di titoli “da lockdown”, come Zoom, “questa è quasi una certezza”.
Esiste però anche un partito degli ottimisti. “Si può ritenere che la recessione sia transitoria”, afferma Giuseppe Donvito, partner della società di venture capital p101. “L’attività di venture capital è per definizione paziente e ha un orizzonte di lungo o lunghissimo termine”. Quindi, mentre per quanto riguarda il punto di vista economico reddituale occorre lavorare ancora molto, ciò che attiene al comparto finanziario le cose vanno meglio. L’Italia, in particolare, al momento è un’eccezione rispetto al resto del mondo. Secondo uno studio di Ey, se nel 2022 gli investimenti da venture capital sono diminuiti in America e sono rimasti stabili nei paesi europei più maturi, come Germania e Regno Unito, da noi sono aumentati del 67% e hanno superato per la prima volta i due miliardi di euro. Un record dovuto in buona parte a due settori – il fintech ha messo assieme 712 milioni, il settore energia e riciclo 346 – e a una manciata di società. Scalapay ha raccolto 215 milioni, Newcleo 300 e Satispay un round da 320. La crescita ha spinto Cassa Depositi e Prestiti a formulare, per il 2025, l’obiettivo dei nove miliardi di euro.
Naturalmente rimangono alcune perplessità, il rapporto di Ey definisce anche “meno rassicuranti” i dati relativi al Sud e Centro Italia, dal momento che più del 50% dei capitali sono finiti in Lombardia e nessuna regione del Mezzogiorno è tra le prime cinque per finanziamenti. Non per mancanza di aziende innovative, ma per “carenza di potenziali investitori”
Secondo una ricerca di Cb Insights gli investitori ora preferiscono finanziare società in fase iniziale piuttosto che aziende mature, più esposte alla volatilità dei mercati.
Certamente non tutte verranno finanziate o troveranno soddisfazione ma in questo settore “il fallimento” è ammesso solo come preludio ad una storia di riscatto. Si parla di “Redenzione e Resurrezione”, rammentiamo come Instagram sia nata dalle ceneri di una startup per il check-in, Twitter come un servizio per contenuti audio e che PayPal sia “riuscita” soltanto dopo il quinto tentativo.
Forza e Coraggio, ed in Italia, non dimentichiamo che anche le startup innovative devono adottare Adeguati Assetti Organizzativi, Amministrativi e Contabili.