Domenica, 09 Giugno 2024 06:46

“Lavoro migrante”: Amancay Casas In evidenza

Scritto da Francesca Dallatana

Ande di frontiera. Finis terrae.

Di Francesca Dallatana Parma, 9 giugno 2024 -

Indigena, nel nome. Mitteleuropea, d’aspetto.

Eterea, alta, altera. Amancay Casas è argentina di nascita. Geneticamente tedesca e basca, rispettivamente da parte di madre e di padre. Cittadina del mondo, per cultura.

Rappresenta l’Europa in trasferta in Argentina. Parla tedesco, italiano, francese.  Naturalmente spagnolo.

Finis terrae: coesistono, senza confondersi, le lingue d’Europa, qui.

Camminata morbida, ma decisa. Come se affondasse i piedi nella terra mobile intrisa d’Oceano Atlantico, quello freddo della laguna. A Bahia Blanca, provincia di Buenos Aires, Argentina, dove mare e terra si uniscono nelle stratificazioni del globo modellate dal mare. A sguardo perduto, la spiaggia si insinua nell’Oceano.

L’Argentina è un impasto di terra e adrenalina. Da qui all’Italia, attracco di Genova, quindici giorni di navigazione, nave Cristoforo Colombo: a metà degli anni Settanta del Novecento un clima di terrore e antidemocratico si diffonde nel Paese latino e Amancay Casas raggiunge il capoluogo ligure, Italia. Per cominciare una nuova vita.

E’ geologa e ha già praticato la professione per qualche anno, nonostante la giovane età. Mestiere inusuale e poco diffuso fra le donne. “Edafologia, per la precisione, chiamata anche agrologia: lo studio del suolo come habitat dei vegetali. Un percorso di studio – dice l’intervistata - considerato molto importante in Argentina, per la tutela e la salvaguardia del territorio e dell’ambiente. L’Argentina è un territorio forte e fragile, del quale bisogna avere cura. Lavoravo da due anni, quando mi sono trasferita in Italia. Qui ho ricominciato a partire dalla lingua. Che all’inizio rappresentava una barriera tra me e il mondo esterno. E che aveva accentuato il mio riserbo, la mia timidezza nella relazione.” Lo studio e la scrittura rompono il velo del disagio e riportano il guizzo creativo della socialità nella vita di Amancay Casas. Amancay è il nome di un fiore andino chiamato anche giglio degli Incas. E Amancay sboccia in terra straniera, forte di una lingua nuova e una rete di contatti da scoprire. Gli interessi si trasformano ma non tradiscono il nocciolo duro che ha inferto impronta e sangue all’identità culturale della geologa: nel 1992 consegue il titolo di dottore di ricerca in geologia presso l’Università di Parma e negli anni successivi certifica e costruisce le sue competenze come interprete e come mediatrice culturale.

Le lingue e la cultura come strumenti per facilitare il dialogo “e la costruzione di reti sociali. Vorrei ricordare l’associazione interculturale MilleunMondo, della quale sono stata socia fondatrice e il ruolo di consigliere amministrativo per la cooperativa La Città dei Colori: tasselli fondamentali per la costruzione della mia rete sociale di riferimento”, annota Amancay Casas.

In Italia, la giovane geologa ricomincia il percorso di integrazione sociale con la ricerca del lavoro. Ostacoli riconoscibili e superabili, a volte un campo minato dall’esplosione improvvisa che lascia il segno: per una donna straniera quali sono state le difficoltà maggiori? Ripercorre un fatto, la geologa argentina: “Superata la fase della mia timidezza sociale, ho cominciato a cercare lavoro attraverso i canali di reclutamento tradizionali, fra i quali le agenzie per il lavoro. Grazie alla selezione di un’agenzia per il lavoro sono entrata in contatto con un’azienda di Collecchio per una ricerca di impiegata addetta alla segreteria. Ero una candidata adulta. Durante il colloquio ho fatto una battuta e ho detto: a me piace molto lavorare con i giovani; non ho nessun problema a lavorare con persone più giovani di me. La risposta mi ha gelato il sangue: non è detto che gli altri vogliano lavorare con una persona come lei; non è detto che gli altri vogliano lavorare con una persona più vecchia d’età.”

Discriminazione per età e per genere, strisciante, difficilmente dimostrabile. Amancay Casas esce scossa dal colloquio. E di quell’episodio la memoria riporta la sensazione di disagio e la difficoltà a formulare una risposta pronta e lapidaria capace di annullare l’offesa sociale della discriminazione. “Non ho avuto la risposta pronta. Mai avrei pensato di sentire parole come queste”, commenta.  Sedimentata la negatività del ricordo, il mercato del lavoro le riserva un posto come impiegata che l’ha impegnata per un periodo significativo. E alterna il lavoro in una società con sede a Parma capoluogo ad una vivace presenza nei circuiti culturali e del volontariato cittadino. Missione sociale orientata a rendere colorato, giocoso e agile il processo di integrazione dei migranti. Spesso venato da ripiegamenti rivolti al passato.

Migrazione e dialogo interculturale per una persona argentina sono esercizi quotidiani. “L’Argentina è un coacervo di spunti culturali. In Argentina sono arrivati in tanti, da molti Paesi. Gli italiani si sono stabiliti soprattutto nelle grandi città, a Buenos Aires, Mendoza, Rosario. In Argentina, la multiculturalità è la norma”, conferma l’intervistata. Melting pot di memorie culturali che si intrecciano, tessere dai bordi imprecisi per il puzzle di colore interetnico che è quotidianità, in uno spazio disperso sotto un orizzonte alto. La prima esperienza interculturale l’ha vissuta a casa, da bambina: “La tata di mio padre era un’indigena della Patagonia. Figlia di un cacicco, il capo di una comunità tribale, il re degli indigeni, il governante. In onore e in memoria di questa importante presenza, i miei genitori hanno scelto un nome indigeno: Amancay.  All’anagrafe hanno fatto un po’ di storie, quando hanno proposto questo nome. Hanno anticipato allora, un nome cristiano e aggiunto il nome di mia nonna basca: Liliana Amancay Paz.” 

Confine tra Argentina e Cile, ai piedi delle Ande. “Mio padre era un gendarme di frontiera. A San Carlos de Bariloche (provincia del Rio Negro, Patagonia nord-occidentale, ai piedi delle Ande, sulle sponde del lago Nahuel Huapi, ndr). Limite estremo dell’Argentina, verso il Cile. Gli indigeni sono i Tehuelche. E sono stanziati tra il Cile e l’Argentina. O meglio: erano stanziati, perché sono rimasti in pochi. In parte sono originari del Cile e sono passati, poi, in Argentina. I Patagoni, i Tehuelche hanno confini diversi rispetto a quelli geo-politici imposti dalle relazioni internazionali intervenute nel corso degli anni e dettate dalle Storia. Mio padre faceva i censimenti, prendeva le impronte digitali. Gli indigeni occupavano tutta quella zona. Mio padre per un certo periodo ha fatto questo lavoro e mia madre ha dipinto l’ambiente naturalistico, la flora locale. Ha colorato tele e tele di fiori e di piante.”

Un osservatorio che permette al gendarme di mettere a fuoco le dinamiche di integrazione di una minoranza. “Fino alle sue dimissioni dal lavoro alla frontiera. Mio padre ha lasciato il lavoro in gendarmeria per fondare una scuola, il Colegio Nacional, una sorta di liceo, una scuola media superiore rivolta agli argentini e agli indigeni. Lo ha fondato e ci ha lavorato con mia madre.” Un innovatore impegnato nell’integrazione sociale, senza farne una bandiera. Un progetto educativo che ha lasciato il segno. “Al cambio politico del governo del Paese, mio padre e mia madre sono stati licenziati. Dalla montagna di San Carlos de Bariloche si sono trasferiti a Bahia Blanca, sul mare”: a ritroso alla ricerca della prima migrazione di Amancay Casas: da un confine di terra, le Ande, a un confine di mare. “Ci siamo trasferiti per problemi politici. Fino a ventitre anni di età ho vissuto a Bahia Blanca. Poi, l’Europa. In un altro momento storico difficile, per l’Argentina.”

A Parma, l’Europa non è al capolinea. La genetica di composita ispirazione culturale condiziona la vita della migrante argentina. Che si sposta tra Germania e Italia, di frequente. “A Monaco di Baviera raggiungo spesso persone della mia famiglia. Persone che vivono nella loro quotidianità questioni relative all’integrazione. Matrimoni misti e relazioni interculturali sono all’ordine del giorno, anche nella mia famiglia. I tedeschi hanno vissuto forti ondate di migrazioni. Si sono mischiati parecchio. Anche se il fenomeno ha riguardato soprattutto alcune classi sociali, non tutte. Le esperienze dei miei parenti, nonostante le diversità culturali, sono tutte positive. Purtroppo si è abbassata la mia competenza in lingua tedesca. La lingua deve essere praticata per rimanere viva. In Argentina, parlavo il tedesco ad un livello più alto di adesso.”

Le lingue, l’attività di mediatrice interculturale e di interprete, la scrittura, la cultura: si diventa ciò che si è stati nel frammento d’infanzia concesso dalla vita.

Amancay Casas conserva i dipinti di Elisabeth Thenèe, sua madre, e in particolare quello datato 1952 che consegna alla tela il giglio degli Incas, il fiore Amancay. E le opere di suo padre, Libérrimo Casas, innovatore sociale senza megafono e scrittore.

Una persona italiana figlia di argentini può ottenere doppia cittadinanza. Allo stesso modo un argentino che vive in Italia. “Non ho radici italiane. Mio padre diceva che la doppia cittadinanza può aiutare a sopravvivere, se in Europa dovessero verificarsi fatti gravi. La Storia ricorda la sofferenza del Novecento inquieto. La cronaca riporta le guerre in corso: quelle raccontate dai giornali e quelle alla periferia dell’attenzione dei media.

Dall’Oceano al Mediterraneo: il naufragio al largo di Cutro, tra il 25 e il 26 febbraio del 2023 ha pugnalato al cuore chi sente vibrare nel profondo la tensione verso la salvezza. Nel luglio prossimo, Amancay Casas proporrà la catarsi dei versi scritti dopo il naufragio al Festival “Il valore delle donne.”

Dall’acqua gelida d’Argentina, si parte, poi si ritorna. Non la si lava via. La genetica meticcia è prepotente come la letteratura sudamericana. Scolpisce la terra nel profondo, nonostante le maree.

Dell’Argentina e del sud America, Amancay Casas porta con sé libri e film. I nomi che le girano nello sguardo sono diversi e ne cita alcuni: “El lato oscuro del corazon” di Eliseo Subiela e gli scrittori Jorge Luis Borges, Marcos Aguinis e Ernesto Sabato. La marea ha lasciato le loro forti tracce, sulla tabula della sua memoria.

Anche Parma è terra d’acqua. “Prepotente quando tenta l’esondazione, pacato ma presente: un torrente inquieto, il Parma. Un corso d’acqua che impone una identità specifica. Il torrente Parma è la prima fotografia, nella galleria della mia immaginazione.” Acqua che metaforicamente modella la genetica meticcia. Come l’Oceano che batte le onde nei dintorni di Buenos Aires.

Silenzio e spazio immenso e natura selvaggia”: parole di Libèrrimo Casas.

Mare da sfidare, alla ricerca di un possibile altrove.

POESIA

Immigrati

di Amancay Casas

Annegare assieme alle speranze.

La vostra carne divorata dai pesci,

i vostri teschi

rotolano nelle profondità abissali.

Le ossa costruiscono

nuove strane strutture.

Sedimento umano,

sempre più spesso.

Marina fossa comune

di guerra interspecie.

L’ultima a morire

è la speranza.

Oggi però la speranza è morta

insieme a voi naufraghi.

Le onde vi richiamano.

Le acque, come un manto pietoso,

vi proteggono per sempre

dalla delusione

di non aver trovato a riva

Un mondo migliore.

Naufragio di Cutro, 26 Febbraio 2023

 

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(Link rubrica:  La Biblioteca del lavorolavoro migrante ” https://gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=francesca%20dallatana&searchphrase=all&Itemid=374 

   https://www.gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=lavoro%20migrante&ordering=newest&searchphrase=exact&limit=30)