Sabato, 11 Luglio 2015 10:10

Annalisa, reporter in prima linea In evidenza

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Annalisa Vandelli in Pakistan Annalisa Vandelli in Pakistan

Incontro con la scrittrice e reporter sassolese Annalisa Vandelli, che ha fatto del suo essere giornalista una missione, per documentare e fare conoscere situazioni di guerra, povertà, disagio nelle zone più calde e povere del mondo. -

Di Manuela Fiorini – foto di Annalisa Vandelli in fondo alla pagina -

Sassuolo (Modena), 11 luglio 2015 -

Annalisa è una di quelle persone che incontri per caso o per destino. Colpisce per il suo sorriso solare e per l'ottimismo che riesce a trasmettere. Quando comincia a parlare, capisci subito che lei non fa solo la giornalista, ma giornalista lo è nel profondo. Ha tutte quelle caratteristiche, la curiosità, la determinazione, il talento, il coraggio, che servono per trasformare in lavoro quell'impulso irresistibile che fa parte del proprio modo di essere.
Annalisa Vandelli, sassolese, classe 1972, è riuscita a realizzare quello che, per molti che fanno il suo stesso mestiere, rimane un sogno o un ideale. Come reporter freelance ha documentato, per conto del Ministero degli Affari Esteri, realtà lontane e difficili, come i campi profughi in Libia, il Nicaragua flagellato dai disastri naturali, la povertà in Guatemala e, poi, ancora la condizione delle donne in Pakistan. Ha poi visitato la Tunisia, l'Egitto, i Territori Palestinesi e l'Albania, producendo reportage per la rivista "Cooperazione Italiana Informa". Nel 2007, ha trascorso un anno in Etiopia, collaborando con Uliano Lucas. Da quell'esperienza, è nato il libro "Scritto sull'acqua", poi diventato un' opera teatrale con Ivana Monti, Anna Palumbo e Teri Weikel. Oltre a vari saggi e romanzi, pubblicati anche in spagnolo e inglese, dirige le riviste Afro, con sede in Abruzzo, e Il Barrito del Mammut, con sede a Napoli, nel difficile quartiere di Scampia. Tanti anche i riconoscimenti, come il Premio Nazionale Mediterraneo 2014, il Premio Nazionale Profilo Donna 2012 e il Premio di giornalismo Hombres.

Annalisa, quale è stata la "molla" che ti ha fatto decidere che volevi essere una reporter?

"Credo sia una questione genetica, di essere nata già con quella tensione, con caratteristiche personali che vanno dalla curiosità, alla voglia di esplorare, allo slancio ideale e poi alla condizione. Nel corso degli anni, ho cercato di crearmi gli strumenti narrativi a sostegno di questi aspetti molto marcati del mio modo di essere. Ho cercato di coniugare l'esperienza allo studio. La molla vera e propria è stata la morte di una persona a me molto cara, Padre Giuseppe Richetti, un missionario che si potrebbe definire profetico. A vent'anni, la sua biografia è stata il mio primo racconto e il mio primo viaggio importante in un paese africano, il Kenya.

Quali sono state le difficoltà che hai incontrato nella realizzazione di questo tuo progetto di vita?

"Tante, ma ritengo che valga per ciascuno di noi trovare molte difficoltà per realizzare un sogno. Gli impedimenti aumentano senz'altro il gusto del traguardo raggiunto. Comunque tra i principali metterei la "crisi" della figura stessa del reporter e dello scrittore. Un inviato è molto costoso per i giornali in tempi di ristrettezze economiche e ci si rivolge sempre più alle agenzie".

Sei stata inviata speciale per il Ministero degli Affari Esteri in zone di emergenza. Quale è stata l'esperienza, o le esperienze, che ti hanno colpito di più?

"Ho raccontato da un punto di vista privilegiato l'aspetto della speranza nella catastrofe, per esempio il tentativo di soccorrere le afflizioni delle popolazioni che soffrono guerre, terremoti, disastri naturali, fame, ecc. messo in atto dalla Cooperazione Italiana e dalle organizzazioni non governative. Ho sempre cercato di mettere a fuoco quel messaggio di resurrezione che è racchiuso quasi in ogni situazione. Paradossalmente, spesso sono state le persone afflitte a darmi coraggio. L'essere umano è tremendo e meraviglioso, un viaggio nel viaggio. Mi sono sentita quasi sempre accolta, ma soprattutto nella continua possibilità di comprendere e imparare qualcosa in più, di allargare la mia mente ristretta. Tante esperienze mi hanno colpita e direi segnata. Ne cito una per tutte: il racconto allucinante della fuga durata anni di una ragazza eritrea dal proprio paese e dalla Libia attraverso il deserto. In Libia, durante la rivoluzione, riesce a ricongiungersi con il proprio ragazzo che non vede da tre anni e rimane incinta. Lui è stato recluso a lungo nelle prigioni lager di Gheddafi, riservate ai profughi. Lei deve entrare in ospedale per delle complicazioni, ne esce senza il bambino e senza un rene. In queste condizioni, i due innamorati riescono a scappare e ad attraversare il confine giungendo in Tunisia. Li ho conosciuti nel campo profughi di Choucha. Ora vivono in Canada. Considero questa gente come eroi del nostro tempo. Siamo abituati a cercare nella storia i nostri eroi e siamo così ciechi da non accorgerci di quelli che ci vivono accanto. Anche solo l'attaccamento alla vita per me è un grande insegnamento".

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Tu sei reporter free lance. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi? Ti sei mai sentita in pericolo?

"Il primo vantaggio che mi viene in mente è la libertà, lo svantaggio è la precarietà costante. Mi sono spesso sentita protetta. La felicità che comporta il mio lavoro mi fa essere piuttosto spensierata sul pericolo in sé, anche se lo valuto sempre. La paura è importante solo se diventa una nostra alleata. L'idea del pericolo tende a bloccarci, ma spesso è solo un'idea, non la realtà. Comunque sì, mi sono sentita in pericolo, ma sono più a disagio quando il pericolo è poco evidente. In una situazione di pericolo esplicito navigo con maggior sicurezza. Per esempio ho fatto una breve esperienza di campagna elettorale e lì ho vissuto un pericolo carsico, quello di perdere i miei ideali proprio mentre cercavo di affermarli. I politici corrono questo grande rischio, non rendendosi conto forse che in gioco c'è la vita. Ricordo con grande partecipazione sempre una frase di un giovane domenicano suicida che lasciò scritta sulla propria bibbia: "meglio morire che perdere la vita". Ecco per me il pericolo più grande è perdere la vita".

Come programmi un tuo viaggio? Decidi tu dove andare o valuti le possibilità che ti vengono offerte?

"Entrambe le cose, fermo restando che un viaggio può essere anche intorno a casa. So che è un paradosso, ma riuscire a raccontare la consuetudine con occhi nuovi è il reportage che mi affascina maggiormente. In genere, programmo i primi due o tre giorni a livello logistico e di incontri; poi il resto in base a quello che trovo strada facendo e che già ho in mente. La sfida più bella è quando le idee e i pregiudizi di partenza vengono smentiti dalla realtà".

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

"Non vivo in una situazione di certezza mai. Credo di ripartire presto perché è anche una necessità per me di igiene mentale. Confido di tornare in Centro America e di riprendere anche l'insegnamento all'università. A tale proposito ritengo importantissimo l'insegnamento e il mentorato, come trasmissione tra generazioni, come legame comunitario. Viviamo in un epoca dove la profondità del nostro sguardo si limita a pochi centimetri che pretendono di allungare la nostra vista al mondo intero. Mi riferisco agli schermi vari che delimitano il nostro quotidiano. Lo sforzo di un insegnante e di un reporter deve essere oggi quello di andare più in là, usare le gambe e l'ingegno per cercare nella realtà e uscire un po' dal quadrante fisso dei megapixel. Mi rendo conto che sia paradossale, visto che il mio lavoro riempie anche quegli schermi, ma è essenziale la ricerca di una misura per le nuove generazioni, altrimenti il virtuale viene scambiato per reale e ci si allontana dal senso in modo irrimediabile. La siepe di Leopardi prolungava il suo immaginario, la nostra siepe ne risolve immediatamente le domande. Con quali conseguenze?

Che cosa consigli a chi desidera intraprendere il tuo stesso percorso? E' più facile in Italia o all'estero?

"Consiglio di trovare continue ispirazioni e persone con cui condividere il percorso, di avere disciplina e metodo, di studiare e di fare pratica, di allenarsi sul punto di vista, di entrare sempre in comunicazione con gli altri, di essere pertinaci e di sapersi mettere in secondo piano, a servizio. E' più facile dove ci si sente a proprio agio".

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