Bologna, 6 ottobre 2023 – Dall’8 ottobre al 26 novembre 2023 i Musei Civici d’Arte Antica del Settore Musei Civici Bologna presentano la mostra Guercino e i suoi allievi. Dalle ‘teste di carattere’ ai ritratti intesa ad approfondire alcuni aspetti specifici della produzione di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (Cento, 1591 – Bologna, 1666) e della ricca scuola di artisti che si formarono presso di lui e la sua bottega.
L’esposizione allestita nella maestosa Sala Urbana delle Collezioni Comunali d’Arte, a cura di Silvia Battistini e realizzata grazie ai prestatori ASP Città di Bologna: La Quadreria di Palazzo Rossi Poggi Marsili e UniCredit Art Collection, Quadreria di Palazzo Magnani, rappresenta l’evento inaugurale del progetto diffuso “Itinerari Guerciniani”, promosso da Comune di Bologna, Città metropolitana di Bologna, Comune di Cento e Regione Emilia-Romagna per la ricorrenza di due felici occasioni di valorizzazione dell’opera del maestro della pittura barocca, universalmente riconosciuto e apprezzato come uno dei massimi esponenti del Seicento bolognese: la riapertura al pubblico della Civica Pinacoteca “Il Guercino” di Cento prevista nel novembre 2023 in seguito alla chiusura causata dal terremoto del 2012, e l’apertura della mostra Guercino nello studio dal 28 ottobre 2023 alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, a cura di Barbara Ghelfi e Raffaella Morselli in collaborazione con lo staff del museo.
Il progetto espositivo ospitato alle Collezioni Comunali d’Arte si articola in tre sezioni che prendono in esame la produzione delle ‘teste di carattere’ e dei ritratti, oltre ad uno sguardo sulla fama del Guercino.
Lo spunto viene offerto da alcune opere ivi conservate, e in particolare dalla pregevole replica seicentesca di un quadro dell’artista originario di Cento raffigurante San Giovanni Battista in carcere tentato da Salomè, iconografia rara, ma di cui Guercino realizzò sei versioni molto simili. L’attenta descrizione del volto di Salomè, che esibisce un’acconciatura riccamente ornata, e la pungente espressione dello sdegnato San Giovanni rimandano alla pratica delle ‘teste di carattere’. Era infatti comune tra gli artisti del passato partire dallo studio dal vero di un modello, indagarne pose ed espressioni, fino a creare un volto tipologico da utilizzare in differenti generi di composizioni, religiose o profane: la cosiddetta ‘testa di carattere’.
Da qui nasce lo spunto per mettere a confronto opere di Guercino eseguite in epoche diverse della sua carriera, nelle quali i soggetti hanno fisionomie così fortemente connotate da presentarsi come ‘teste di carattere’: per esempio nelle pregevoli opere autografe esposte in mostra la Trinità (1616) e la Lucrezia (1644 ca.) di proprietà della UniCredit Art Collection, Quadreria di Palazzo Magnani a Bologna. La distanza cronologica dei due quadri documenta come Guercino ricorse a tale metodo di lavoro durante tutta la sua carriera. Nella Trinità lo scorcio ardito del volto del Padre Eterno rivela uno studio dal vero, appena stemperato dall’attributo della fluente barba grigia. Nel caso di Lucrezia la tipizzazione del viso è accentuata dalla vicenda conservativa del quadro: fu ritagliato da un dipinto più ampio e privato degli elementi che facilitavano il riconoscimento del soggetto. Il volto decontestualizzato della giovane donna poteva di conseguenza adattarsi alla rappresentazione sia di un’eroina sia di una santa.
A queste opere si aggiunge l’esposizione di ritratti realizzati da collaboratori e allievi delle generazioni successive, tra i quali si distinsero i fratelli Benedetto il Giovane (Cento, 1633 – Bologna, 1715) e Cesare Gennari (Cento, 1637 – Bologna, 1688), nipoti del Guercino, figli di Ercole e di Lucia Barbieri, sorella di Giovanni Francesco. Il genere del ritratto era molto richiesto nel passato per essere esibito sia in contesti pubblici che privati, con lo scopo di celebrare o tramandare la memoria di un familiare o di una persona illustre. I ritratti ufficiali erano solitamente a figura intera e quasi a grandezza naturale, dipinti in un’ambientazione che aiutava a definire il ruolo dell’effigiato. Più diffusi erano i ritratti a mezzo busto, adatti sia a rendere omaggio agli antenati sia a ricordare persone care.
Questo genere pittorico era particolarmente importante per le giovani donne, in quanto i quadri in cui erano ritratte in ornamenti e abiti alla moda servivano a presentarle nel loro ambiente sociale.
Nel Ritratto di Dorotea Fiorenza Saccenti (1660 ca.) di Cesare Gennari e il Ritratto di fanciulla (1692 ca.) di Benedetto Gennari le figure sono tagliate a tre quarti. Questa soluzione lascia intuire la solennità della posa in piedi e la complessità dell’abito, ma consente al pittore di soffermarsi sulla gestualità e sull’espressività del volto.
Oltre ad un maggiore naturalismo rispetto alle ‘teste di carattere’, questi begli esempi di ritrattistica barocca valorizzano la gestualità dei personaggi e la loro collocazione in uno spazio fisico ben definito – e talvolta addirittura descritto minuziosamente –, che diviene espressione della loro condizione sociale. La rappresentazione dettagliatissima dell’abbigliamento e delle acconciature sottolinea la necessità di inserire anche in uno spazio temporale preciso il soggetto, per sottolinearne la specificità.
Era comunque importante che i dipinti testimoniassero il carattere mite e il comportamento accomodante, richiesto all’epoca alle fanciulle; per questo venivano ritratte con un’aria compunta, senza eccessive caratterizzazioni sentimentali e stemperando gli elementi fisionomici più specifici attraverso una visione aulica.
Che Cesare Gennari non ritenesse necessario seguire questo criterio anche per gli uomini è evidente nel Ritratto di Francesco Maria Dal Sole (1655-1660), in cui la visione è ravvicinata e lo sfondo scuro e neutro dà il massimo risalto allo sguardo inquieto ed intelligente del giovane. La descrizione sommaria dell’abito consente all’artista di adottare una pennellata più rapida e larga, in cui l’effetto di tridimensionalità è raggiunto grazie a pastosi giochi di chiaroscuro.
Le belle ‘cornici parlanti’ nei due ritratti dipinti da Cesare Gennari, proveniente da ASP Città di Bologna: La Quadreria di Palazzo Rossi Poggi Marsili, furono realizzate in un secondo tempo dall’Opera Pia dei Poveri Vergognosi e offrono una elegante soluzione alla necessità di conservare memoria biografica di dame e nobiluomini da tramandare alle generazioni future. Infatti col passare del tempo questi quadri non servirono più a presentare dei giovani rampolli della nobiltà bolognese, ma a celebrare i benefattori che erano diventati: alla morte essi avevano lasciato alle opere pie cittadine il loro patrimonio per finanziare le attività caritative.
Infine, con tre opere conservate alle Collezioni Comunali d’Arte, si dedica una sezione alla fama raggiunta dai dipinti del Guercino, offrendo anche l’opportunità per approfondire la storia collezionistica di alcune delle opere del museo e testimonia quindi la vivacità del mondo degli amatori d’arte nella Bologna dell’Ottocento.
Il successo raggiunto già all’inizio della carriera condizionò l’organizzazione dell’attività della sua bottega e ben presto si rese necessaria la presenza di artisti ben formati e in grado di assorbire una parte del lavoro del maestro. In questo contesto si formarono artisti che poi si affermarono con una produzione autonoma, come Guido Cagnacci, Matteo Loves, Benedetto Zalone; alcune loro opere sono visibili nelle sale 7 e 8 delle Collezioni Comunali d’Arte. Il ruolo di primo aiuto veniva invece ricoperto da chi era in grado di emulare il maestro e dopo il 1630 fu assegnato a Bartolomeo Gennari, autore del San Girolamo penitente proveniente dalla collezione di Agostino Sieri Pepoli.
L’evoluzione stilistica di Guercino spinse i suoi collezionisti a ricercare dipinti realizzati in momenti diversi della carriera. Come emerge dalla corrispondenza con il principe Antonio Ruffo, spesso l’artista in prima persona si adoperava per rintracciare sue opere giovanili, cercandole presso collezionisti meno interessati o disponibili a permute. Non potendo assecondare le numerose richieste, si ricorreva alle copie realizzate all’interno della bottega, fedeli all’originale sia nel soggetto che nelle dimensioni. Del resto anche nelle quadrerie più prestigiose era usuale trovare copie di opere che avevano riscosso successo, le quali, se di buona qualità, testimoniavano comunque il gusto raffinato del proprietario.
In altri casi, pittori di minor fama dipingevano copie, per lo più partendo da incisioni a stampa, oggetti che contribuivano in modo significativo ad assicurare la notorietà di un dipinto e del suo autore. È il caso della Flora proveniente dalla collezione di Pier Ignazio Rusconi, tratto dal dipinto commissionato nel 1642 dal riminese Giovanni Orio e oggi conservato a Roma a Palazzo Rospigliosi. Non solo le misure sono molto diverse dall’originale, ma è evidente come l’anonimo pittore si sia limitato a copiare il soggetto, lasciando trasparire il proprio stile e dimostrando di non aver mai visto l’opera dal vero.
Il piccolo dipinto con la Vestizione di San Guglielmo testimonia invece una pratica artistica differente: come esercizio e per conservarne memoria esatta, il pittore modenese Filippo Conventi copiò fedelmente, ma in formato minore, la famosa e celebratissima pala d’altare di Guercino, collocata dal 1620 nella chiesa bolognese di San Gregorio e Siro a Bologna.
Una brochure contenente la riproduzione di tutte le opere in mostra è disponibile in libera distribuzione al pubblico.