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Palestina, Gabellini: “Appoggio acritico ad Israele è un grosso rischio per gli Usa” In evidenza

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Palestina, Gabellini: “Israele favorì Hamas per spaccare la resistenza palestinese”

Di Giulia Bertotto Roma, 7 dicembre 2023 (Quotidianoweb.it) - Giacomo Gabellini, saggista prolifico e ricercatore indipendente, specializzato in questioni economiche e geopolitiche è già autore tra gli altri titoli di “Taiwan L’isola nello scacchiere asiatico e mondiale” (l’AD edizioni 2023), e “Dedollarizzazione. Il declino della supremazia monetaria americana” (Diarkos 2023). Lo abbiamo intervistato per parlare del genocidio in Palestina, il quale ci pone un senso di impotenza assoluta; assistiamo all’assenso mondiale di fronte ad uno sterminio etnico-razziale alla fine del 2023, dopo due guerre mondiali e la Shoah, che ha visto deportati e sterminati ebrei, rom, omosessuali, e ogni minoranza politica ed etnica sembra di essere sempre allo stesso punto. L’umanità gira in tondo ed è sempre disumana.

Gabellini, quello che sta accadendo in Palestina non è una questione solo politica, ma etica e psicologica. È a dura prova la tenuta di una qualche fiducia nelle umane sorti, è la realizzazione del crollo di ogni speranza per l’umanità. Come possiamo interpretare ciò che sta succedendo e che ci lascia interdetti?

Ho sempre avuto una visione aderente alla dottrina realista, non ho perciò una grande opinione dell’essere umano, e credo che siano i rapporti di forza a dettare legge e determinare gli equilibri. In questo quadro, tale impostazione teorica, si mostra palesemente, e l’unico argine che può contribuire a tenere le conflittualità entro limiti accettabili, è l’assetto europeo che si era instaurato nel 1648, per mezzo del quale si cercava di disciplinare i conflitti riconoscendone l’inevitabilità. Essendo inevitabili bisogna cercare di condurli ad un ambito meno distruttivo possibile. Questa impostazione è stata del tutto calpestata, innanzitutto da una serie di iniziative belliche statunitensi, si pensi alla guerra d’Iraq sulla quale era stato posto un veto dall’ONU, ma anche la struttura stessa delle Nazioni Unite. Si pone un diritto di veto vita natural durante senza porsi il problema dei cambiamenti nel frattempo intercorsi (demografici, sociali, economici ecc). Israele detiene un vero record di risoluzioni da parte delle nazioni Unite ma non ha mai dovuto risponderne perché gli Usa in suo sostegno si sono sempre avvalsi del diritto di veto.

E per quanto riguarda il mondo musulmano? In effetti non stiamo assistendo ad una reazione panislamica contro il massacro dei gazawi…

In un mondo in cui contano i rapporti di forza, le popolazioni che si trovano a fronteggiare avversari più forti devono cercare di ottenere il favore di alleati a livello internazionale e mantenere vivo l’interesse sulla scena internazionale. La questione palestinese era stata derubricata a nota a piè di pagina degli affari internazionali. Il fatto stesso che si lavorasse agli Accordi di Abramo patrocinati sotto l’amministrazione Trump - che hanno sancito la normalizzazione delle relazioni tra una serie di paesi arabi (Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Sudan ecc) e Israele, significava che la questione palestinese non era più un ostacolo insormontabile ma una voce tra le tante, ormai decaduta. La normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita soprattutto, e Israele, avrebbe avuto un impatto colossale. Ma a questo ci si è arrivati per gradi, Israele ha saputo strumentalizzare tematiche sensibili e sfruttare alleati, a partire dagli Usa. Tuttavia dobbiamo dire che c’è stata anche una gravissima debolezza da parte delle classi dirigenti palestinesi. A partire dalla ANP. Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 l’OLP era riuscita a ergersi come unico punto di riferimento dell’irredentismo palestinese, così l’idea di Israele fu quella di appoggiare delle forze capaci di spaccare questo fronte unitario e la scelta ricadde proprio su Hamas. Israele impediva all’OLP di ricevere aiuti e finanziamenti mentre consentiva de facto ad Hamas di ottenere fondi dalle monarchie arabe. L’idea è che poi Hamas sarebbe stata gestibile, ma non fu così.

Passiamo ad un altro fronte caldo. La Casa Bianca ha annunciato che non fornirà più aiuti a Kiev nel 2024. Che legame ha questa scelta e quella di appoggiare Israele, e con le elezioni del 2024?

Adesso gli Usa devono stornare le forniture militari pensate per Kiev, e indirizzarle verso Tel Aviv. Biden aveva sottoposto un piano collettivo di aiuti da 106 miliardi di dollari, un pacchetto di aiuti bellici e per finanziare il contrasto all’immigrazione irregolare al confine messicano. Il nuovo speaker della casa Bianca ha richiesto lo spacchettamento di questo programma e votare al Congresso separatamente per ogni voce di spesa. Questo perché il debito statunitense sta crescendo a ritmi forsennati. La voce di spesa per gli interessi sul debito assorbe più risorse di quelle militari, circa 830 miliardi di dollari!

Per quanto riguarda l’appoggio ad Israele, solo un dato emblematico tra tanti: Nella Federazione ci sono circa 80 milioni di evangelici, sionisti cristiani, che sposano le posizioni di Israele sulla scorta della credenza che il secondo avvento del Messia si potrà verificare soltanto quando tutta la diaspora ebraica si sarà ricomposta in Terra Santa. Si tratta di una visione escatologica che ha eminenti ricadute politiche. È un gran bel bacino di voti.

E pensare che per molti eminenti rabbini ebrei e accreditati studiosi della Torah, la patria deve essere un’aspirazione ultraterrena, l’ebreo è errante perché la sua patria non è nel mondo ma in cielo.

Già, ma attualmente il governo israeliano è composto da soggetti estremisti in ambito religioso o nazionalista che fanno capo a due personaggi: i ministri Bezalel Smotrich (finanze) e Itamar Ben-Gvir (sicurezza interna). E che non la vedono affatto così, né hanno posizioni moderate o concilianti. Israele come paese è davvero un unicum perché gode del supporto non solo di una serie di paesi, ma anche di quelli che chiama sayanim (sayan al singolare), ebrei che vivono in ogni parte del mondo e che sono legati ad un vincolo di fedeltà ad Israele spesso superiore a quello che riconoscono al loro paese di appartenenza e di solito non sono cittadini normali. Sono ad esempio i grandi magnati dell’editoria statunitense, di Hollywood, dei centri finanziari ecc, una lobby israeliana che condiziona in maniera fortissima la politica interna statunitense. Se qualcuno vuole fare politica in America non può certo pensare di porsi in maniera critica verso questi gruppi di potere. A chi interessa questo tema consiglio il libro “La lobby israeliana e la politica estera degli USA” di John Mearsheimer e Stephen Walt.

Anche il monopolio dell’informazione poggia su questi rapporti di forza materiali, economici e di potere, che si traducono poi nella versione migliore delle cose, nella verità addirittura. Chi vince una guerra può imporre il proprio concetto di democrazia e chi possiede le sorgenti dell’informazione stabilire cosa i cittadini debbano o non debbano sapere e pensare.

Certo, l’arsenale mediatico funziona allo stesso modo e sostiene questo paradigma degli Usa eroi del mondo. Un colonnello dell’aviazione statunitense di nome Jhon Boyd che ha riflettuto molto sulla sconfitta che i vietnamiti sono riusciti ad infliggere al loro paese, aveva distinto tre piani mediante si combatte e vince una guerra: scontro militare, piano psicologico e teorico-strategico e quello morale. Gli Usa avevano sempre avuto la meglio sul piano militare ma sugli altri piani avevano patito sconfitte perché i Viet Cong erano riusciti a privare l’opinione pubblica della voglia di combattere. Hanno così perso su un piano di legittimità morale, il mondo si è presto convinto che i Viet Cong avessero ragione togliendo appoggio agli Stati Uniti. Questa dinamica si sta ripetendo attualmente in maniera allargata e più profonda perché la vittoria della Russia sull’Ucraina, (che è una vittoria della Russia sulla NATO, in uno scontro per procura dove gli ucraini sono carne da cannone) sancisce la sconfitta Atlantica sul piano militare ma anche psicologico.

A Istanbul nel 2022 si era di nuovo arrivati vicini ad un accordo di pace, puntualmente rotto da Johnson ad aprile, il quale affermava che la Russia si sarebbe trovata in una condizione di difficoltà e isolamento e bisognava quindi proseguire il conflitto. C’era la volontà e l’illusione di schiacciare Mosca. Con l’appoggio acritico che gli Usa stanno dando a Israele rischiano la sconfitta morale.

Questo massacro potrebbe cambiare l’idea che l’opinione pubblica mondiale ha degli Usa e creare delle basi di consenso all’ascesa dei BRICS e ad un nuovo ordine mondiale multipolare.

Sì, perché si sta facendo ancora più nemici nel mondo, tanti e alcuni anche potenti, anche se noi in Occidente non ce ne rendiamo conto. Il mondo non gira più intorno alla Grande mela.

Gli Usa sono un paese molto particolare, il loro nazionalismo non si manifesta attraverso la classica esaltazione dell’identità e tutela degli interessi del proprio paese. Ma si manifesta sotto forma di universalismo, per cui quando muovono guerra o iniziative diplomatiche c’è sempre la retorica dell’obiettivo di un mondo migliore. Questa forma di autorappresentazione si è imposta all’indomani della Seconda guerra mondiale, quando l’America buona aveva sconfitto la Germania, incarnazione del male. La loro vittoria sul campo è stata fatta coincidere con una più alta moralità rispetto all’avversario. Ora, lungi da me fare qualsiasi tipo di sconto al nazifascismo, ma anche i processi di Norimberga furono questo: far coincidere il diritto della forza con la forza del diritto. La Seconda guerra mondiale ha consacrato la loro superiorità militare e la presunta superiorità morale a stelle e strisce.

Torniamo più vicino a noi. La politica italiana. Che succede intanto nel nostro Parlamento?

Ripete quello che fa da decenni, recepisce e obbedisce alle direttive che vengono da Washington, ai quali anche i principali giornali fanno da cassa di risonanza. Mentre molti italiani non sanno nemmeno di obbedire e soffrire regole d’Oltreoceano. E ora che appare chiara la sconfitta di Kiev la nostra classe dirigente, spesso demenziale, sta anche facendo una vigliacca marcia indietro, affermando di aver sbagliato a chiamare “filoputiniani” tutti coloro che provavano a spiegare la vera natura atlantista della guerra in Europa. La stessa classe politica e una certa stampa soprattutto di destra, che rievoca i terribili discorsi di Oriana Fallaci sulla “guerra di civiltà”, che nulla hanno a che fare con la questione palestinese, problema di carattere territoriale irredentista. Tutto questo mentre, nel nostro piccolo mondo del cosiddetto dissenso, ci si divide per narcisismi meschini e vanità da poco.

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Frase social: Intervista a Giacomo Gabellini, saggista e ricercatore indipendente, esperto di economia e geopolitica