Il paesaggio della nostra montagna cambia in peggio.
E comincia ad allarmare.
Boschi come groviere, strade sfondate dai camion che portano via legna, frane, interruzioni di strade, sempre meno turisti e sempre meno gente nei paesi.
E' un fuggi fuggi con gli ultimi scampoli di malloppo.
Non si tratta più di autoconsumo di legna, come la burocrazia si ostina ancora a identificare i tagli selvaggi che possiamo osservare senza particolari ricerche.
Il fabbisogno della gente di montagna è irrisorio rispetto a quanto tagliato.
Siamo davanti ad un taglio industriale vero e proprio, ad una vera e propria speculazione economica.
Con ben pochi soldi che restano in montagna.
La gran parte va a chi commercia legna in pedemontana.
Altri vanno ai proprietari dei boschi, in gran parte da tempo residenti in città.
Altri ancora vanno a remunerare l'acquisto di macchinari per il taglio ed il trasporto.
Certo, tanti sono gli addetti e qualcosa si mettono in tasca. Ma la gran massa di queste opere viene eseguite da imprese nate dal nulla, che utilizzano gente straniera, pagandola in nero e a resa.
Soldi di cui praticamente non resterà traccia nel parmense.
I versanti li troviamo spogliati, le deformate.
Nessun giovamento alla vita dei paesi, né lavoro per trattenere i giovani.
La legge c'è, permette ai proprietari dei boschi di tagliare fino ad un massimo di 6 ettari.
Ma è una legge che non tiene conto della speculazione sulla legna da ardere.
Se il mercato inducesse la gran parte di chi possiede boschi a tagliarli per far soldi, complice una ulteriore recrudescenza della crisi economica, e tutti tagliassero, chi li potrebbe fermare?
Non certo questa legge.
Occorrerebbe preoccuparsi di non intaccare la rinnovabilità dei boschi e di non accrescere il degrado idrogeologico, come sarebbe necessario un piano annuale dei tagli che tenga conto di limiti certi e non possa essere eluso e superato.
Molti amministratori invece sostengono le tesi dei tagliatori.
"L'abbandono dei boschi è palese e non è positivo. Una politica delle comunità montane che possa permettere la nascita di qualche centrale a biomassa che permetta la produzione di elettricità e di teleriscaldamento non farebbe male e permetterebbe di monitorare e tenere puliti i boschi, garantendo la giusta turnazione delle piante, la pulizia del sottobosco ed in ultimo ma non meno importante garantire lavoro a territori che continuano a spopolarsi a causa di mancanza di lavoro".
Finanziamenti di Regione e Provincia per la montagna sono, infatti, solo finalizzati dotare di macchinari di taglio le comunalie e soprattutto ad impiantare centrali termiche a cippato.
Non si comprende cosa voglia dire creare posti di lavoro nel taglio dei boschi.
Il lavoro lo crea già il taglio speculativo e selvaggio, lo crea il mercato della legna da ardere.
Dotare di mezzi meccanici di taglio una comunalia significa dare man forte a tale mercato senza regole, incentivare le comunalie a far parte di tale meccanismo perverso.
D'altronde, la cosa è del tutto coerente alle affermazioni di funzionari ed amministratori.
Qualcuno sostiene "siamo seduti su un nuovo petrolio e neanche ce ne accorgiamo".
Altri affermano che potremmo anche tagliare tutto quello che è ricresciuto nei boschi da quarant'anni a questa parte senza preoccupazione alcuna per la rinnovabilità.
Anche se la rinnovabilità annuale, il 4% di tutta la massa boschiva, è decretata dalla Regione come non superabile.
Ormai chi abita in montagna per riscaldarsi non usa più il gpl, né tanto meno il gasolio, entrambi carissimi. La gente è tornata a bruciare legna nei camini, nelle stufe, dotandosi anche di moderne stufe a pellet o stufe miste pellet-legna.
In montagna, da sempre, si usa legna che brucia bene, legna stagionata due anni: un anno all'aperto, uno al chiuso, in modo che il tenore di umidità sia inferiore al 20% ed il rendimento di calore sia alto.
Perché allora impiantare centrali a cippato per produrre calore per il teleriscaldamento, con potenze da 500 Kw a 1.000 Kw?
Per avere meno emissioni nocive rispetto alle vecchie stufe a legna?
Ma le centrali bruciano cippato fresco, con umidità elevata, basso rendimento, senza alcun filtro per abbattere le emissioni nocive.
Il filtro multiciclone serve solo a raccogliere le ceneri volanti.
Le centrali sono completamente automatizzate e non creano posti di lavoro.
Perché buttare tutti quei soldi nelle centrali termiche e non nel risparmio energetico?
Perché non avviare la ristrutturazione dei borghi per un'accoglienza turistica diffusa che creerebbe subito posti di lavoro nell'edilizia?
L'intento inconfessabile delle amministrazioni è produrre con le centrali anche elettricità, come sta facendo Monchio.
Ma sarebbe una follia.
La legna ha un rendimento bassissimo e bruciare i nostri boschi per produrre poca elettricità non porta da nessuna parte.
Solo verso il baratro ecologico.
Giuliano Serioli
(Fonte: Rete Ambiente Parma)