Con la figlia della signora parla in francese. La chiama al telefono e ride mentre parla. Non è francese. Viene da un Paese dove si suda e si puzza. Alla Francia hanno rubato la musica della lingua e la leggerezza delle relazioni. Molti, quelli più colti, parlavano francese anche da noi. Mai in modo così libero. Dall’Europa ci hanno sempre guardato con sospetto. Il sospetto induce il senso di colpa, anche se innocenti. La nera sgrana i denti bianchi tra le labbra carnose e la erre moscia della lingua. Rompe tutto, quando lava. I bicchieri le scivolano dalle dita. Ha venato lo specchio perché voleva fare sparire una macchia. Non è possibile cancellare. Niente e mai.
Lo fa per mettersi in mostra. Per essere chiamata quando mi assento. Non hanno voluto una della mia stessa lingua. Per evitare troppa sfuggente confidenza. Non capirebbero quello che diciamo. Quando arriva, pulisce subito quello che io ho appena pulito. Prende la mano della signora e le parla in modo gentile. La fa ridere. Lei quasi si dimentica di me, presa dall’osservare il lungo telo colorato avvolto a quel grande corpo innestato su gambe che si assottigliano solo alle caviglie. E’ una recita. Studiata a memoria e provata a voce alta come se fosse sul palcoscenico. Per ricevere le monetine dello stipendio. Ho il sospetto che la paghino più di me. Che oltre allo stipendio le diano anche banconote per i figli. La figlia acquista cibo e giocattoli per i bambini. Lei ha tre figli in Italia. Ha sposato un suo lontano cugino, di quindici anni più vecchio. L’ultima figlia è nata qui. La figlia della signora è andata a salutarla quando è nata. La prima ha dodici anni ed è rimasta in Africa. Non va a scuola, non parla francese. Non c’è posto per lei in Italia. I due maschi sono arrivati in Italia dall’Africa e vanno a scuola. Per loro la vita sarà diversa. Un lavoro. Per mantenere la grande famiglia africana. Per i nostri figli, servizio militare lungo, freddo e fango e sangue della trincea non si sa per quanto tempo. Irina, Ucraina
Sono nera e più vecchia di loro. Cucino meglio di loro. Le mie mani sono sempre più sporche delle loro. La mia pelle puzza più della loro, anche se cambio la camicia e uso sapone neutro. Per la prima volta mi è capitato un capo straniero. Una donna. Giovane, con gli occhi chiari e la pelle bianca. Non le piaccio, lo so. Mi ha assunto. Le donne con le donne possono essere feroci. Devo tenermi questo lavoro. Farò in modo di piacerle. In panetteria parla italiano con i clienti, fuori dal laboratorio. Dall’altra parte del lavoro, dove si impasta, tira fuori un lingua dura dal profondo della gola. Fuma in continuazione, anche se non si può. Per prima cosa oggi mi ha fatto pulire il bagno e i vetri del laboratorio. Pensavo di fare quello che so fare: il pane, la pizza, i dolci. Mi sono arrampicata in alto. Attenta a non cadere, a non scivolare giù dalla sedia. Il bagno è uno stanzino piccolo. Ci si muove male. Poi mi sono lavata le mani con scrupolo. Sudavo. Mi hanno fatto lavare le stoviglie e gli attrezzi pesanti. Il primo giorno è andato via così. Ero molto stanca quando sono uscita ma ho ringraziato. Ridevano e parlavano nella loro lingua. Il giorno dopo ho impastato per tutto il tempo. Non era mai sufficiente. E il giorno dopo. E dopo ancora. Ogni giorno loro lavorano di meno. Muovi più in fretta le mani. Oggi viene il capo italiano. Dobbiamo infornare focacce e pizze, più di ieri. Non sorridono più neanche per sbaglio. Hanno occhi lividi di veleno. Oggi si sono truccate. Urlano con la gola nella loro lingua. Non capisco, dico. Scimmia, vecchia gallina. Lo capisci che devi essere più veloce? E che sei qui per lavorare? Sei vecchia e lenta. Noi ti paghiamo per lavorare e non per farci perdere tempo. Arriva il capo italiano e si ritira con loro in ufficio. Non mi saluta, non mi guarda. Si sente ridere, dentro. Parlano in italiano. Una di loro sussurra parole. Escono, lui mi guarda. E mi dice di essere più veloce ad impastare. Da questo laboratorio devono uscire pizze e focacce per due negozi. Le ragazze non possono fare tutto da sole. Non possono lavorare anche per te. Sei più vecchia e dovresti dare l’esempio. Alla fine della giornata, gli occhi della collega truccata sono tornati chiari. Mi ha sorriso. Il tuo lavoro è finito. Abbiamo assunto una persona che non parla italiano. Non abbiamo tempo da perdere. Helen, Gambia
Giochiamo a vivere. Beviamo troppo. Ma ci divertiamo. Abbiamo la stessa età. Potremmo essere fratelli oppure amici. Veniamo dallo stesso Paese. Tutti e due parliamo a voce alta. Lui ride, ha denti bianchi, è bello. Ho ritrovato il rumore del mio Paese. Dopo le violenze della Libia. Dopo i vecchi per i quali ho fatto la badante. E quelli che ho finto di amare, perché avevo bisogno di denaro. E’ fuori dal carcere in libertà vigilata. Ci vediamo di giorno, da lui. Ha dato uno schiaffo a una donna bianca, di un Paese dell’est Europa. Lo aveva offeso. Lui l’ha picchiata. Lei lo ha denunciato. Non trattiene la rabbia quando arriva. Mi ha convinto a diventare madre ancora, per lui. Ha un documento in scadenza e non sarà facile trovare lavoro alla fine della pena. Sostituisco una senegalese, quando va in vacanza. Parlo meglio di lei, in italiano. Non mi inginocchio davanti a dio quattro volte al giorno. Non faccio il ramadan. Non ho sei figli come lei, anche se in Africa ne ho uno anche io. Che non vedo da tempo. Guardo i cartoni animati con i miei assistiti. Guardiamo i film in italiano. Giochiamo a carte in tre. Li faccio sempre vincere. Lei non camminava più. Mi allaccio le scarpe basse e le faccio fare un passo alla volta lungo il corridoio verso il bagno, avanti e indietro. Si appoggia a un mobile a metà strada. Il marito mi dice di non farlo. Non bisogna ascoltare gli uomini. Il vecchio vorrebbe uscire con me. A metà del periodo di sostituzione, la signora ha ripreso a camminare. Io ballo per lei, per farla ridere. Metto la musica moderna e parliamo. Non riesco a smettere di bere. Nella borsa mi porto sempre almeno due superalcolici. La faccio camminare prima di cominciare a bere. Ormai mi sento appesantita. Il figlio della coppia mi ha chiesto se sono in stato interessante. Gli ho detto: no, non lo sono: questa è la conformazione del mio corpo. Ho ridato l’autonomia a sua madre. Sta pensando di assumermi. La casa è calda e pulita. La signora cammina. La mia pancia cresce. La senegalese ritorna dalla vacanza. La casa è diversa adesso. La senegalese mi guarda male. La signora si è affezionata a me. Con un contratto di lavoro è possibile fare un’assenza lunga per maternità. E’ pagata. Me lo ha detto il mio amico. Il figlio mi guarda la pancia spesso. Non credo mi assumerà. Anche la senegalese mi osserva con attenzione. Il lavoro è finito dopo la sostituzione. Non ho mai rubato. Neanche quando avevo fame. Il mio amico oggi mi ha picchiato. Perché non ho rubato il lavoro. Fatima, Nigeria
Ha tirato fuori un tailleur bordeaux da una valigia dove ha compresso i vestiti di una vita. Puzza di muffa. Lo indossava quando faceva l’avvocato a Chishinau, in Moldavia. Non capisco che cosa sia venuta a fare qui, se davvero aveva un lavoro nel suo Paese. Mi ha sostituito per due mesi, in questa casa vecchia, con i muri scrostati, a fare la badante a questa donna vecchia e cattiva. Ha raggiunto la sorella in Italia, badante anche lei prima di sposare il figlio della sua assistita e prima di ereditare. E’ piccola, bianca e bionda e rotonda. Io sono grossa, bionda e bianca e sgraziata. Sono italiana e ho più di sessant’anni. Per me non c’è perdono. Tolleranza zero. Ero la moglie di un imprenditore edile prima di fuggire dalle botte. Dal divorzio ho ricavato una bella somma. Chi non è abituato al denaro, lo sperpera. Ho dato la somma all’amico del mio amico per l’apertura di una attività commerciale. Mi fidavo di lui. Sono rimasta senza soldi e con il mio amico. Non avevo mai lavorato prima. Non ho titoli di studio. Neanche la licenza media. Mi piace leggere. Leggo molto. E sono ripartita. L’assistente sociale mi ha mandato qui, per cercare di dare una svolta alla mia vita. Secondo lei dovrei fare l’esame di terza media, almeno. E mettere da parte qualche soldo. Devo pagare l’affitto e qualche debito. Devo mantenere me e il mio amico. Ho lo sguardo cattivo, dicono i nipoti della vecchia. Sono arrabbiata con me stessa e con la vita. E’ vero. I soldi, tanti o pochi, non cancellano la rabbia. Per non avere vissuto e fatto, quando il gioco è in corso e la partita ancora non è finita. Mi hanno licenziata. Hanno assunto la badante avvocato anche se non parla italiano. La badante avvocato accantona tutti gli stipendi. Non ha spese in Italia. Impara l’italiano con la supervisione della vecchia. La vecchia ha pietà di lei. Ha ascoltato la storia straziante di sua madre sola in Moldavia senza pensione. Oltre allo stipendio, le dà soldi fuori dal controllo dei suoi familiari. Me ne sono andata in Spagna a cercare fortuna. Dove, anche io sono una straniera. Marianna, Italia
(immagine: The invention of life, Rene Magritte, 1928)
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