Avevo da molti sentito parlare di questo bislacco personaggio della zona, tra Brescello e Boretto, sul confine tra la Lombardia e l’Emilia, così sono voluta andare a vedere, ma imboccando il vialetto il primo a vedermi e a salutarmi è lui.
Entro così in un delizioso prato verde puntellato da bianchissime margheritine selvatiche e non posso fare a meno di notare la sua umile dimora adagiata lì, a fianco al fiume, un sapiente intreccio di pali in legno che si intersecano verticalmente e orizzontalmente, da cui sbuca una tazzina per caffè posta a fianco a una giacca consunta blu appesa. Lui continua con la mano sinistra a farmi cenno di raggiungerlo a riva e io distolgo per un attimo lo sguardo, ipnotizzata dal tavolino in legno che sosta indisturbato sotto un grande pioppo e che sembra godere della tranquillità della giornata. Ha un che di irreale e chimerico con su quel centrotavola bianco apparecchiato, come se attendesse da un momento all’altro l’arrivo di qualcuno. Lo raggiungo a fatica tra il fango in cui si incastrano i miei tacchi e dei tronchi d’albero messi di traverso: l’aria è afosa, il caldo ha già appiccicato la mia maglia sulla schiena. Alberto mi aspetta lì, in costume da bagno e a piedi nudi, mi accoglie con un largo sorriso e con gli occhi di una persona serena e in pace col mondo.
Un omino di 78 anni, dal volto abbronzato, scalfito dal sole e dal tempo, mani grandi e callose da cui spunta un livido su di un’unghia probabilmente dovuto a un colpo di martello.
-Signorina, ma lei è già stata qui?
-No, veramente è la prima volta.
-Qui lei è nel paradiso… e mi dica, lei da dove viene?
-Vengo da Parma, signore.
-No, mi chiami pure Alberto, venga con me, le mostro qualcosa.
Così mi fa da Cicerone nel suo Regno, passeggiando tra ponti e muretti costruiti con rami e tronchi d’albero, eretti e incastonati con destrezza e ingegno. Di ognuno di questi, ne ripercorre con la memoria la storia, le piene che l’hanno investito, la ricostruzione, i numeri di chiodi fissati. A un certo punto arriviamo sotto una torretta, mi fa cenno di salire, lo guardo un po’ incredula ma poi accetto la sfida e getto sulla sabbia le mie scarpe. Come una bambina mi ritrovo a piedi nudi ad arrampicarmi su dei piccoli legnetti che fanno da gradini, e scalino dopo scalino, mi accorgo che sono davvero in alto, e per la prima volta non ho paura, le timorate vertigini di cui soffro sono solo un lontano ricordo, dev’essere la forza di questo sole che mi batte sulla fronte, il fruscio delle acque del fiume che mi incita a insistere, io continuo a salire e non ho paura… Dall’alto la vista è spettacolare, una distesa d’acqua che si allarga all’infinito e che si muove e scivola nella sua corsa senza sosta e ostacoli. Qui dall’alto, sospesa su questi legnetti riesco quasi anche io a percepire il fiume come un’entità che vive, che sente… Mi piacerebbe restare tutte le ore del giorno seduta qui, a scrutare l’orizzonte, a monitorare i movimenti del vento, a fissare queste lievi onde che increspano la superficie, per un attimo dimentico i fumi della città, il tran tran giornaliero. È davvero qui in alto il Paradiso, in questa torretta circondata d’acqua, acqua viva, acqua che passa, che scorre, acqua che mi ricorda come tutto sia temporaneo ed estemporaneo.
Scendo e lo ringrazio di questo magnifico dono che mi ha fatto.
- Vede Signorina, i veri poveri siete voi, a me qui non manca niente…io ho tutto. Ho la natura, i bambini che vengono a trovarmi e il tempo…
Prima di andar via mi porta accanto a una ciotola piena di chiodi.
- Chiuda gli occhi signorina, ne peschi uno...su…
-Signorina, ha scelto il chiodo con la testa più grande…usi meno la testa…ci metta più il cuore!
Alcuni lo considerano un pazzo, per altri è un eroe che ha saputo santificare questi posti, per me è entrambe le cose, in fondo solo i pazzi nella loro sana incoscienza, nella loro vibrante follia possono essere tanto eroi da costruire o disfare grandi cose.
Lascio un’offerta per i nuovi paradisi che verranno, tanto lui lo sa già (con la schiena piegata in due, l’artrosi nelle mani sempre più fragili per via dell’età) il suo è un lavoro destinato a non concludersi mai. Con la prossima piena il fiume si porterà via tutto e a lui toccherà nuovamente prendere chiodi e martello in mano e ricominciare da zero, ma in fondo, come tutti i folli e i grandi saggi, a lui non è sfuggita una delle più grosse verità dell’esistenza umana: ripartire dalle macerie, resistere, combattere, anche quando l’acqua arriva inaspettata e ti porta via tutto…niente è veramente impossibile.
Parma 4 giugno 2020
Roberta Calzolaro