Sabato, 11 Maggio 2024 06:41

“Lavoro migrante” - Oro nero. Deserters and heroes. In evidenza

Scritto da Francesca Dallatana

Di Francesca Dallatana Parma, 11 maggio 2024 - Eroi in coraggioso duello con la vita, quella che è capitata. Non hanno paura. Sfidano il potere, combattono per un ideale. I rivoluzionari sono nobili e puri. Da lontano, nello spazio e nel tempo.

Da vicino, una rivoluzione è la disordinata intersezione di storie. Quasi mai cristalline, sempre umane: imperfette.

Sua sorella portava i capelli lunghi e sciolti. Senza il velo. Aveva liberato la giovinezza dalle briglia. Aveva tolto il pettorale. Rivendicato il diritto al pensiero. Ma non era quello il motivo per il quale era stata uccisa. La ragazza pretendeva di vivere come la loro madre le aveva insegnato: da persona libera in un Paese libero: al galoppo allungato sotto un cielo alto e con un orizzonte lontano. Alla fine degli anni Settanta, in Iran, era cominciata un’epoca inclinata verso il passato. A quarant’anni di distanza, il contagio si era diffuso. E il Paese aveva archiviato la parentesi di modernizzazione: una svista della Storia rientrata nel vecchio e arrugginito binario del passato remoto.

Sua madre era morta di lavoro, prima che la figlia minore mettesse piede all’Università. Di ritorno dall’aeroporto verso il centro era rimasta intrappolata tra le lamiere di un incidente provocato da uno straniero al volante. Il taxi che guidava era sempre lo stesso ferro vecchio da oltre dieci anni e tossiva fumo ad ogni passeggero.  La ruggine della lamiera non le aveva lasciato scampo.                                         

Teheran, 2023

Disertore due volte. Dal Paese di origine, dalla ribellione dei giovani che brulicano nelle piazze. Chi decide di sopravvivere si porta dentro la colpa, un marchio indelebile.  Più potente di una mina. In Iran non aveva più nessuno da difendere. Lui voleva provare a sopravvivere. Aveva tradito il Paese. Aveva tradito la Rivoluzione. Si era ritirato nel silenzio, creduto nella migrazione.           Via da Teheran, 2023                                                                                                                   

Una guida dinamica, nel traffico di Tehran. Di mestiere guida un taxi. Per pagarsi gli studi. Una donna al volante, dalla guida sicura. Un flusso flebile, costante e continuo: gli stranieri in arrivo all’aeroporto di Mehrabi, il campo di atterraggio di allora.

A metà degli anni Settanta, sua madre vedeva un futuro possibile dal parabrezza dell’automobile.

Avanti e indietro dal terminal degli arrivi internazionali fino agli alberghi della città: era un lavoro di attenzione e di ritmo, di riserbo e di socialità misurata soprattutto con gli uomini. Teheran, anni Settanta.

Cerca la fatica per morire. Deve sedare la vigliaccheria che si sente addosso. Se ne è andato alla ricerca di un ricordo antico: la favola che sua madre gli raccontava di sera. La storia di un amore assoluto. Non è rimasto a combattere.

Sotto i piedi la pelle dura e spaccata. Ha scelto di camminare e di nascondersi e riemergere dal bosco dell’inquietudine. I giovani del suo Paese lottano. Lui se ne è andato a cercare un futuro diverso.

Il freddo congela il disagio laido che si sente addosso. L’Iran è diventato un Paese che lui non riconosce. Dove non si può vivere come sua madre gli aveva insegnato. Da uomo libero. I pensieri senza catene.

Il freddo delle montagne, la Turchia, la Bulgaria, il bosco. Dove ci si perde, si mangiano le bacche, ci si nasconde, ci si lava nei corsi d’acqua, si teme di essere scoperti, si costruiscono i giacigli, si rischia di essere impallinati. Dove gli animali possono essere amici quando non ti considerano oppure nemici se hanno un motivo forte. Dove devi camminare leggero. Dove gli esseri umani ti bastonano, ti cacciano indietro con i forconi, ti spingono in fondo alle cisterne di letame fino a farti scoppiare i polmoni.

I confini tra la Bosnia e la Croazia sono infidi. I piedi rotti. La colonna vertebrale fredda e rigida.

Il viaggio di terra dura mesi, qualche volta anni. Il freddo trasferisce la fatica dai piedi al collo, fino alla testa, al cervello. E il corpo diventa un ammasso di ossa pesanti da trascinare.

Chi viaggia per andarsene non conosce la destinazione. Cammina fino allo sfinimento. Per scacciare il senso di fallimento e vigliaccheria. Voleva punire e uccidere il se stesso che se ne è andato.  Da qualche parte a cercare e trovare l’uomo del petrolio, l’uomo dei racconti di sua madre.                           The game, 2023.

Si incontrano nello specchietto retrovisore; indugiano gli occhi scuri di lei negli occhi annebbiati dalle lenti di lui. L’extraterritorialità rallenta il tempo e attenua la fretta. Gli occhi di lui sono un’intuizione sfuggente. Occhi che parlano. Lei si concentra sulla strada. Lui non distoglie lo sguardo, fisso sullo specchietto mascherato dalle lenti.

Poche parole in inglese e l’uomo d’affari è arrivato a destinazione. Un giro per Teheran, prego. Vuole vedere la città, l’italiano. E non intende spostare lo sguardo dallo specchietto. La città scorre intorno mentre lui tiene lo sguardo fisso dentro lo specchietto retrovisore, da dietro.

La guerra è una livella solo per i morti. Per chi resta è un ascensore sociale, in su o in giù. Oppure fuori dai confini.

Dopo la seconda guerra mondiale, i laureati e i diplomati in Italia erano quelli di famiglia tranquilla. I nuovi posti di lavoro erano diversi da quelli del passato. Meno terra sotto le unghie e più sedie sotto le scrivanie. Non era difficile raccontare la storia giusta, dire da che parte ci si era schierati durante il limbo fangoso sul quale avevano camminato gli alleati. Facile per chi aveva sviluppato l’opportunismo della sopravvivenza: quella è la razza che resiste alle conseguenze di qualsiasi calamità.

Aveva la mascella cadente anche da giovane, per tutte le sigarette fumate. Era magro come molti, lungo come pochi e allampanato come chi si sporge verso l’alto. Il mento pronunciato e occhiali rotondi appoggiati al naso diritto e lungo, il marchio di fabbrica della sua famiglia. Sostituiva spesso gli occhiali da vista con quelli dalle lenti scure anche negli ambienti chiusi, anche alla sera. Per mantenere il riserbo del pensiero. Aveva studiato quanto basta da imparare a parlare in pubblico, scrivere con eleganza e saper tenere le redini di un gruppo. Le attività, le azioni coraggiose e soprattutto la eco dei racconti eroici della Resistenza italiana gli erano valse un’acclamazione di massa e una promozione sociale. Uno come lui, proveniente da una famiglia di estrazione nomade e ai limiti dell’accettazione sociale, aveva ricoperto una carica importante nel Sindacato di massa e di lotta e altrettanto visibili ruoli politici in grandi organizzazioni.

Slanciata come un fusto piegato dal vento, la figura. Un viso strano dai tratti vagamente Rom. Scriveva e pubblicava libri. Frequentava intellettuali. In dissonanza totale con lo stile della famiglia d’origine, fuggita di notte dal fondo agricolo per non pagare la quota della mezzadria.

Se non ci fosse stata la guerra, lui e i suoi fratelli si sarebbero dedicati all’agricoltura. Da un’altra parte del Paese avrebbero ricominciato le coltivazioni. A casa sua si urlava, ci si picchiava. Il frastuono della guerra per lui, per loro, era la normalità. Come la violenza.

Da ragazzo aveva scoperto la lettura, negli interstizi della guerra.  Aveva cominciato ad entrare nella vita degli altri, leggendo. I libri erano stati i suoi primi viaggi.   

A metà degli anni Settanta, i viaggi fuori dai confini nazionali sono per lavoro. Alla ricerca di contratti di fornitura di petrolio, per conto di una società petrolifera. Con il petrolio ci si può arricchire, parecchio e in fretta. E’ il momento dello sviluppo della rete autostradale in Italia e della diffusione di massa dell’automobile. Lui ha voglia di vivere. Ha ripreso la strada del nomadismo, quella che la genetica gli infligge e che la Storia gli aveva sbarrato. Al tempo tutto era possibile, in Italia. La guerra era finita.  Italia, poco dopo il boom economico e demografico.

Teheran per lui rappresentava la libertà dalla storia della sua famiglia e dal suo presente. A Teheran si sentiva lo scrittore che avrebbe potuto essere. Il petrolio gli aveva permesso di inventarsi un lavoro in Italia e di vivere da libero in un Paese che lo aveva spogliato di ogni etichetta.  La ragazza del taxi era una studentessa di letteratura. Il dialogo degli occhi negli occhi si era trasformato in romanzi di parole, nel racconto delle loro vite possibili non ancora uccise dallo scadere del tempo. Il taxi parcheggiato davanti a ristoranti internazionali e il ritorno in albergo a notte fonda e andare e venire da Teheran: era la sua vita. Ad ogni ritorno apriva un nuovo impianto di carburante in Italia. A un certo punto dell’amore assoluto, l’italiano non è più ritornato a Teheran. La studentessa ha continuato ad aspettarlo all’aeroporto. Fino al suo ultimo giro di taxi. Quando la macchina è ritornata quello che è sempre stata: lamiera.                           Teheran,  l’attesa.

Il petrolio rende ricchi. L’Italia per lui era il petrolio, le pompe di benzina che l’italiano apriva ad ogni ritorno da Teheran. Da sua madre. L’Italia rappresentava una possibilità di sopravvivenza. Ha trovato lavoro in una stazione di rifornimento sulla tangenziale di una città dell’Italia del nord. Lava le automobili. Il gestore del distributore di benzina è pakistano. Dopo qualche tempo di osservazione gli ha permesso di servire i clienti. E’ un lavoro noioso. E povero. Serve i clienti, non gli piace parlare. Si domanda sempre che cosa di tanto interessante l’italiano abbia raccontato a sua madre.

Gli è capitato di fare benzina a una cliente con una grande macchina, truccata e vestita alla moda, più vecchia di lui. Aveva un viso strano, con il naso lungo e il mento pronunciato. Più o meno come il suo. Lei lo ha guardato a lungo, ma non gli ha rivolto la parola. E’ la figlia del vecchio titolare di tutte le aree di servizio della tangenziale e della città. Gli ha detto il pakistano. Suo padre è diventato ricco grazie al petrolio.

Lei gli ha venduto l’impianto, poi non gli ha più parlato. Tu là, io qua.

Non lavora. Fa beneficienza. Regala i vestiti che non indossa alle donne che scappano dalle guerre.

Ha grande rispetto per gli eroi delle Rivoluzioni. Quelli che combattono lontano.

Qualcuno la rivoluzione l’ha fatta anche per lei.                                        I figli dell’oro nero.

_________________________________________________________________

(Link rubrica: lavoro migrante  https://www.gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=lavoro%20migrante&ordering=newest&searchphrase=exact&limit=30 )