La difficile convivenza tra "Bio" e "No Bio". Valentino Mercati, patron di Aboca azienda specializzata in prodotti officinali "Bio" di Sansepolcro, denuncia la difficoltà di produrre, seguendo i rigorosi disciplinari di agricoltura biologica, negli ambienti ove la agricoltura convenzionale fa uso massiccio di prodotti chimici.
di Virgilio Parma, 6 dicembre 2015.
Si è appena concluso il summit di Parigi tutto dedicato al clima #Cop21 e, al di là delle buone intenzioni, quello che è evidente è il precario stato di salute del pianeta. Senza pensare ai catastrofici scenari che, dopo ogni summit, vengono diffusi è fuori dubbio che occorre un progetto globale per riportare indietro la lancetta del tempo.
Il riscaldamento dell'atmosfera, sostengono gli scienziati, è stato di 2 gradi rispetto il periodo preindustriale e, considerando che il differenziale termico che ha condotto all'ultima glaciazione è stato di 5 gradi si può ben comprendere quanto sia importante procedere con un programma di "modernizzazione" degli impianti ma anche delle piccole e grandi consuetudini che coinvolge ciascuno di noi per i prossimi 20 anni.
Molto probabilmente anche le produzioni zootecniche entreranno nel mirino della riduzione delle emissioni e la agricoltura convenzionale dovrà anch'essa adattarsi alla nuova era.
La pratica dell'agricoltura biologica è già indirizzata a questo cambiamento appartenendo infatti a quelle misure orientate alla salvaguardia ambientale e non invece, come comunemente viene ritenuto, a una qualificazione del prodotto in quanto tale che, per entrambe delle modalità di coltivazione adottate, deve essere rispettata.
Ma si sa, l'aria ha molta difficoltà a rispettare i confini e, in balia delle correnti, funge da vettore traslocando dal polline ai virus e qualsiasi altro agente chimico che fosse stato disperso nell'aria.
Ecco quindi che le molecole chimiche possono essere facilmente rinvenute nelle produzioni "Bio" coltivate a poche centinaia di metri dalle produzioni ottenute con pratiche di agricoltura tradizionale.
Ed è su questo fattore che si incentra lo sfogo di Valentino Mercati, fondatore di Aboca, azienda toscana che fonda la sua reputazione proprio sulla rigorosa applicazione della agricoltura biologica, riportato nei giorni scorsi da repubblica.it
Come infatti riportato nell'articolo di Maurizio Bologni del 30 novembre scorso dal titolo "Lo schiaffo di Aboca: "Troppi pesticidi nelle terre toscane, ce ne andiamo"", intervenendo a Città di Castello a un convegno su tabacco e territori biologici, il patron di Aboca avrebbe gelato la platea sostenendo che «Siamo circondati da coltivazioni come quella del tabacco ad alto tasso di uso di pesticidi e chimica, incompatibili con le nostre produzioni rigorosamente biologiche» e in seguito avrebbe aggiunto che «Le regole ci sono, ma in agricoltura spesso non vengono rispettate, Comuni e Asl non intervengono».
In sintesi sarebbero queste le principali motivazioni che avrebbero indotto l'azienda toscana a espandersi con le coltivazioni biologiche addirittura in Marocco.
Una scelta strategica che è stata ben delineata anche da un comunicato stampa della azienda stessa che di seguito riproponiamo integralmente.
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Aboca e la ricerca di nuove coltivazioni biologiche
Nel merito del dibattito sull'ipotesi espressa dal Presidente di Aboca S.p.A. Società Agricola, Valentino Mercati, di delocalizzare la produzione agricola dalla Valtiberina in altre parti d'Italia e del mondo va sottolineata la particolare posizione del Gruppo nel contesto mondiale.
Aboca è infatti una grande azienda agricola che conta oltre 800 dipendenti e un fatturato previsto per il 2015 di circa 120 milioni di euro (180 milioni di euro previsti nel 2016) e che ottiene dall'agricoltura biologica i complessi molecolari vegetali per il settore farmaceutico in cui opera attraverso processi di trasformazione ad elevata tecnologia.
A supporto delle crescite previste il Gruppo prevede investimenti per adeguamenti produttivi per oltre 40 milioni di euro nei prossimi tre anni, tutti concentrati nello sviluppo del sito produttivo di Pistrino di Citerna in Valtiberina.
Di pari passo si pone il problema di adeguare la produzione agricola per continuare a garantire la qualità delle materie prime e ciò comporta la necessità di poter pianificare l'espansione delle coltivazioni in aree di produzione agricola difese dall'inquinamento esterno sia dell'aria che delle acque e in zone dove il substrato dei suoli abbia un equilibrio di microflora e microfauna tali da assicurare il perfetto metabolismo delle sostanze vegetali in coltivazione.
Queste particolari esigenze pedologiche possono essere soddisfatte solo se le singole unità di coltivazione si estendono per almeno 100 ettari al fine che possano essere difese da inquinanti esterni.
La possibilità di ampliamento, nel territorio valtiberino, non è possibile date le limitate aree territoriali disponibili per l'agricoltura biologica. Nasce da qui l'intenzione di incrementare lo spostamento delle coltivazioni sia in Valdichiana sia in altre parti del mondo.
La ricerca di questi nuovi terreni si sviluppa su due indirizzi.
Da una parte riuscire a coltivare su grandi superfici con tecniche di agricoltura avanzata, dall'altra riuscire a utilizzare terreni non contaminati da OGM né da inquinanti chimici. Queste sono due esigenze contrapposte, ovvero trovare terreni non inquinati e disporre di manodopera specializzata di cui l'agricoltura biologica necessita, ed è proprio questo quello che Aboca sta cercando di fare.
L'intento dell'azienda è infatti di eliminare l'impatto chimico nell'agricoltura italiana perché questa è la prima leva per il successo economico di questa attività nel mondo.
Il successo internazionale che l'Italia sta avendo con le sue produzioni biologiche lo stanno dimostrando.