di Giorgio Militano Parma, 4 marzo 2022 - Queste sono state le emozioni che hanno regnato dentro di me per due settimane, a causa di un virus del quale dopo due anni, una campagna vaccinale e svariate mutazioni ancora non siamo riusciti del tutto a liberarci.
Sono stato confinato per due settimane nella mia camera di qualche metro quadro, mentre attorno a me tutto il mondo correva, come se niente fosse, ma io non sapevo cosa mi sarebbe potuto succedere.
La vita degli altri non era cambiata, ma la mia si: non potevo uscire di casa, non potevo uscire dalla mia stanza: ero solo, solo contro un nemico che non sapevo come combattere.
Non ti ricorda niente?
Siamo tutti così preoccupati dalle nostre piccole vite che non troviamo la forza di alzare la testa e guardarci intorno, come quando a scuola eri a metà verifica e mancavano cinque minuti allo scoccare della campanella: tutto intorno scompariva, nulla aveva più importanza se non quel foglio di carta.
Ma non si parla più di un voto, si parla di umanità, si parla dell’umanità.
Il nostro futuro è continuamente messo a rischio e siamo accecati dal pericolo più vicino a discapito di quello di maggior peso, come un motociclista che sbaglia la traiettoria della seconda curva: non importa quanto possa aver fatto bene la prima, se non considera la seconda perderà comunque quei preziosi secondi o peggio, cadrà.
La pandemia ci ha assorbiti al punto da farci dimenticare lo scenario geopolitico mondiale ed ecco che appena il problema più urgente si avvicina alla sua fine, quello di maggior peso si mostra.
Per mesi abbiamo sentito fare retorica sulla somiglianza della pandemia alla guerra, in apertura di questo stesso articolo è stata fatta retorica sulla somiglianza tra pandemia e guerra, ma fino al mese scorso chi avrebbe mai pensato che davvero una guerra sarebbe potuta scoppiare?
Ed eccoci qui, finalmente con dei dati incoraggianti alla mano per quanto concerne il virus a vederci strappare la nostra serenità da un nuovo problema, gigantesco.
Gigantesco, si, ma imprevedibile? Non direi.
Prevedibile, come prevedibile era il Covid.
La comunità scientifica per anni si è impegnata ad allertare i governi europei, i governi mondiali sulla possibilità di un’imminente pandemia, ma non è stata ascoltata, perché?
Non è stata ascoltata perché c’era un problema più vicino: la crisi.
La guerra era prevedibile, ma c’era un problema più vicino: la pandemia.
Ora la nostra preoccupazione maggiore è la guerra, ma qual è il prossimo problema prevedibile che non riusciamo a vedere?
Il futuro dell’umanità.
Siamo nel bel mezzo di una crisi climatica ma si parla di riaccendere le centrali a carbone, sconcertante vero?
Si, ma non si può fare altrimenti.
Non si può fare altrimenti perché per mettere in funzione impianti di energia rinnovabile o nucleare ci vorrebbero mesi se non anni e a noi l’energia potrebbe dover servire nel giro di poche settimane, ma come titolava il Times giusto qualche giorno fa: “La storia si ripete”.
Se avessimo costruito sufficienti fonti di energia a tempo debito ora non saremmo in questa situazione: un altro problema grave annebbiato da uno più imminente, chissà quando, chissà quale.
Il fatto è che non possiamo continuare ad affrontare la vita a testa bassa, guardando solamente la punta dei nostri piedi, altrimenti non saremo in grado di vedere le buche poste lungo il corso del nostro cammino e continueremo ad inciampare e cedervici dentro, fino a che al posto di quelle buche si presenterà un crepaccio e una volta messo il piede nel vuoto non importa quanto forte ti tieni al bordo della fossa, non puoi avere la forza di restare aggrappato per l’eternità.
Alziamo la testa, guardiamo avanti, impariamo come evitare le buche e se andiamo troppo veloce per evitarle non vuol dire che andiamo troppo veloce anche per arginare i danni, come quando in moto vedi un dosso all’ultimo secondo e per non spaccarti la schiena ti alzi in piedi sulle pedane.
Alziamoci in piedi sulle pedane, ora che è ancora possibile e passato il dosso risediamoci: più comodi di prima, più attenti di prima e guardiamo la prossima buca, guardiamo la curva dopo mentre attraversiamo la prima.
Guardare indietro non serve a nulla, se non a conservare la memoria e trarre esperienza dal passato, ma la verità è che se questa esperienza non viene applicata sul futuro il sacrificio fatto per acquisirla sarà stato vano.
Siamo davvero disposti a sacrificare tutto per una distrazione?
E per una volta, che non si pensi alla propria vita! Quando dico sacrificare tutto, intendo tutto.
Noi molto probabilmente non vedremo la fine del mondo, ma i nostri figli, i nostri nipoti, i nostri discendenti?
Siamo davvero disposti a permettere l’ennesima catastrofe prevedibile?
Rifletti.